Roma,
Teatro Ambra Garbatella. Dal 10 dicembre 2013 al 5 gennaio 2014
Dal titolo, si potrebbe immaginare
l’ennesima parodia di fantozziana memoria, una furba messa in scena dei
peggiori luoghi comuni sul mondo impiegatizio, un ulteriore dileggio di
un’intera categoria. Invece “Fannulloni” spiazza lo spettatore prevenuto e,
piacevolmente, affronta la tematica con un tocco di tenerezza inaspettata.
Alcide, Dino e Salvatore, i tre protagonisti, rappresentano con bravura ed
estrema naturalezza il sogno spezzato, le ali tarpate di tante, troppe persone
trovatesi a vivere una vita che non è quella agognata.
L’ufficio grigio, immutabile, ripetitivo, gli anni che precipitano trascinandosi dietro le speranze e i piccoli, grandi sogni dei tre. E allora coltivare le passioni di sempre può diventare l’ultima salvezza, che sia quella per la propria squadra del cuore o per l’arte del teatro, il non conformarsi al grigiore, ottimamente espresso dalle scene e i costumi (di Francesco Montanaro). Gabriele e Rosario Galli, gli autori di questa commedia forse troppo superficiale, sono riusciti comunque a portare in scena un ambito lavorativo, ammantando l’indiscutibile scorrettezza dei comportamenti dei tre impiegati, di una umanità tale da far parteggiare il pubblico per loro. L’elemento di rottura dell’equilibrio raggiunto dopo anni di lavoro sempre uguale, giunge con la nomina di un nuovo direttore, una donna indisponente, rabbiosa, dai modi arroganti. I tre fanno buon viso a cattivo gioco, ma si coalizzano per indagare cosa si nasconda dietro tanta inflessibilità. Quello che scopriranno, però, li renderà comprensivi nei confronti della donna, una meteora che col suo passaggio in quell’ufficio avrà avuto il merito di demolire il pregiudizio dei nostri verso “il simbolo dello sfascio del Paese: una donna direttore”.
L’ufficio grigio, immutabile, ripetitivo, gli anni che precipitano trascinandosi dietro le speranze e i piccoli, grandi sogni dei tre. E allora coltivare le passioni di sempre può diventare l’ultima salvezza, che sia quella per la propria squadra del cuore o per l’arte del teatro, il non conformarsi al grigiore, ottimamente espresso dalle scene e i costumi (di Francesco Montanaro). Gabriele e Rosario Galli, gli autori di questa commedia forse troppo superficiale, sono riusciti comunque a portare in scena un ambito lavorativo, ammantando l’indiscutibile scorrettezza dei comportamenti dei tre impiegati, di una umanità tale da far parteggiare il pubblico per loro. L’elemento di rottura dell’equilibrio raggiunto dopo anni di lavoro sempre uguale, giunge con la nomina di un nuovo direttore, una donna indisponente, rabbiosa, dai modi arroganti. I tre fanno buon viso a cattivo gioco, ma si coalizzano per indagare cosa si nasconda dietro tanta inflessibilità. Quello che scopriranno, però, li renderà comprensivi nei confronti della donna, una meteora che col suo passaggio in quell’ufficio avrà avuto il merito di demolire il pregiudizio dei nostri verso “il simbolo dello sfascio del Paese: una donna direttore”.
Una commedia comunque divertente,
ottimamente interpretata da tre bravissimi e noti attori. Angelo Maggi nel
ruolo del nevrile e misogino Alcide, che vive per la sua Roma, vessato dalla ex
moglie. Massimo Corvo dà vita a Dino, che sogna di fare l’attore teatrale e
corteggia da anni, senza alcun risultato, la fantomatica Flora. Roberto Attias
nel ruolo di un esilarante usciere, Salvatore, eternamente infatuato delle più inverosimili
tesi complottistiche mondiali. La direttrice è Annamaria Iacopini, esasperata
ed esasperante, bella ma algida.
Detto questo però, rimangono forti
perplessità sulla conduzione della storia. Il finale, sinceramente, stride rumorosamente
con tutto quello visto prima, dando l’impressione di un testo avulso dalla precedente
“linea di galleggiamento” tenuta per tutta la commedia. Sembra quasi un
frammento di qualcos’altro, provocandone “l’affondamento” nel melenso. Non
funziona, non è credibile.
Peccato, perché tutti i protagonisti, in
fondo, rappresentano un’umanità ferita, disarmonica che, come giustamente ci
suggeriscono gli autori (e registi) combatte “una guerra civile senza armi... ma ugualmente cruenta”. Ci sono i
caduti, eccome, in questa guerra che non fa rumore e forse quelli che si
salvano sono proprio coloro che non tradiscono le proprie passioni, e
continuano a coltivarle sottotraccia. Del resto, il sogno disperato di Alcide
di vedere il figlio dodicenne diventare un campione di calcio (“ho un figlio
campione da seguire”) cos’altro è se non il desiderio di essere vincenti almeno
una volta nelle nostre vite? Questa commedia, pur perdendo l’occasione di una
satira più approfondita, (visto il calibro degli interpreti), ce lo sussurra:
la passione salverà il mondo.
Ma ci si aspettava molto di più da chi dette
vita al celebre “Uomini sull’orlo di una crisi di nervi”.
Paolo Leone
“Fannulloni – il caso Brunetta” scritto e diretto da Gabriele e Rosario
Galli.
Con:
Massimo Corvo, Angelo Maggi, Roberto Attias e Annamaria Iacopini.
Scene
e costumi: Francesco Montanaro
Musiche:
Enrico Razzicchia
Luci:
Pietro Frascaro
Aiuto
regia: Vanina Marini
Assistente
alla regia: Jean Paul Sneider
Ufficio stampa:
D&C 4 Events and Events
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