23 luglio, 2013

LA PASSIONE E LA SCELTA DI LEGGERE UN LIBRO. Leggere i libri di psicologia fa bene o può nuocere alla nostra salute? Di Giuseppe Sanfilippo


Giuseppe Sanfilippo è un consulente filosofico, se volete contattarlo lo trovate su Facebook al profilo Joseph Sanfilippo (consulente filosofico), oppure al numero 3936665978.

La passione e la scelta di leggere un libro fa parte di molti individui che condividono piaceri e gusti alla ricerca d’emozioni, di conoscenze e stimolati a trovare una storia o una conoscenza che ci doni qualcosa, oppure di ricercare un riferimento per trovare una qualche soluzione ad un singolo disagio, ma in quest’itinerario siamo certi della giusta scelta del testo da leggere?
Soprattutto in un paesaggio in cui i lettori seguono i loro gusti liberamente, così vanno dalla scelta di leggere romanzi alla poesia, Dalla scelta di testi filosofici a quelli di psicologia… in un ambiente in cui non per forza chi sceglie non è uno studente o uomo di filosofia o di psicologia, ma solamente una semplice persona che coltiva una passione o un interesse per le due scienze; o ancora, come accennato, qualcuno che cerca una via per curare un proprio disagio; non dimenticando che a volte per molti individui i testi possono rappresentare dei manuali guida per lo svolgimento della propria professione, in modo particolare faccio riferimento agli scritti di molti psicologi – psicoterapeutici. Vi sono tra loro figure che pensano o credono che la tecnica o la strategia per la cura della persona si possa trovare appunto nei testi, oppure in quello che i docenti hanno insegnato a loro o ancora nelle indicazioni date a loro dai loro supervisori. In questo contesto possiamo esseri sicuri e certi di trovare mezzi adeguati all’aiuto della persona?
In questo panorama a mio avviso si possono costituire o generare delle realtà assolute da parte di chi studia la psicologia e che si orienta alla professione in psicoterapia. Questo è un aspetto che da un certo punto di vista può essere considerato assurdo e banale e si potrebbe assumere (anche da parte di scrive in questo momento) un atteggiamento sgretolante e umiliante verso i professionisti della teoria e mettere così inquietudine; ma questa non è la mia intenzione, non bisogna temere perché chi scrive un testo di questo genere è un professionista che ha svolto delle ricerche e studi approfonditi sulla persona. Di conseguenza non dobbiamo avere paura della psicologia, né degli psicologi che scrivono, come non dobbiamo avere paura di leggere, poiché farlo non è un pericolo, non è un male, ma, anzi, un bene.
Leggere significa: scoprire delle vite, delle esperienze, trovare noi stessi, poter comprendere anche gli altri, poter aiutare noi stessi… è una cura per le nostre condotte e ci aiuta a poter migliorare anche le relazioni con gli altri. Leggere ci porta a svilupparci, a crescere, a maturare, a costruire la nostra cultura personale e darci un’istruzione. Un maestro della psicologia, della filosofia, della sociologia, della pedagogia non scrive delle balle, ma delle cose fondamentali e concrete – ognuno orientato alle proprie ricerche, osservazioni ed esperienze (soprattutto queste), che hanno da darci e da donarci. Non c’è nulla di più bello quando uno psicologo scrive un libro, raccontandoci la sua esperienza; non c’è di più bello della fortuna che abbiamo di poter leggere, poiché possiamo trovare in questa lettura una parte di noi (è davvero triste che tante persone non leggano) e ciò avviene anche attraverso un modo intuitivo. Infatti, l’intuizione ci conduce nella giusta via della scelta – il più delle volte –, il testo che fa per noi, che è stato scritto per noi appositamente e casualmente; come se un qualsiasi essere umano doni, attraverso la manifestazione di una sua emozione, un’esperienza, un atto d’amore per i suoi simili, non è da dimenticare che chi scrive vuole comunicare qualcosa.
Nonostante queste parole, mi sono posto la domanda: leggere o no i libri di psicologia, fa bene o può nuocere alla nostra salute?
Mi sono risposto che a volte essi sono pericolosi (o per lo meno lo possono essere) ma sempre? Quando lo possono diventare?
In realtà, è pericoloso in due distinte situazioni:
