LA MIA TESI DI LAUREA
SULLA DIVERSITÀ CHE COSTRUIVO FIN DA BAMBINO.
UNA GRAND’EMOZIONE
CHE VOGLIO CONDIVIDERE CON I LETTORI DEL CORRIERE DELLO SPETTACOLO
Annalisa Minetti |
Le nostre vite sono
davvero misteriose; fatte di eventi positivi e negativi e avvolte da
combinazioni inaspettate. Fin da bambino ho avuto la passione della riflessione,
in modo particolare sull’individuo nella sua Alterità concepita da egli in
senso di sentimento negativo; ma che cos’è Alterità? – Essa è sinonimo di
“Diversità” in ambito filosofico. Si tratta di un argomento molto discusso da
secoli. Essa rappresenta la differenza tra un essere e un altro: un Io – Tu,
ovvero due identità l’una diversa dall’altra. Possiamo parlare d’alterità
quando entriamo in contatto con un altro Io e quindi con qualcuno che sta di
fronte a noi, ovvero un Tu; come sostiene il filosofo M. Buber essa a volte si
configura come un sentimento ostile, in modo particolare per le minoranze, come
ad esempio i disabili o portatori di handicap, omosessuali... in tale contesto,
mi sono posto da bambino, il perché l’uomo genera per un suo simile un sentimento
ostile. Perché le persone ti vedono diverso? Perché fanno di tutto per fatti
sentire diverso disprezzandoti? Perché accade questo, tale ostilità ha una
ragione e un senso?
Partivo dal
presupposto che nessun essere è incapace d’amare, nessun essere è cattivo di
sua natura (poiché tutti siamo figli di un solo Dio, unico padre Divino nostro
creatore – e poiché questo è Amore, genera solamente figli capaci d’amare e
buoni), ma quella sua malvagità era dovuta a qualcosa che lo faceva stare male;
nemmeno il Diavolo era nato a mio avviso cattivo di sua natura. Su queste
parole gettavo le basi del mio pensiero; a una prima apparenza la natura
dell’ostilità doveva derivare da valori etici morali - religiosi, creati
dall’uomo e condivisi, ma qui ponevo un dato di fatto, ovvero: il pregiudizio
non esisteva e non esiste (sia storicamente e quotidianamente) in tutti gli
esseri umani, ma solamente in alcuni di essi e le prove di ciò erano e sono
dimostrate da grandi artisti come Aleandro Baldi, Andrea Bocelli e Annalisa
Minetti. Tutti questi personaggi illustri, che vivono e hanno vissuto le loro
disabilità senza che ad essi non sia mancato l’amore del pubblico. Qui il
diverso non esisteva, come non esiste, per Tiziano Ferro e altri.
Di conseguenza
considerare i valori etici morali come causa del pregiudizio era ed è
assolutamente errato, evidenziando però che probabilmente questi avevano
influenzato l’umanità nel corso dei secoli passati, ma non erano più attuali
durante la mia infanzia, come non lo sono oggi.
