Foto Flaviana Frascogna |
RedFRIDA, di
Ciro Pellegrino. Interprete: Giovanna Marziano. Effettistica e musiche
originali: Ciro Pellegrino. Lo
spettacolo è la performance, con istallazioni ed effetti dal vivo, della
ballerina che dietro un proiettore danza, trasmettendo con la sua ombra,
suggestione e intensità. Dinanzi lo spettatore vi è uno schermo su cui dipinti,
colori e citazioni si intervallano continuamente. Un prodotto audio-visuale
attraverso cui si racconta la vita di Magdalena Carmen Frida, pittrice
messicana. <Ho sempre dipinto la mia realtà, non i miei sogni>.
Dalla sua nascita, luglio 1907, alla sua morte, luglio 1954, la scelta è quella di raccontare con le immagini la felicità nell’infelicità di una donna che ha provato e conosciuto di persona il senso della sofferenza e dell’infermità. Si ripercorrono i momenti più dolorosi della sua esistenza, tra i quali la malattia, nel 1913, che sembra intrappolarla in gabbia e l’incidente, del 17 settembre 1925, rappresentato da tante matite che trapassano il suo corpo. <Il dolore non è parte della vita, può diventare la vita stessa.(…). Ho provato ad affogare i miei dolori, ma hanno imparato a nuotare.>. Otto i quadri in cui il regista ha ridisegnato un’esistenza in cui la pittura e l’uso simbolico dei colori divengono l’unica forma di sopravvivenza: ed ecco che l’azzurro del fondale marino si alterna al rosso fuoco, elemento cromatico che ricorda sì l’amore e la passione, ma anche la violenza e le lacrime di sangue versate, che scorrono su e dentro di lei. Sullo sfondo sei parole chiudono il cerchio: destino, piacere, bellezza, colori, amore e solitudine. <La mia notte accentua la mia solitudine. Tutte le mie solitudini. (…). Dipingo per me stessa perché trascorro molto tempo da sola e perché sono il soggetto che conosco meglio.>.
Dalla sua nascita, luglio 1907, alla sua morte, luglio 1954, la scelta è quella di raccontare con le immagini la felicità nell’infelicità di una donna che ha provato e conosciuto di persona il senso della sofferenza e dell’infermità. Si ripercorrono i momenti più dolorosi della sua esistenza, tra i quali la malattia, nel 1913, che sembra intrappolarla in gabbia e l’incidente, del 17 settembre 1925, rappresentato da tante matite che trapassano il suo corpo. <Il dolore non è parte della vita, può diventare la vita stessa.(…). Ho provato ad affogare i miei dolori, ma hanno imparato a nuotare.>. Otto i quadri in cui il regista ha ridisegnato un’esistenza in cui la pittura e l’uso simbolico dei colori divengono l’unica forma di sopravvivenza: ed ecco che l’azzurro del fondale marino si alterna al rosso fuoco, elemento cromatico che ricorda sì l’amore e la passione, ma anche la violenza e le lacrime di sangue versate, che scorrono su e dentro di lei. Sullo sfondo sei parole chiudono il cerchio: destino, piacere, bellezza, colori, amore e solitudine. <La mia notte accentua la mia solitudine. Tutte le mie solitudini. (…). Dipingo per me stessa perché trascorro molto tempo da sola e perché sono il soggetto che conosco meglio.>.
Foto Flaviana Frascogna |
Chi
ama brucia, di Alice Conti e Chiara Zingariello. Diretto e
interpretato da Alice Conti. Scene: Petra Trombini; costumi: Eleonora Duse;
musiche originali: Giuseppe Glielmi. Vittima e carnefice possono convivere
all’interno di un unico corpo atto a rappresentarli. È quello che l’artista
tenta di fare, aiutata da registrazioni che trasferiscono allo spettatore le
informazioni necessarie per comprendere e contestualizzare lo spettacolo. Il
tema narra la vita (soprav)vissuta all’interno delle comunità di accoglienza,
un non-luogo a tutti gli effetti. La regista ha utilizzato interviste e ricerche
antropologiche per descrivere e portare in scena qualcosa di cui nessuno parla.
La consapevolezza di essere utile, e forse indispensabile, per chi accoglie nei
centri e dunque il ruolo autoritario che si riveste, da un lato, e il
clandestino, dall’altro, che in attesa di conoscere la sua meta futura serve a
creare, ma che non esiste nella sua dignità di uomo. Il volto coperto da una
maschera è simbolo della volontà di restare nell’anonimato da parte di chi,
quell’identità o, quella presenza demartiniana, probabilmente, l’ha smarrita
per davvero.
Foto Flaviana Frascogna |
La
giuria popolare premia, per la quinta serata, il corto teatrale “redFRIDA”.
Francesca Saveria
Cimmino
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