a) Quando, dopo aver letto un testo, ci troviamo di fronte a un individuo che ha degli atteggiamenti uguali o simili a quelli descritti nel libro; in questo caso ci basiamo su ciò che abbiamo letto “senza accorgerci” e quindi andiamo a giudicare una persona, attribuendogli un qualche dolore, senza avere una qualifica specifica – in tale caso, non dobbiamo sostituirci a un professionista; nella lettura di testi, dobbiamo cercare delle conoscenze, delle emozioni, una parte di noi e per noi, e mai degli altri (i libri non devono divenire una narrazione, come quella delle persone che parlano degli altri) poiché questi sono diversi da noi e le loro situazioni sono le loro, non quelle che troviamo scritte in un libro. Qui possiamo o rischiamo di mettere inquietudine nella persona, e non solo, a volte c’è un errore di cui nessuno si rende conto, e cioè quando ad esempio parliamo di un individuo a un psicologo e gli descriviamo  l’atteggiamento che egli assume – un errore poiché l’esperto si costruisce un’immagine della persona discussa - e questo in modo particolare avviene in un rapporto tra psicologo e supervisore. In questo caso c’è un errore professionale, poiché uno psicologo dovrebbe fermare la persona che parla dell’altro, perché professionalmente bisogna evitare di costruire un’immagine brutale di una persona che non conosciamo, di cui sappiamo solo quello che ci hanno detto.
In questo caso è un errore svolgere un’attività avendo la disposizione di un maestro o supervisore, anche perché la persona deve costruire la sua carriera liberamente senza che un qualcuno diriga il lavoro. Allo stesso modo vanno bene le ricerche, le scoperte che si sono compiute sui grandi fenomeni della psicologia, ma, per aiutare la persona, dobbiamo conoscerla nella sua profondità, non attraverso quello che ci hanno insegnato e non bisogna applicare un metodo, tecniche e strategie terapeutiche che ci hanno detto e insegnato, ma bisogna costruirne altre (o modificarne) insieme alla persona in concomitanza alle sue esigenze e personalità.
Quanto appena detto può sembrare assurdo? A volte c’è bisogno di non sottovalutare le cose che posso sembrare appunto banali o assurde! Questo agli psicologi può dare molto fastidio e come al solito qualcuno di loro  mi potrebbe insultare (non sarebbe una novità), ma in questa prospettiva io rifletterei sul perché molte volte le terapie degli psicologi – psicoterapeutici si rivelano inadeguate e fallaci, e queste non sono solo parole, ma fatti che si verificano nella realtà e vengono negati da loro.
Studiare, leggere, imparare, seguire i maestri è molto importante, non è questo un errore, ma un bene assoluto, ma proprio dal bene a volte emerge anche il male, quando? Quando all’insegnamento si congiungono le strategie e le tecniche di cura, quando ci si ferma alla conoscenza di un x dolore che opprime la persona, quando si pensa che quello che ha funzionato per o con una persona può funzionare con un’altra.
La questione qui discussa è molto complessa da comprendere, ma proprio il punto del mio discorso è che ognuno di noi è diverso l’uno dall’altro e, come ha scritto in un suo articolo la dott.ssa Elisa Caponetti (psicoterapeuta), da cui sono rimasto molto affascinato (perché ho trovato in lei una vera figura professionale) ciò che funziona con una persona può non funzionare con un’altra. Questo è un aspetto molto importante e serio e che esprime chiaramente che ciò che prova una persona non è la stessa cosa che prova un’altra, ciò che vive una persona non può essere vissuto da un’altra… le cose possono essere simili, ma non uguali.
Cosa fa emergere questo? Il bisogno di non seguire solamente un orientamento istruttivo; il bisogno di elaborare di continuo nuove strategie e tecniche per la persona; il bisogno di essere quindi sempre pronti a modificare e costruire nuovi metodi terapeutici sulla base di quelli che ci sono stati insegnati (questi servono alla persona che richiede aiuto e anche ad ogni specialista per la costruzione della sua identità lavorativa per far emergere la sua filosofia di vita e la sua felicità; elementi importanti per stare bene e per aiutare gli altri).
De Chirico, Il pensatore
In questa prospettiva esiste una fortuna a nostra disposizione, ossia: la fortuna che esistono diversi professionisti (psicologi – psicoterapeutici, consulenti filosofici, sociologi, pedagogisti), che si occupano di cercare diverse tecniche e metodi con altrettanto lavoro di ricerca; altra fortuna è ovviamente che ci siano diversi autori che scrivono delle loro esperienze, delle loro ricerche e scoperte, dei loro metodi e strategie. Questi due aspetti sono fondamentali per la cura dell’individuo. Fondamentali perché, essendo ognuno di noi diverso l’uno dall’altro, con problematiche simili o uguali, ma assolutamente diversi nelle sensazioni, nel malessere che ognuno prova - la depressione, il mio disturbo di personalità… non è uguale al tuo, in una parola - andiamo all’esigenza di trovare un giusto approccio per