Iniziando un percorso di ricerche, tali ipotesi e riflessioni sono state
confermate, infatti nella nostra cultura e in quella greca la diversità viveva
momenti di maggiore tolleranza, vivendo, certo, anche momenti d’intolleranza;
questi momenti di intolleranza si verificarono nei momenti di tensioni sociali,
come ad esempio durante il declino e la fine dell’Impero Romano, dove si
sviluppò una forte intolleranza verso il diverso. In un contesto in cui si
perdeva l’identità di un popolo, in cui vi era tensione, disperazione e
mancanza di un riconoscimento, si scrivevano nuovi codici morali – religiosi e
si attribuiva le colpe delle tensioni al diverso. Tali colpe divennero valori,
e sono stati tramandati a secoli successivi, in cui però non mancavano momenti
di tolleranza, quando si stava bene, si viveva un equilibrio, non vi era
l’altro, non vi si metteva una barriera in mezzo; questi erano momenti in cui
comunque non mancavano individui che vivevano un’ostilità. Quindi non c’è una
vera e propria ragione morale davanti all’ostilità, questa non esiste nell’uomo
in modo vero e proprio. Essa emerge in certi istanti della vita e forse non a
caso emerge nell’uomo in tensione o in stato di crisi esistenziale; non
dimenticando comunque che:
1) L’influenza
famigliare non è da escludere nella generazione dell’alterità. Infatti, durante
i periodi che emergevano gli artisti che ho citato, c’era qualcuno che
sosteneva che erano riusciti a vincere Saremo per un gesto d’amore delle
giurie, cioè che avevano vinto per la loro disabilità; era giudizio morale –
religioso, non di ostilità. Ma perché? Guardavo la loro vita, ricostruivo le
loro storie, l’educazione tramandata dai genitori, in un contesto molto
difficile. Si trattava di persone provenienti da paesi internati, che non stavano
in contatto molto con gli altri e che non si aprivano agli altri, dove le
famiglie erano vissute come loro. Parlo di persone anziane, persone che avevano
avuto genitori nati nell’ ‘800. Le famiglie influenzano molto sulla generazione
dell’alterità, ma non come sentimento ostile, ma come sentimento di differenza,
di “poveraccio a cui regalare un gesto di compassione, perché debole, perché
indifeso e sventurato; incapace di capire, privo d’intelligenza e qualità”. Non
vi è qui un sentimento d’ostilità, ma di semplice ignoranza. Questo suscita
anche curiosità verso e nei confronti di quel diverso da sé. Ho visto e vissuto
persone che si aprivano al disabile, per curiosità, per capire che persona era,
come viveva. Allo stesso tempo ho visto che non sempre le famiglie influenzano
il sentimento barrato dalla diversità; all’inizio, durante la crescita, un
bambino può essere cresciuto, influenzato da un certo giudizio, ma poi questo,
diventando grande, entrando in contatto con gli altri, può fare cambiare il giudizio
su di sé quel giudizio… non per forza bisogna entrare in contatto con un
disabile per questo. Questo aspetto permette la formazione d’ogni io della
persona, anche tra fratelli educati dagli stessi genitori. Essi possono avere
giudizi diversi, ovvero uno può pensare che un singolo portatore di handicap
sia inferiore a lui e quindi può avere un atteggiamento distaccato, mentre
l’altro è tutto l’opposto, non si crea limiti, si apre tranquillamente. Basta
osservare una famiglia intera, basta osservare ogni componente della famiglia
per vedere la diversità comportamentale verso i diversi e non solo. In una
parola, con tutto il rispetto, quando i pedagogisti e psicologi o altri dicono
che l’ostilità ha un suo fondamento nelle famiglie, dicono giusto, ma allo
stesso tempo dico che è tanto sbagliato.
Questi soggetti che ho descritto qui non parlano della persona disabile,
magari ne tengono le distanze, ma non dicono nulla sul loro conto.
Andrea Bocelli |
2) Ho notato che chi
disprezza il diverso, il più delle volte è cresciuto in una famiglia dove non
si parlava del diverso o dove l’educazione prevaleva sul principio del rispetto
e dell’uguaglianza. Ciò nonostante questi individui avevano da dire, da
svalutare, disprezzare e anche da attaccare e avere una violenza sul diverso;
perché? Chi è l’uomo che narra contro il
diverso? Cosa vive nel suo animo? Sono tutte queste domande che mi sono posto,
arrivando a una specifica conclusione: l’ostilità è un sentimento di
frustrazione, che si riversa sull’altro diverso dal proprio sé. Un sentimento
d’invidia, derivata da una mancanza di qualcosa, tale irrompe il processo di
costruzione dell’identità, che non si configura con un riconoscimento;
l’ostilità viene da ciò che noi idealizziamo, su chi sta di fronte a noi:
l’altro. L’ostilità porta ad attaccare l’altro, diverso. Attaccarlo, avendo una
reazione di violenza su di lui, a causa della propria frustrazione; l’ostilità
per causa di frustrazione la si può riconoscere nel dialogo, nel modo di
parlare della persona che parla dell’altro. In questo parlare, c’è la
narrazione del proprio sé, il racconto della propria storia (anche quella degli
insegnamenti famigliari), del proprio dolore e frustrazione. In questo parlare
si dice dell’altro, ma quello che si afferma non è l’altro: non si parla
dell’altro ma di sé stessi. L’uomo giudica, parla dell’altro per com’è egli, e
mai per com’è fatto l’altro. L’altro non esiste in quello che si dice di
quest’ultimo. L’altro è un bisogno di gettare, la propria frustrazione, di
narrare il proprio dolore. L’uomo usa l’altro, l’uomo ha bisogno dell’altro.
