Cari
lettori del Corriere dello Spettacolo, oggi la vostra redattrice Claudia Conte
ha il piacere di intervistare il sorprendente regista e sceneggiatore catanese,
Dino Giarrusso!
Ciao
Dino! Sei pronto a rispondere alle mie domandine? Bene, visto che ormai non
puoi più tirarti indietro... Iniziamo dalla prima! Sogni ed aspirazioni di Dino
bambino. Si tratta di lontane reminiscenze ormai (rido), ma ti chiedo… cosa
volevi fare da grande?
Da bambino volevo
fare mille cose, sono sempre stato eclettico. Il calciatore e il cantante,
soprattutto. Poi a 14 anni vidi “Palombella rossa” e pensai –invece- che da
grande volevo proprio fare il cinema. Dunque è un sogno piuttosto antico…
Parlaci
del tuo primo lavoro cinematografico.
Ho avuto la fortuna
di esordire come assistente alla Regia per Ettore Scola, nel film “Concorrenza
sleale”, con Diego Abatantuono, Gerard Depardieu, Sergio Castellitto, Elio
Germano, Jean-Claude Brialy… un’esperienza talmente speciale che sarebbe
riduttivo “descriverla” con poche parole. Posso dire con un certo rimpianto che
quello è stato uno degli ultimi grandi film italiani interamente girati a
Cinecittà. E’ stato bello lavorarci, ed è amaro constatare che oggi Cinecittà
–per me un tempio- è soprattutto la sede di studi televisivi, spesso per
programmi bruttini.
Il
2008 è stato un anno importante per te. Sei stato nominato giurato al David di
Donatello oltre che membro dell’Accademia del Cinema italiano. Come affronti
questi incarichi prestigiosi ma sicuramente anche molto impegnativi?
La nomina mi ha
sorpreso molto, francamente. La mia carriera di sceneggiatore e regista non è
certo vastissima, mentre è importante (e credo discretamente prestigiosa)
quella di aiuto regista. Mi ha fatto molto piacere, quindi, che si sia premiato
un ruolo meno “glamour” ma molto importante, come quello dell’aiuto, e che si
sia tentato di svecchiare la giuria (nel 2008 vennero nominati alcuni
trentenni, fra cui io). Essere giurato è solo un piacere, e la mia coscienza
–sempre molto pungente- mi obbliga a vedere praticamente tutti i film italiani
usciti nell’anno, per votare con cognizione di causa. Dunque non è un impegno
gravoso, semmai è un piacere, per di più utile a scoprire nuovi talenti, e a
recuperare film mal distribuiti.
Quali
sono i tuoi registi preferiti? Qualcuno ti ha influenzato in modo particolare
nella tua formazione?
E’ molto difficile
elencare tre o quattro registi “preferiti”: mi piacerebbe farti almeno cento
nomi. Ma certamente in vetta ci sono Woody Allen e Nanni Moretti, oltre che il
più bravo di sempre: Vittorio De Sica. Vedere e rivedere decine di volte i loro
film mi ha “formato” e influenzato, indubbiamente. Poi amo molto Hal Hasby,
Scola, il primo Kusturica, Kubrick, Petri, Altman, Fellini, Truffaut, Bergman,
Hitchcock, Pontecorvo. Fra i contemporanei meritano rispetto e attenzione Todd
Solondz, Matteo Garrone, Derek Cianfrance, Agnes Jaoui, Chris Nolan, Jean
Pierre Jeunet, Arnaud Desplechin e Jean Paul Civeyrac. Però, davvero, ce ne
sono almeno altri duecento – del passato e del presente - di assoluto valore!
L’evento
che ritieni il più importante per la tua carriera.
La telefonata di
Ettore Scola che aveva visto un mio corto, lo aveva apprezzato, e mi proponeva
di lavorare con lui. Mi sembrava uno scherzo, invece era davvero lui. E’
iniziato tutto da quella telefonata, prima facevo il giornalista.
Nell’ambito
del cinema italiano in che misura è possibile proporre delle nuove idee e
quanto invece si deve venire a patti con i produttori e i gusti del grande
pubblico?
Guarda,
potenzialmente è possibile tutto. Il problema è che l’industria del cinema è in
grave crisi. Ma grave grave grave grave grave. E come in qualunque settore in
crisi, diventa TUTTO più difficile: proporre nuove idee, proporre vecchie cose,
lavorare, inventare, stare sicuri che finito un film se ne farà un altro…
certo, sperimentare è più difficile quando ti muovi in un terreno paludoso.
Però io non amo lamentarmi: credo che quanto di buono abbia fatto sia dipeso da
me, e quanto di scadente sia dipeso sempre da me. Lamentarsi per come vanno le
cose sul lavoro è come quando una squadra perde e se la prende col terreno
irregolare: c’era anche per la squadra avversaria! Più che disperarsi, quindi,
oggi serve lavorare, lavorare, lavorare. Anche supplendo alle enormi
complicazioni che la crisi ci sbatte in faccia.
Ora
conosciamo un po’ meglio Dino dal punto di vista umano. Svelaci… un tuo pregio
e un tuo difetto!
Un pregio è
certamente la sincerità, sempre e comunque. Difetti ce ne sono milioni. Se ne
devo elencare uno, direi la tendenza ad essere dispersivo, a dissipare tesori.
Il
tuo sogno nel cassetto.
Fare alcuni film che
raccontino l’Italia contemporanea, ed esserne soddisfatto. Mi piace l’idea che
qualcuno vedendo un mio film viva le emozioni che ho vissuto io vedendo
“Palombella rossa”: ecco un mio autentico sogno.
Progetti
futuri.
Nell’immediato sto
collaborando con Simona Izzo e Ricky Tognazzi per il casting di un film da
girare a breve. Poi sto scrivendo una miniserie per la RAI, poi vedremo. Come
ti ho detto, è un momento in cui bisogna lavorare tanto, e inventarsi il lavoro
quando non c’è…
Grazie
Dino per il tempo che ci hai dedicato e in bocca al lupo per la tua già
brillante carriera. L’intervista si è conclusa ma ti invito a mandare un saluto
ai nostri lettori!
Divertitevi,
amate, godetevi la vita, e soprattutto andate al cinema! In sala, però! Non
guardate il cinema nel piccolo schermo... la sala è mille volte meglio!!
Da
Claudia Conte è tutto! Arrivederci a presto amici del Corriere dello
Spettacolo!
Curata da Claudia Conte
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