affrontare una qualsiasi problematica e per far ciò non può esistere un solo metodo strategico, non può esistere una sola visione, ma diverse e con esperienze diverse; le esperienze e le visioni diverse portano alla comprensione del singolo individuo delle volte, mentre altre volte no, perché, quando ci troviamo davanti a un individuo, entriamo in contatto con una identità, un Tu che vive il dolori, disagi, sofferenze, fragilità e sensibilità diverse da un altro individuo e che non si congiungono alle nostre esperienze. Quando parlo di queste intendo che sono esse che ci portano alla comprensione; di quelle esperienze non fatte con gli altri, sulle loro storie, ma sul piano personale, sul piano di un sguardo verso il mondo, verso le relazioni umane e sul piano di mettersi nei panni degli altri – cercare di provare a capire cosa proverei Io se fossi l’altro, chi mi sta di fronte, in vari modi possibili (non dimenticando che non è facile entrare in contatto con chi ci sta di fronte) e a volte questo umanamente non è possibile purtroppo, non ci possiamo arrivare, mentre un altro collega sì. La stessa identica cosa accade per la medicina, per ogni medico: quando uno di questi sbaglia un’operazione, magari dopo si va da un altro che non sbaglia. Potremmo dire che il primo non era bravo, ma non è cosi il più delle volte, la verità è che egli ha un modo diverso di lavorare, di comprendere, di agire. Bisogna considerare che anche il mio corpo assume una sua funzione particolare di fronte un intervento, infatti può accettare quel metodo oppure no.  La stessa cosa vale per uno psicologo, per un filosofo… ma non possiamo negare che comunque ci siano personalità della psicologia incapaci o all’altezza di svolgere la propria professione (che piaccia o no). Ma questi ultimi dove sbagliano? 
Una domanda a cui non è facile dare risposte, ma possiamo sono tracciare alcuni punti molto importanti:  la prima cosa è considerare in modo assoluto che la persona che abbiamo davanti a noi è diversa da un’altra e quindi mai procedere con lei come abbiamo fatto con una precedente, e mai avere le parole dell’insegnante che ci presenta i vari disturbi, che ci dice ad esempio: questo è il disturbo ossessivo compulsivo o doc e va curato con tale metodo. Un altro aspetto a cui dare attenzione (oltre alla diversità da un individuo all’altro) sono le relazioni interpersonali. Queste sono molto importanti e per esperienza sottolineo che ho conosciuto diversi psicologi e psicoterapeuti (in modo particolare quelli che operano all’interno di una istituzione scolastica privata in cui erano prima allievi) che non le considerano assolutamente; ma le relazioni sono il primo aspetto che va preso in considerazione, poiché la persona che vive le sue fragilità, sensibilità, depressioni o di disturbi di qualsiasi natura, le vive perché provocate dalle relazioni. Non dobbiamo pensare, non dobbiamo credere che la persona sia nata, tra virgolette, ammalata. Il suo stato d’animo è causato, nella maggior parte dei casi, dalle relazioni interpersonali, relazioni non sempre derivate dall’infanzia – non possiamo però escluderle. E proprio per l’importanza di non escludere nulla sarebbe molto opportuno cercare questi disturbi nella memoria dell’individuo e quindi attivare una “pedagogia della memoria”, che è molto dibattuta in Itala dal filosofo Duccio Demetrio, autore del testo “Pedagogia della memoria per se stessi, con gli altri”. Ricercare, scrivere, raccontare i ricordi fa in questo cotesto molto bene, senza mai condizionare la persona durante la terapia, vale a dire che dobbiamo aiutare la persona a scavare dentro se stessa, evitando le nostre interpretazioni il più possibilmente, aspettando che sia la persona a rendersi conto del disturbo che la opprime. La possiamo aiutare attraverso il dialogo, puntato in ogni direzione, senza escludere nulla, nel dialogo la persona si deve costruire e ricostruire la sua storia, così come si costruisce mentre legge. La storia delle su relazioni, delle sue esperienze, dei suoi difetti, privilegi, frustrazioni, fragilità… potrebbe cos’ venire alla luce, potendo infine comprendere chi ci sta di fronte.
Non ci deve essere lo psicologo che ci dice “Tu hai questo problema e quest’altro” e il senso di tale quesito, mai così, ma è l’individuo che lo deve scoprirlo da sé e trovare attraverso il dialogo con lo specialista, che deve essere un illuminatore di un accendino da dare al paziente che a sua volta deve accendere una luce.