Questa è stata la
conclusione a cui sono giunto, facendomi raccontare le vite di ogni singolo
individuo che disprezzava un altro, avvicinandomi al loro modo di fare, alle
loro insoddisfazioni della propria esistenza; guardavo le loro vite e ascoltavo
le loro parole, cercando di capire cosa cercavano se in quelle parole c’era una
storia del proprio essere ed escludendo assolutamente che si trattava di
persone ammalate; cercando ancora di costruire i bisogni di un singolo uomo ho
idealizzato che l’uomo ha bisogno di trovare un riconoscimento, una sua
identità; quando non la trova è chiuso ed incatenato in una gabbia, illuminata
da una finestra, da dove poteva affacciarsi e vedere l’altro, in modo nebbioso,
poiché anche il disabile a volte vive dei suoi momenti di frustrazione e
dolore; In ogni modo, nella nebbia l’uomo non vede questo ma solo l’altro,
ossia un essere che sorride alla vita, che ha una forza vitale che affronta le
sue difficoltà e frustrazioni senza cercare una via di sfogo, che realizza e
costruisce la sua identità senza mai fermarsi: è una forza vitale, un vulcano
unico e impossibile da fermare, ma colui che vede il diverso vede soltanto
quello che vuole vedere, cioè la persona che ha tutto, e così l’uomo si
trasforma in un cuore ghiacciato che senza pietà colpisce, ma nessuno per
natura è cattivo.
Il disabile sorride
alla vita senza mai chiudersi in una gabbia o incatenatosi nelle sue sventure.
Annalisa Minetti è l’esempio più classico di ciò, capace di salire sul palco di
Miss Italia prima e dopo su quello di Saremo - come del resto hanno fatto A.
Bocelli e A. Baldi prima di lei. Ha inoltre debuttato nel 2000 come attrice al
musical "Beatrice & Isidoro" nei panni di Beatrice... una
capacità e vitalità enorme, vivente nelle persone disabili in modo particolare.
Tutta questa
riflessione è stata svolta da me con molta passione e molta difficoltà, poiché
ero bambino e sinceramente, pensandoci oggi, non mi rendo conto come ho fatto a
costruire ed elaborare tale riflessione, soprattutto anche perché ho dedicato
attenzione, ascolto alle persone per cercare di capire gli altri, cosa c’è
dentro di essi, cosa si nasconde in loro, non è facile, nè per un bambino né
per un adulto.
Un giorno la vita
cambiò in modo sorprendente; ero un ragazzo determinato, che aveva stabilito di
continuare a studiare, avevo stabilito che la mia strada era quella di fare il
commercialista, senza mai abbandonare il mio sogno di insegnare (continuando
sempre la mia passione per l’elaborazione di pensieri), ma fu in questo itinerario che alla facoltà
di economia trovai un muro da dover abbattere. Non sono mai stato uno che si
arrende facilmente, ma per la prima volta non sentivo più il bisogno di lottare
per quel percorso che avevo scelto con passione e volentieri, mi rimaneva solo
il sogno della laurea. Conobbi delle persone che mi consigliarono di dedicarmi
ad altro, tra cui una grande amica che mi consigliò di dedicarmi alla
filosofia; allo stesso tempo ho avuto una ragazza che ho amato, che mi incoraggiò a dare ascolto all'amica, mi
ascoltò, mi consigliò senza lasciarmi mai solo. Le cose con questa ragazza non
andarono come speravo, la vita mi ha dato uno schiaffo, ma mi sono gettato con
il cuore nello studio della filosofia, che è stata un grande incontro, una
fortuna, una fonte e un arricchimento. Un arricchimento del mio pensiero sulla
diversità, una soppressa che mi ha dato dei brividi, come quando ho scoperto il
mito della caverna di Platone, il dialogo socratico e anche l’esistenza della
consulenza filosofica inventata e fondata dal maestro Gerd B. Achenbach; ho
trovato tratti del mio pensiero sull’uomo, sulla sua diversità, sul modo di
capirlo e ascoltarlo, di aiutarlo, in un tutt’uno in cui la consulenza
filosofica si basava e si basa suoi i miei principi. Dei grandi brividi, oltre
un arricchimento, mentre giungevo alla conferma che veramente il diverso è
disprezzato perché l’uomo vive le sue frustrazioni: per un dolore esistenziale
l’uomo vede l’altro. Si serve di uno per lui attribuire ogni male, ogni dolore;
un individuo da usare per raccontare se stesso. Fu per me una gioia enorme il
momento in cui pensai di mettermi al lavoro della mia tesi di laurea. In
quest’atto mi sono trovato un professore che, guarda caso, mi propose proprio
l’argomento dell’Alterità come tesi di laurea; una sorpresa, un brivido che non
mi sarei mai aspettato.
