Roma, Teatro Quirino. Dal 15 ottobre
2013
Tutto ci si aspetta andando a vedere un
grande classico come “L’avaro” di Molière, ma non una sorpresa come quella
dell’impianto scenico, della scelta registica e dei costumi di questa
rappresentazione iniziata nel prestigioso Teatro Quirino – Vittorio Gassman dal
15 ottobre, con un Lello Arena anch’egli felicemente sorprendente. Un Arpagone
che non dimostra affatto i suoi 345 anni (la commedia fu scritta nel 1668) e
che ben giustifica l’enorme scenografia costituita da teche trasparenti in cui
fa bella mostra una collezione di sedie di epoche diverse, simbolo dell’ossessività
del possedere, quasi a rappresentare l’attraversamento dei secoli del vizio
capitale del protagonista ed il suo immobilismo, il potere raggiunto e la
pigrizia del suo cuore.
Teche da cui entrano ed escono tutti gli altri personaggi e che sembrano anche raffigurare il luogo della separazione, di una certa incomunicabilità ipocrita e custodia delle paure della psiche di Arpagone. L’avaro non ha età, non è rinchiudibile in un’epoca e allora la regia di Claudio Di Palma attraversa tempo e spazio dipingendo il suo quadro con i costumi (bellissimi, di Maria Freitas) che si susseguono dal ‘600 al post2000, in un futuro
indefinito. Questa è la fortuna e la genialità di Molière, aver rappresentato
un vizio che appartiene all’uomo da sempre e che continua ad essere una piaga
che consuma chi ne è colpito. La paura di “dare”, più che la bramosìa del
possedere, rendono Arpagone (l’uomo di ogni tempo) una povera vittima di sé
stesso e di tutto un mondo, che orbita attorno a lui, non meno riprovevole e
ordito di opportunisti, di complotti, di arrivisti e profittatori.
L’interpretazione di Lello Arena rende una grande umanità alla figura del
protagonista, facendolo apparire quasi simpatico nella sua incapacità di donare
sé stesso agli altri, che accumula e non consuma, che sacrifica i sentimenti
sull’altare del possesso “il suo contegno
onesto e la sua dolcezza mi hanno conquistato e ho deciso di sposarla,
sempreché possieda qualche cosa”. La scenografia avveniristica di Luigi
Ferrigno e le musiche di Paolo Vivaldi esaltano, anziché sminuirla, la
solitudine di Arpagone – Arena, attorno al quale un cast di giovani e
bravissimi attori vorticano fino alla scena finale, la denuncia dopo il furto
dell’ adorata cassetta dei soldi, che è più un processo alla sua aridità che il tentativo di rientrarne in possesso. Una
scelta riuscitissima, un “quadro” dal vago sentore pirandelliano che chiude nel
migliore dei modi uno spettacolo bello, sorprendente e sempre attuale. Una
versione 2.0 di un grande classico del teatro mondiale.
Teche da cui entrano ed escono tutti gli altri personaggi e che sembrano anche raffigurare il luogo della separazione, di una certa incomunicabilità ipocrita e custodia delle paure della psiche di Arpagone. L’avaro non ha età, non è rinchiudibile in un’epoca e allora la regia di Claudio Di Palma attraversa tempo e spazio dipingendo il suo quadro con i costumi (bellissimi, di Maria Freitas) che si susseguono dal ‘600 al post
Paolo Leone
Civit’arte
2013 e Bon Voyage Produzioni
Lello
Arena – L’avaro di Molière
Con:
Fabrizio Vona, Francesco Di trio, Valeria Contadino, Giovanna Mangiù, Gisella
Szaniszlò, Fabrizio Bordignon, Enzo Mirone.
Musiche:
Paolo Vivaldi
Scenografo:
Luigi Ferrigno
Costumi:
Maria Freitas
Regia: Claudio Di Palma
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