Un
film di Andrés Wood, il cui titolo originale è Violeta se fue a los cielos. Violeta del Carmen Parra Sandoval
(interpretata da Francisca Gavilán) nacque il 4 ottobre 1917 a San Carlos e
morì a Santiago del Cile, il 5 febbraio 1967. È stata una cantautrice, poetessa
e pittrice cilena. Iniziò la sua carriera cantando in coppia con la sorella
Hilda. Impegnata politicamente con i comunisti, cresce tre figli da sola, dopo
due matrimoni falliti. Il film racconta la sua vita senza seguire un ordine
cronologico, ma presenta un buon montaggio alternato di Andrea Chignoli e
un’incisiva scelta fotografica, curata da Miguel Joan Littin . La prima
inquadratura è quella di un occhio ripreso così tanto da vicino da sembrar
possibile leggervi dentro dolore e gioia. Seguono degli estratti di
un’intervista del 1962 condotta da un giornalista argentino, con il quale non
mancano scambi di ironie. E poi ancora la sua infanzia, i suoi figli, il suo
ex-cursus e il consequenziale declino. Il prodotto filmico mostra l’artista
durante le sue peregrinazioni nei paesini delle Ande alla ricerca di antiche
canzoni e ballate popolari da cui poter apprendere, assimilare e
reinterpretare. Scelse di diventare solista, di formarsi, esibirsi e provare
nuove esperienze mettendosi totalmente in discussione. Pretendeva il rispetto,
il silenzio, l’attenzione degli astanti durante una performance. Il primo scopo
era far conoscere la propria cultura, le proprie tradizioni, gli strumenti che
chiunque può suonare se sente a sé vicini, appartenenti. Nel 1954, viene
invitata ad esibirsi in Polonia e successivamente trascorre 2 anni in Europa.
Tornata in Cile inizia a incidere dischi e, nel 1958, fonda il Museo Nacional
del Arte Folklórico. All'inizio degli anni '60 è a Parigi insieme al grande
amore della sua vita, il musicologo e antropologo svizzero Gilbert Favre (Thomas
Durand), con cui vive una relazione inquieta e instabile quanto passionale. È
proprio grazie o per colpa di Gilbert che Violeta compone brani musicali
intensi e struggenti; così come decide di presentarsi al suo pubblico senza
celare in alcun modo la sua sofferenza. Difatti l’artista sostiene che il
dolore possa essere cantato solo da chi non è un professionista: persone
normali, comuni, tutti; basta sentirlo scorrere nelle vene. Non c’è, in questo,
bisogno di alcuna tecnica o preparazione. È improvvisazione, istinto. Queste le
sue testuali parole:
<Scrivi
come ti piace scrivere, usa i ritmi che vengono fuori, siediti al piano,
distruggi la metrica, urla invece di cantare, soffia nella chitarra e
strimpella il corno. Odia la matematica, e ama i vortici. La creazione è un
uccello senza piano di volo, che non volerà mai in linea retta.>.
Nel
1964 è la prima donna latinoamericana ad esporre le proprie opere in una
personale al Museo del Louvre (sezione Arti decorative). Rientrata in Cile, nel
1965 inaugura il suo progetto più ambizioso, la tenda-teatro a La Reina, che
vuole essere una "Universidad del Folklore". Vi si esibisce con i
figli Ángel e Isabel e con altri cantautori, fra cui Victor Jara. Ma nel
frattempo Favre la lascia e si trasferisce in Bolivia. Tormentata e depressa il
5 febbraio 1967, a cinquant'anni, Violeta Parra si suicida all’interno di quel
capannone a cui, fino a quel momento, aveva dato colore e vivacità. La colona
sonora del film, “Gracias a la vida” è considerata il suo testamento spirituale
e allo stesso tempo un forte elemento antitetico. Proprio l’autrice della
canzone ha deciso di dare un taglio netto alla sua stessa esistenza, impedendo
all’amore e al malessere di stancare e consumare ulteriormente la sua anima,
scegliendo dunque la morte e il silenzio.
Di
Francesca Saveria Cimmino
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