Alberto
Testa, danzatore, coreografo, critico, saggista… L’ho incontrato al Festival
dei Due Mondi di Spoleto e si è dimostrato veramente molto gentile e disponibile
a rilasciarmi questa intervista durante un pranzo alla taverna La Lanterna, uno
degli storici luoghi d’incontro dei personaggi che frequentavano e che
frequentano questo Festival.
È dal 1958, quando
iniziò, che vengo al Festival dei Due Mondi.
L’ho sempre considerato un evento unico, uno dei più importanti non solo
in Italia, ma anche in Europa e nel mondo. Oramai ha una sua struttura
ereditata e consolidata e, fin dall’inizio sotto la geniale direzione di Giancarlo
Menotti, il Festival ha sempre favorito i giovani mettendo a confronto le
diverse arti dello spettacolo, perché egli era ben convinto che “Tous les arts se tennient par la main”
ovvero che tutte le Arti si tengono per mano.
Si è trattato di un
Festival di grande qualità perché, lo sappiamo, oggi nessuno “fa ciò che sa e
nessuno sa ciò che si fa”, ma a quel tempo se io facevo qualcosa lo si sapeva;
ci si conosceva di più e si cercava di confrontarsi e di favorire le cose più
meritevoli.
Qui, a Spoleto, ho
creato il “Teatrino delle 7”, divenuto poi “delle 6”, per comodità di orari. Mi
trovai a dividere lo spazio con grandi personalità, come per esempio,
addirittura Jerzy Grotowsky (era l’edizione del 1967).
Martha Graham, a dire
il vero, venne a Spoleto molto tardi, nel 1994; prima erano venuti i suoi esegeti.
Nell’arco degli anni sono
comunque approdati altri grandissimi personaggi della danza, come Luis Falco,
Jean Cébron con Pina Bausch…A proposito di Pina Bausch, ho in seguito rimpianto
quell’opportunità essendosi poi dedicata alla coreografia, a quel genere ormai
famoso, detto Teatro-Danza. Era considerata
una grande danzatrice moderna e lo era veramente, straordinaria!
Come
ha visto cambiare questo Festival nell’arco degli anni?
Gli anni clou furono i ‘60, ‘70 e ‘80; poi, purtroppo,
con il figlio di Giancarlo Menotti il Festival ha preso un’altra piega
consentendo a Compagnie non proprio eccellenti
di partecipare alla rassegna. Adesso
stiamo assistendo a una risalita e quest’anno il Festival si è riqualificato
percorrendo binari ben lubrificati.
All’inizio
della sua storia il Festival era più puntato sulla Musica che sul Teatro di
prosa, vero?
È vero, il Festival
all’inizio si concentrava più sulla musica e sulla danza; c’era però anche il
teatro di prosa con grandi produzioni e attori, non solo
italiani.
Al
Festival di quest’anno abbiamo visto il ritorno di Alessandra Ferri con “The
Piano Upstairs” e abbiamo assistito alle coreografie di Mark Morris. Che ne
pensa?
Alessandra Ferri è
stata straordinaria, fluida, veramente un incanto vederla. Anche lo spettacolo
di Morris è stato eccezionale, un’esecuzione perfetta, impeccabile, dove danza
e musica andavano bene insieme. Morris è originale, creativo e ha un linguaggio
coreografico tutto suo, perché parte da una base classica ma la sa poi
trasformare in un qualcosa di meravigliosamente personale.
Che
definizione darebbe della Danza?
“La danza è una. Ciò
che non si può dire a parole, si dice con
il movimento del corpo”.
Lei
ha scritto anche molti libri riguardo alla Danza…
Ho scritto molti
libri, storico-critici e non solo: adesso mi viene in mente “Parole di Danza”, un compendio di epigrammi, aforismi, sentenze, dettati da
poeti dall’antica Grecia ad oggi (tradotto in francese e in inglese); In
seguito, “Sulla Danza-Memorie, riflessioni ovvero Come si legge un balletto-l’intelligenza
del cuore”: un saggio sulla lettura coreografica di un balletto, lettura
analitica come lettura di cuore, come dice il titolo. C’è poi anche il volume “I
grandi balletti”, un altro saggio e anche una specialità che ripercorre la
storia dello spettacolo di danza.
Lei,
che della Danza è anche critico, cosa pensa della critica odierna?
Non vedo critici
particolarmente significanti all’orizzonte mentre vedo molti teorici e studiosi
seri. Una volta la critica era un documento che rimaneva, erano fogli e fogli
scritti, non trafiletti. Ricordo ancora gli articoli di Gino Tani, Luigi Rossi,
Mario Pasi e anche l’intervento di musicologi interessati alla danza come
Fedele d’Amico e Massimo Mila. Comunque questa degenerazione odierna la vedo a
vasto raggio visto che i quotidiani più letti non chiedono di scrivere
recensioni sui balletti rappresentati ma, caso mai, di fare delle presentazioni
e io chiaramente mi rifiuto. Ciò ha ben poco di personale in quanto si tratta
di riprodurre comunicati stampa. I francesi
invece tengono ancora a un modo alto di fare critica; gli italiani non più,
purtroppo. Una volta la critica era completa: si parlava della storia,
dell’interpretazione, si faceva l’analisi dello spettacolo e si faceva persino
la differenza tra le diverse messe in scena della stessa pièce. Era insomma una opinione
precisa che consigliava allo spettatore più o meno di andare a teatro.
Una volta erano critiche formanti un gusto, documenti che rimanevano, mentre oggi
quello che viene scritto è destinato a morire subito.
Qual
è la situazione italiana della danza?
In verità, oggi, non
si provvede a indirizzare formando il gusto del pubblico. È grave danno! C’è
troppa confusione di generi a causa anche della televisione che non provvede a
scelte oculate e soprattutto non a fini educativi. C’è, francamente, uno
smarrimento generale per cui la presenza del critico sarebbe non solo
chiarificatrice ma anche educativa. E della sua assenza la danza soffre non
poco. Per contro, ci sono molte forze giovanili che studiano le tecniche, non
solo quella di base classico-accademica ma anche quelle moderne o contemporanee
affinché anche la danza vada incontro al suo futuro. A questo punto direi, ispirato
da Ninette de Valois, grande iniziatrice del balletto inglese nel XX secolo: “Conservate il balletto classico. Annunciate
il futuro ma rispettate il presente”.
La
televisione corrompe l’Arte della Danza o la vivifica?
Molti ballerini che
vediamo oggi sulla scena teatrale e sullo schermo televisivo hanno preparazioni
rigorose e provengono da studi regolari e anche da una disciplina del corpo e
dello spirito abbastanza conforme alle esigenze del mondo d’oggi che è anche
televisivo. Attenzione: è grave errore, però, confondere l’arte della Danza con
una attitudine di ballo sociale del genere Standard o Latino-Americano. Così, a
buon intenditor… poche parole. Questo parere mi sembra molto educativo ai fini
del mantenimento di una tradizione, di un gusto e dell’estetica mai abbastanza
raccomandata.
Curata
da Stefano Duranti Poccetti
E' illuminante ascoltare "la voce" di personaggi così illustri!
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