Il nuovo
film diretto dal francese Guillaume Nicloux, presentato al 63^ festival
internazionale di Berlino, il cui titolo originale è La religieuse, è tratto da
un romanzo scritto nel diciottesimo secolo da Denis Diderot, già trasposto sul
grande schermo nel 1966.
La protagonista
Suzanne (Pauline Etienne), è una ragazza costretta alla vita monacale,
impostale dalla madre, in quanto figlia non legittima. Il primo convento a cui
viene affidata è gestito da una Madre Superiora amorevole e disponibile. Alla
sua morte, la piccola monaca senza vocazione viene trasferita in un’altra
abbazia. La nuova direttrice è una donna severa, rigida, pronta a punirla
continuamente e senza pietà. La rinchiude in una cella e per lei sono previste
solo torture e umiliazioni. Appena Suzanne ha il coraggio di denunciare quanto
accaduto, un nuovo convento l’attende. Stavolta la Madre Superiora, interpretata
da Isabelle Huppert, è una donna dolce, premurosa, disposta ad ascoltarla e
supportarla. Eppure, nel tempo qualcosa cambia: quelle attenzioni divengono
morbose, oppressive, ossessive. Quello è un amore malato e ancora una volta la
giovane monaca chiede e desidera solo la libertà. La libertà di amare e di
essere se stessa, quanto la libertà da quelle catene, che qualcuno un giorno le
ha messo, privandola di spensieratezza e felicità. L’emblema del film è
l’inquadratura di un corridoio, le cui pareti sono completamente spoglie,
bianche e con tante porte nere. Ogni accesso conduce probabilmente in un nuovo
spazio buio, inquietante e pericoloso. Non sempre si può tornare indietro, non
sempre è concessa l’evasione. Ma talvolta la vita presenta occasioni uniche che
bisogna saper cogliere; proprio come ha fatto Suzanne.
Il
soggetto, di per sé è complesso e impegnativo, è cinto all’interno di una
cornice in cui fotografia e interpretazioni attoriali risultano essere
qualitativamente notevoli. Suggestive le inquadrature, interessante il gioco di
luci ed ombre: metafora di un animo tormentato e in continua oscillazione, tra
la speranza e la tremenda sorte inflitta. Un film non pesante e non patetico,
asciutto ed essenziale; piacevole da guardare e da ascoltare.
Francesca
Saveria Cimmino
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