Una gioia,
un’emozione, un brivido che voglio condividere con i lettori del Corriere dello
Spettacolo e con il suo fondatore che pubblica i miei saggi e articoli. Una
gioia e un bisogno di dire, di gridare che la vita è una sorpresa, è strana, è
difficile, ma non dobbiamo mai arrenderci, perché quello che può accaderci
nessuno lo sa e non lo si saprà mai. Una gioia e un’emozione è il desiderio di
dire e svelare che le persone che vedono un diverso, che lo disprezzano, che lo
colpiscono, in realtà sono anime sofferenti, frustate, chiuse in una caverna,
che gridano il loro dolore; altre volte sono individui che cercano di
conquistare gli altri, di far di tutto per essere simpatici.
José Feliciano |
Qui dico questo con
la soddisfazione per le mie ricerche che hanno dato un esito positivo e la
soddisfazione ed orgoglio per i miei studi in filosofia, e con il desiderio di
svelare ancora a tutti un’altra realtà assoluta e cioè che l’Alterità come
sentimento ostile ha un senso e una ragione d’esistere; senso e ragione che
dobbiamo cercare dentro di noi, il proprio Sé. L’alterità è un sentimento
negativo ma che serve per la nostra costruzione, per quello che siamo divenuti;
senza l’alterità la vita sarebbe silenziosa, priva di canti e suoni, priva di
sviluppo umano, di amore (perché è attraverso e grazie l’alterità che nasce
l’amore – detesto cosa ci colpisce della nostra Lei? – la sua diversità).
L’Alterità è rafforzamento; a volte è protezione e un dare e un donare... la
vita senza alterità sarebbe fatta di un solo colore, saremmo privi di maturità,
di costruzione delle nostre filosofie. Essa è un aspetto negativo – ma nel
negativo c’è sempre qualcosa di positivo, come a sua volta in questo c’è il
negativo. La persona che scrive è un portatore di handicap (orgogliosamente) e
tante volte ha dovuto affrontare il sentimento ostile. Le ultime volte che lo
ha fatto è stato per amore – in cui appunto ho scoperto che la diversità è
gesto d’amore, visto che è proprio la diversità che scatena in noi una voglia
di proteggere, dare amore a quel diverso che emoziona ogni giorno la propria
vita. Contemporaneamente mi trovai alla conferma del sentimento ostile per
ragioni di frustrazioni e dolore che l’uomo infligge; attraverso una persona
che era per me il mio migliore amico – il quale un giorno mi ha fatto capire
che se era un amico lo era per quello che rappresentavo. Un colpo al cuore, sì,
ma mi diede lo stimolo di cercare, di studiare, di dedicarmi agli altri, di
scoprire la mia capacità di comprendere quanto si è fragili, al tal punto da
gettare la sua frustrazione su di me. Al contempo ad egli si congiunge uno psicologo (che ha
studiato tra l’altro in quella in cui si dice che sia la migliore scuola di
psicologia – fatta e costituita da un maestro che sarebbe uno dei migliori) che
gridò anche la sua rabbia, frustrazione, odio verso uno che aveva trovato la
sua strada, uno che sapeva e sa trovare il bello anche nelle cose tristi della
vita. Qualcuno che legge questo articolo (che ho modificato tante volte poiché
non è facile dire quello che senti e rivivere certi momenti) potrebbe pensarmi
come uno sfigato, potrebbe pensare quell’amico e quello psicologo come persone
indegne. No, nulla di questo è vero, inoltre, nessuno è indegno, ma speciale di
