
La
mostra, che vuole essere una sintesi del immenso patrimonio
documentativo del fotografo, si sviluppa raccogliendo 180 fotografie
in nove macro sezioni.


Gianni
Berengo Gardin è un uomo che ha girovagato per il mondo, ma
diversamente da altri, non ha formato i suoi set soltanto
all’esterno, ma molto all’interno, fin Dentro le case. Un
tentativo di comprendere i modi di abitare degli italiani, uno studio
sul modus vivendi di una popolazione che –ancora una volta-
traspare più dalla potenza di un’immagine anziché da una
eccellente oratoria. Così come traspare l’allegria che si respira
in una casa-negozio napoletana, o l’essenzialità e l’accoglienza
di una casetta delle Dolomiti, così si percepisce il lavoro di
questo grande fotografo che ha varcato la soglia dell’intimità per
regalarci perle di vita.
Evocativa
di bellissime sensazioni è la sezione dedicata ai Baci che
racchiudono parecchi scatti attorno a questo tema molto caro
all’Autore. Baci che non accennano a interrompersi nonostante il
treno in partenza, baci pudici come si conviene che sia alla Scala di
Milano, baci nostalgici sulla banchina del porto di Trieste, o rubati
ai lati della strada… Piccole meraviglie che si schiudono
nonostante l’incedere vorticoso del quotidiano.
Ci
riportano burrascosamente alla realtà e all’impegno di vivere le
fotografie dedicate al Lavoro e ai lavoratori
soprattutto. Le trame che delineano queste immagini ci narrano della
condivisione in gruppo o con la propria famiglia delle fatiche, delle
disperazioni, anche col tentativo di denunciare queste situazioni di
precarietà. Ancora una volta, a tu per tu con l’umano, senza
scorciatoie o abbellimenti di sorta. Così come indaga il profano,
Berengo scruta anche la Fede Religiosità Riti che
raccoglie le immagini del confrontarsi con la spiritualità e col
proprio credo, che si stinge di quella sacralizzazione tanta cara
alle istituzioni, ma a vantaggio di una maggiore e migliore
umanizzazione.
Il
lavoro di Berengo Gardin ha portato più di una volta a denunciare lo
scempio di alcune vicissitudini che hanno caratterizzato la nostra
storia e che sono state infine –verso gli anni ’60- esasperate e
portate all’attenzione delle coscienze del grande pubblico. È il
caso del documento raccolto nei campi romanì in Italia, dal
suggestivo titolo La disperata allegria, dove il
sovraffollamento e scarse condizioni di igiene fanno da contorno a
una vitalità ed a un forte attaccamento alle tradizioni di questa
popolo nomade. Il progetto ambizioso di Berengo è questa volta
quello di scardinare gli avventati pregiudizi degli italiani nei
confronti di persone e di modi di vivere con cui non si aveva affatto
dimestichezza. Stranieri e matti, questi i grandi fantasmi della
popolazione italica all’epoca, che dovettero prendere confidenza
con i temi che portarono ai grandi cambiamenti politici di quei anni.
In Morire di classe il fotografo prova a far passare
le rivoluzionare idee di Basaglia e di sua moglie Franca, dove
l’istituzione del Manicomio viene descritto per quello che è: un
luogo in cui approdava solo la pazzia dei poveri, dei diseredati, la
miseria che non reggeva alla propria sofferenza. Ma soprattutto che
lo stato di degrado, di abbruttimento, dell’annientamento dei
malati, era prodotto dalla violenza dell’istituzione più che dalla
malattia in sé. Prima bisognava lavorare su questo aspetto. Poi,
forse, si sarebbe potuto incontrare la malattia.
A
chiudere la mostra Berengo Gardin reporter: le
collaborazioni con “Il Mondo” e “Touring Club Italiano” lo
han portato a viaggiare intorno al globo, e questo ha permesso al
fotografo di regalandoci racconti, luoghi, sguardi capaci di
regalarci un ironico stupore dinnanzi allo spettacolo di ogni cosa
che ci circonda.
Maria
Rosaria Grassa
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