Roma, Teatro dei
Conciatori, dal 10 al 22 dicembre
Suona il violino, il postino Fritz, il fedele
portalettere del Fuhrer. Un refolo di grazia in una mente devastata dai ricordi
dei giorni nel bunker in cui terminò la follia nazista. Il crollo fragoroso di
quello che fu il grande, imperdonabile abbaglio di un popolo. Lotta coi
fantasmi il postino Fritz, quelli veri, quelli più reconditi dell’animo umano,
quelli che fanno paura sul serio, quelli che sconvolgono e dilaniano le proprie e le altrui esistenze.
Racconta il postino, vorticando nel suo lucido delirio, i giorni della disfatta
del regime e della sua vita, ormai preda degli incubi. La grande Germania, la
grande fabbrica di morti, è sempre presente nel suo eloquio, nel suo animo
tradito. I suoi dubbi diventano insostenibili rimorsi ”…se avessi fatto, se non avessi detto…” che lo tormentano, come il
ricordo ossessivo del rumore dell’impianto di areazione del bunker, come gli
“angeli biondi”, i figli di Goebbels, “accompagnati in cielo” dal suono del suo
violino, come il tumulo di terra e rami secchi che nasconde i corpi di Hitler e
di sua moglie Eva Braun, come il ricordo della vista dei lager “qualcosa devono pur aver fatto per meritarsi
questo”, come la signora Stein e i suoi bambini che ballano sulle note del
suo strumento ma si sgretolano davanti a lui, diventando polvere…la stessa del
suo condottiero. E il viaggio nella mente di Fritz continua, và ad incontrare
“l’esercito dei morti”, che gli vogliono bene “…che colpa hai, tu ci credevi Fritz…”, perché i morti tra loro si
vogliono tutti bene. Un continuo passaggio tra vita e morte, tra il ricordo
martoriato e la consapevolezza disperata del disfacimento; vortice cupo,
asfissiante, nei meandri della mente del testimone, reduce sì, ma imprigionato
per sempre nelle spesse mura del bunker. Anche lui, come i suoi capi, sotto il
tumulo di terra e rami secchi.
Gianni Guardigli, l’autore del testo di
questo difficile monologo, conferma la qualità assoluta delle sue opere e
ribadisce il suo particolare approccio introspettivo agli argomenti portati in
scena. Si affida, anche in questa pièce in scena al Teatro dei Conciatori, al
talento straordinario di Francesco Branchetti, che riesce a dare corpo e voce
al personaggio Fritz con un’interpretazione che non può che definirsi
strabiliante. Supportato dalla bellissima regia di Isabella Giannone, dalle
suggestive ed inquietanti musiche di Pino Cangialosi, dalla scenografia (e
costumi) di Clara Surro, che si adatta perfettamente al personaggio, e dalle
luci quantomai funzionali di Flavio Mainella, Branchetti sfodera una prova d’attore
impressionante per intensità e capacità espressiva, riuscendo a trascinare, a
precipitare il pubblico nel baratro buio in cui si dibatte il personaggio
protagonista del monologo. Si trasforma, suda, trema, grida, sussurra, ora
impetuoso, ora supplichevole, inquieta e suscita compassione, spaventa e
commuove. Si muove sul palco con passi misurati, forse gli stessi imposti dallo
spazio del bunker che Fritz ricorda, disegnando ora la disperazione, ora i
sussulti di orgoglio nazionalista del protagonista. Diventa lui stesso il
“Caronte” del quadro di Bocklin, “l’isola dei morti”, affisso nell’ufficio di
Hitler, coprendosi con un velo bianco, effetto scenico di forte impatto. I
morti che perseguitano, i morti che comprendono. L’unica speranza che resta
alla disperazione del suo Fritz, che ha visto “la fine del mondo”. L’uscita di scena, al termine della
rappresentazione, vale da sola il prezzo del biglietto. Un concentrato perfetto
di movimento, espressività rara, luci e musica, che riconciliano con la
bellezza del teatro. Che non varrebbero nulla però, senza le emozioni trasmesse
dal palco.
Paolo Leone
Roma,
Teatro dei Conciatori, dal 10 al 22 dicembre
“La
disfatta” di Gianni Guardigli
Con:
Francesco Branchetti
Regia:
Francesco Branchetti e Isabella Giannone
Musiche:
Pino Cangialosi – Scene e costumi: Clara Surro – Disegno luci: Flavio Mainella
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