03 novembre, 2013

“Lezioni americane” di Italo Calvino – Lectio Magistralis. Di Paolo Leone


Teatro Ghione di Roma. Fino al 17 novembre 2013

Una montagna da scalare, anzi due.  Una rappresentazione teatrale sulla “Leggerezza”, liberamente tratta dalle cosiddette “lezioni americane” di Italo Calvino, da cui il titolo dello spettacolo, interpretato dal Maestro Giorgio Albertazzi. Basterebbe questo per far tremare i polsi e rinunciare a scrivere qualcosa di sensato. Con grande senso di umiltà e gratitudine ai due giganti appena citati, l’unica via per uscirne indenni è sorvolare, appunto con leggerezza, quanto ammirato in questa “prima” nel teatro Ghione. Le lezioni americane sono delle conferenze scritte nel 1985 da Italo Calvino per quello che doveva essere un vero evento, mai accaduto fino ad allora, cioè la presenza di un intellettuale italiano nelle “Charles Eliot Norton Poetry lectures” dell’Università di Harvard. Purtroppo, Calvino morì qualche mese prima e le sue “lezioni” rimasero un manoscritto tra i tanti.
Fu la moglie, qualche anno dopo, che le fece pubblicare con il titolo appunto di “lezioni americane – six memos for the next millenium” (sei proposte per il nuovo millennio). Giorgio Albertazzi, per la regia (sobria ed elegante) di Orlando Forioso, riesce con la sua classe infinita a trasportare il pubblico tra le fondamenta della letteratura mondiale, nella valenza sociale della poesia, volando leggero nei secoli, da Lucrezio con il De Rerum Natura alle Metamorfosi di Ovidio; dalle Memorie di Augusto al Cavalcanti, poeta della leggerezza, per giungere a Dante Alighieri senza dimenticarsi di Paul Valery ed il suo illuminante “Bisogna essere leggeri come uccello e non come piuma”, a ricordarci che leggerezza non è superficialità. La stessa quotidianità con il primato della sua scienza, dal suo canto, quasi ammonisce e rammenta che “il mondo si regge su entità sottilissime: come i messaggi del DNA, gli impulsi dei neuroni, i quarks, i neutrini vaganti nello spazio dall'inizio dei tempi”. La presenza dominante dell’informatica diviene possibile grazie alla pesantezza dell’hardware che sostiene il software, ma è quest’ultimo poi che comanda e agisce sul mondo esterno e sulle macchine che, pesanti, obbediscono all’inconsistenza del peso dei bites. E via via, Albertazzi in scena, insieme a Stefania Masala (la segretaria) ed alla presenza discreta e funzionale di Anca Pavel al violoncello, riprende e riannoda i fili antichi della poesia, che forse sola può riuscire ad estrarre dai ragionamenti di Calvino un’immagine che corrisponda al desiderio di rappresentazione della leggerezza quale valore da portare nel nuovo millennio. Il filo riprende corpo e si dirige verso Cervantes ed il suo Don Chisciotte, balza verso Shakespeare, riprendendo la gravità senza peso di Cavalcanti e insegnando la differenza tra melanconia e umorismo: “tristezza diventata leggera” la prima, “comico che ha perso la pesantezza corporea” la seconda. Ma lo stesso Calvino-Albertazzi ci ricorda anche l’importanza dell’immagine, il valore enorme del silenzio. Quasi due ore di grande magnetismo, con un pubblico rapito come sempre vorremmo vedere nei teatri, e con la personale conclusione del Maestro su quanto abbiamo portato nel nuovo millennio…tanta pesantezza, troppo poca poesia. Come le balene si spiaggiano e muoiono perché confuse, senza più orientamento, a causa dell’abuso di tecnologia dell’uomo, così è il nostro destino, se permettiamo che la scienza, senza la poesia, diventi nemica. Se non portiamo leggerezza nel nostro futuro.
Un’opera, quella di Calvino, che andrebbe inserita nei programmi di tutte le scuole. Un’opera, queste “lezioni americane” con Albertazzi, che è una gioia avere avuto il privilegio di applaudire.

Paolo Leone


Lezioni Americane di Italo Calvino
Con: Giorgio Albertazzi, Stefania Masala e Anca Pavel.

Regia: Orlando Forioso

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