Questi sono i nuclei fondamentali per una giusta cura per prendersi cura della persona e per aver cura di noi stessi. In questo stato di cose, per iniziare ad affrontare ogni problematica di qualsiasi natura, la prima cosa da fare è quella di leggere dei libri, prima ancora di rivolgersi ad un psicologo, o pedagogista o un filosofo; tra questi posso essere utili quelli del professore Erico Cheli (non dimenticando Vito Mancuso e l’esistenza di molte personalità professionali), che insegna “Sociologia della comunicazione dei Media” all’università di Siena. Egli è tra l’altro uno psicologo – psicoterapeutica, sociologo… e si può dire che ha anche qualità da filosofo. Si occupa molto delle relazioni interpersonali di cui ha scritto un testo intitolato appunto “le relazioni interpersonali”, uno di quei testi che, insieme ad altri, possono essere utili a trovare un approccio a un nostro disagio. Testi meravigliosi che raffigurano un modo eccellente e giusto di fare ricerche, giusto approccio  per aiutare le persone, guardando la società, la cultura, l’influenza dell’ambiente climatico; le relazioni fatte di amore, odio, frustrazioni di vite e filosofie e tanto ancora, che hanno arricchito il mio pensiero e amore e interesse per la persona. Un altro aspetto che condivido del professor Cheli è il suo modo di tenere corsi e seminari sui termini della crescita razionale, della consapevolezza, dell’autorealizzazione… questi servono molto, sono fondamentali e dovrebbero essere organizzati in modo che possano essere aperti a tutti. 
Infine va evidenziato ogni persona è un essere fragile, non ha problemi psicologi, ma di fragilità, di bisogni, e va aiutato solamente considerandola per quello che è, nella sua fragilità e sensibilità, nel suo dolore e con i suoi bisogni, nella storia che ha oppresso la sua vita (forse) e va aiutata nel dialogo posto nell’impegno di trovare e scoprire dentro di lei il senso della vita; in quest’ambito andrebbero escluse le terapie degli psichiatri, non sono assolutamente a mio avviso valide ed efficaci.
la persona, in conclusione, possiamo aiutarla solamente se ci poniamo come modificatori, autori e ricercatori di nuovi metodi, che vanno non a cancellare quello che ci hanno insegnato, le tecniche terapeutiche e i metodi da utilizzare, ma a rinnovarle sulla base dell’esigenze umane di ogni singolo uomo. Solo così si può aiutare a costruire, ricostruire, una personalità, un’identità, un nuovo senso della vita e dello star bene; cerchiamo dunque la strada per essere felici e per riuscire a far stare bene anche chi ci sta accanto e, nell’evenienza, poter aiutare chi ci chiede aiuto. Uno specialista è pienamente competente solamente se costruisce da solo la sua carriera, i suoi metodi e le sue strategie, trova così la professionalità e anche la felicità per poter scrivere la sua vita – uno specialista che sta intorno a un suo maestro, che diviene un collaboratore e soprattutto che opera solamente utilizzando gli strumenti o metodi e strategie del suo maestro non sarà mai felice e non scriverà mai un “vero libro”, ma invece un testo pericoloso per l’individuo; di questi personaggi ne abbiamo purtroppo. Chi scrive un testo deve scrivere la sua esperienza, le sue tecniche e i suoi metodi, mai quelli che gli sono stati tramandati. Poi, l’importanza del dialogo strategico, utile per l’aito alla persona deve essere impostato spontaneamente e solamente creando un proprio stile personale.
Al di là di quanto detto è da sostenere anche un aspetto importante e cioè: al di là di ogni parola alla fine quello che più conta sono i risultati e non le parole.


Giuseppe Sanfilippo

3 commenti:

  1. Può far bene come può far male, dipende da chi legge, dal suo gradi d'influenzabilità o di elaborazione. Maria

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  2. La domanda mi sembra un tantino illogica, come se si chiedesse: "Mangiare fa bene o può nuocere alla nostra salute?" Gianluca

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  3. I libri sono come il cibo: cosi' come il corpo elabora il contenuto nutritivo di cibi la mente elabora le informazioni dei libri. Un libro di uno studioso è un predigerito, contiene molte più informazioni di quelle che si potrebbe raccogliere in una vita lunga 2.000 anni.

    Quindi i libri vanno selezionati, ad esempio la letteratura e la poesia, (ripropongono eventi circostanziali l'uno ed emotivi o sentimentali l'altro) che quasi nulla aggiungono alla tua esperienza (sono come vivere la vita degli altri e non vivere la propria), chi prova piacere nel leggere questo genere di libri è perchè trova la propria vita poco stimolante (e qui giù con gli improperi :-)) Gianluca

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