Il francesismo del
titolo, in omaggio alla trasferta transalpina del nostro Direttore (poi non
dite che sono un ruffiano, eh!), esprime tutta la mia perplessità nei confronti
del film vincitore della 70esima mostra del cinema di Venezia.
Ci sono vari approcci
possibili al genere documentario: il documentario classico, nell' accezione
propria del termine che, come riportato dai dizionari, consiste in un
"film di contenuto informativo o divulgativo, senza trama narrativa";
il docu-fiction, che prevede l' innesto di elementi narrativi/ artificiosi a
supporto di un più generale impianto di matrice didascalico-informativa (ne è
un esempio il celeberrimo e già citato in un precedente articolo "NANUK L'
ESCHIMESE" , del regista statunitense Flaherty, 1922); il documentario d'
inchiesta, che mira a chiarire un determinato argomento/problema attraverso l'
intervista diretta alle persone e il resoconto delle ricerche svolte sul campo
da studiosi o dall' autore stesso (come nel caso di "COMIZI D' AMORE"
di Pasolini, del 1965, o dei lavori di Michael Moore); il documentario poetico
che, spesso privo di dialoghi, cerca di coinvolgere ed emozionare il pubblico
affidandosi esclusivamente alla forza delle immagini e del montaggio (come nel
caso della "TRILOGIA QATSI" di Godfrey Reggio)...
"SACRO
GRA", del regista Gianfranco Rosi, è un' opera a parer mio collocabile a
metà strada tra il film poetico e la ricostruzione "flahertyana",
senza però risultare alla fine né un esempio convincente dell' uno, né dell'
altra.
Entrando nei
dettagli, il film mostra schegge di vita, mescolate in ordine -almeno
apparentemente- casuale, appartenenti ad alcune persone che vivono e lavorano
nel microcosmo costituito dal Grande Raccordo Anulare, l' enorme cerchio d'
asfalto che circonda la città di Roma. I protagonisti di "SACRO GRA"
vengono ripresi mentre parlano, riflettono, si riposano, mangiano, si dedicano
alla propria professione...il tutto senza alcun commento fuori campo né
intromissioni dirette da parte del regista (che di fatto non compare mai nelle
inquadrature); ad inframmezzare sporadicamente le varie storie, intervengono
alcune inquadrature panoramiche o naturalistiche che mostrano, per fare alcuni
esempi, un gregge di pecore -in apertura- che pascola placidamente a due passi
dall' autostrada, poi nuvole, palazzi, il traffico notturno sul GRA...E'
davvero tutto qui: inevitabile, all' uscita dalla sala, avvertire una certa
inconsistenza di fondo del progetto e domandarsi quindi "QUAL E' LO SCOPO
DI QUESTO FILM? IN COSA CONSISTE LA SUA RIUSCITA?" Interrogativi
legittimi, visto che ci troviamo di fronte ad un documentario, che per di più
ha conquistato la vittoria in uno dei più importanti festival cinematografici
del mondo. Se l' intento principale di "SACRO GRA" è quello di
mostrare la vita vera di queste persone, non ci siamo proprio: né la struttura
frammentaria e alternata degli episodi, né soprattutto i momenti di vita selezionati
aiutano a farsi un' idea di chi siano o come vivano i protagonisti (al massimo,
possiamo cogliere sullo sfondo, sbiaditi, i problemi e le abitudini che
caratterizzano la nostra vita di italiani degli anni duemila); la scelta delle
esistenze, inoltre, rivela chiaramente di rispondere ad un unico requisito
primario, quello dell' eccentricità (l' attore di fotoromanzi, il principe
piemontese, l' esperto di palme...l' unica eccezione è costituita dal
soccorritore), col risultato che le persone si trasformano in
"personaggi", e ciò a tutto svantaggio della spontaneità e della
credibilità del film. A tal proposito, dopo aver letto le dichiarazioni del
regista Bernardo Bertolucci -presidente della giuria che ha decretato la
vittoria del film- , il quale aveva definito "SACRO GRA" un' opera di
purezza francescana, stupisce ritrovarsi di fronte ad un film nel quale qua e
là, sia nei dialoghi che nei comportamenti dei protagonisti, si ha la netta
impressione di una certa artificiosità del tutto, con individui più propensi a
recitare "in favore di camera" secondo un copione prestabilito (il
principe e il salvatore delle palme su tutti), che impegnati, semplicemente, a
vivere...
Il film risulta
carente anche se ipotizziamo che il suo obiettivo sia fare poesia attraverso le
immagini: non ci sono momenti liberatori o emozionanti da ricordare, e il
montaggio non offre soluzioni particolarmente originali che esulino dal
"già detto".
Per concludere,
nonostante risulti chiaramente la mia delusione per un film dal quale mi
aspettavo molto di più, non posso certo affermare, non avendo visto le altre
opere in concorso, che la vittoria di "SACRO GRA" a Venezia '70 sia
immeritata, anche se è lecito avere dubbi in proposito...ciò detto, rimane
comunque il forte valore simbolico e innovativo della prima, storica
affermazione assoluta di un documentario in una manifestazione che si era
dimostrata da sempre piuttosto refrattaria al genere.
Francesco Vignaroli
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