sé. Queste sono state variabili della vita, incontri di vita, che servono a
crescere, a maturare e in una parola a costruire un senso alla propria vita,
una propria filosofia, scoprire il proprio talento, scoprire quanto l’umanità è
meravigliosa, perché quell’amico e quello psicologo, se hanno gettato veleno,
lo hanno fatto perché hanno dei cuori e dei sentimenti – e il tutto fa un’opera
d’arte, il tutto fa l’autenticità umana e di ogni uomo. Io ringrazio quei due,
perché io senza loro non avrei scritto la mia tesi. Senza ogni esperienza non
avrei scritto la mia vita. A sua volta non avrei fatto la stessa cosa, senza
aver incontrato la donna che ho amato. Ho imparato che nulla cosa nasce dal
nulla e nessuna cosa accade per nulla o senza una ragione, siamo liberi ma ci
aiutiamo a far emergere la verità del nulla, ci aiutiamo ad arricchirci e a
fare della vita un’opera d’arte, una musica bella. In questo panorama voglio
ringraziare il professore F. Abbri e il collega M. Micheletti (relatore e
correlatore della mia tesi) e tutti i loro colleghi (che ho incontrato nel
corso dei miei studi) dell’Università di Siena del Dipatimento di scienze della
formazione – studi umanistici e della comunicazione interculturale della sede di Arezzo (che consiglio di
scegliere a chi vuole studiare all’università – per il bell’ ambiente e i bravi
docenti che ci sono qui, non dimenticando tutti coloro che ci lavorano ed
evidenziando l’esistenza preparata e qualificata dell’Ufficio Accoglienza
Disabili), diretto dalla professoressa L. Fabbri. Un grazie alla redazione del
Corriere dello Spettacolo, che pubblica i miei saggi e articoli e un grazie ai
suoi lettori che li leggono; con tutti condivido la mia felicità e gioia del
mio lavoro e anche la mia passione e amore per la consulenza filosofica, a cui
mi dedico per amore per l’umanità.
Giuseppe Sanfilippo
complimenti
RispondiEliminaBravo Giuseppe!!!
RispondiEliminaCi sei riuscito. Sei un grande osservatore, studioso, ricercatore e un grandissimo filosofo
RispondiEliminaGrande dottore Giuseppe Sanfilippo: Sono veramente felice per te, grande uomo di grande coraggio e forza, capace di affrontare e vincere anche anche l'inferno e di aiutare contemporaneamente anche gli altri.
RispondiEliminaUn uomo super intelligente ma un po' stupido che mi fa arrabbiare perchè al mondo vi sono persone che occupano il posto che spetta a te, non è giusto startene disparte da tutto. Tu hai costruito tutto da te, gli altri l'hanno fatto ma appoggiandosi agli altri e se non c'erano questi non avrebbero fatto nulla. Prenditi quello che ti aspetta caro amico mio. È giusto che gli altri ti chiamano professore piuttosto di farsi chiamare loro.
Un numero uno della ricerca e dell'osservazione
RispondiEliminaSemplicemente una bellissima tesi! Sei un bravo 'professore'(perché ti ho conosciuto ieri alla Dante) ed anche dopo aver letto queste tue parole un GRANDE scrittore. Vorrei ricevere i tuoi gialli, dato che mi piace molto leggere quei tipi di letture... Ma non so su dove li posso trovare... Ti lascio la mia mail.. Così se hai tempo mi passi il link per trovare le letture? Bren_ilcuoreebello@hotmail.com Grazie mille! Saluti dall'Argentina Buenos Aires. 😊
RispondiElimina