Roma, Teatro Sala Umberto dal 17 dicembre 2013
E’ raro che un teatro
intero, gremito come mai, si alzi in piedi commosso ad applaudire e acclamare
con l’entusiasmo visto stasera, un artista al termine di uno spettacolo.
Personalmente, mai avevo assistito ad una simile ovazione e mai uno spettacolo
l’aveva così meritata. “Magazzino 18”, con Simone Cristicchi, è un’ opera
meravigliosa! Il teatro di narrazione, in questo caso specifico, diventa non
solo una lezione di storia, ma la speranza che il teatro stesso sia ancora e
diventi ancor di più il vero centro culturale di un Paese, la speranza che la
Cultura abbia ancora il fascino che deve.
Quello che il bravissimo Cristicchi ha rappresentato, non è soltanto il racconto terribile del vergognoso esodo biblico degli italiani d’Istria, Fiume e Dalmazia e degli orrori che scellerate decisioni postbelliche produssero, ma ha il pregio di averlo fatto in maniera sublime, aiutato da una regia strepitosa (di Antonio Calenda). Il giovane archivista romano che lui incarna in scena viene inviato nel magazzino 18, al Porto Vecchio di Trieste, per inventariare la massa enorme di masserizie stipata a seguito dell’esodo. Ogni cosa è marchiata da un numero e un nome. Ci sono i topi nel magazzino, ma ci sono anche i fantasmi, quelli che non fanno paura a nessuno, quelli dimenticati, occultati, nascosti alla memoria di una nazione. Meglio non sapere. Prendono vita dai nomi, gli oggetti, e raccontano le storie, i drammi, le speranze, le ingiustizie subite da un popolo che era il nostro. Le ideologie producono mostri e Cristicchi ce li racconta, li canta, li recita. Il folletto dai capelli a cespuglio riesce ad ammutolire un teatro intero (ce ne fossero più spesso, di tali fenomeni), a commuovere, a svelare anche a chi non ne sa nulla di quel che è successo negli stessi posti dove oggi ignari eserciti di vacanzieri si riversano per il bel mare durante le stagioni estive.
Quello che il bravissimo Cristicchi ha rappresentato, non è soltanto il racconto terribile del vergognoso esodo biblico degli italiani d’Istria, Fiume e Dalmazia e degli orrori che scellerate decisioni postbelliche produssero, ma ha il pregio di averlo fatto in maniera sublime, aiutato da una regia strepitosa (di Antonio Calenda). Il giovane archivista romano che lui incarna in scena viene inviato nel magazzino 18, al Porto Vecchio di Trieste, per inventariare la massa enorme di masserizie stipata a seguito dell’esodo. Ogni cosa è marchiata da un numero e un nome. Ci sono i topi nel magazzino, ma ci sono anche i fantasmi, quelli che non fanno paura a nessuno, quelli dimenticati, occultati, nascosti alla memoria di una nazione. Meglio non sapere. Prendono vita dai nomi, gli oggetti, e raccontano le storie, i drammi, le speranze, le ingiustizie subite da un popolo che era il nostro. Le ideologie producono mostri e Cristicchi ce li racconta, li canta, li recita. Il folletto dai capelli a cespuglio riesce ad ammutolire un teatro intero (ce ne fossero più spesso, di tali fenomeni), a commuovere, a svelare anche a chi non ne sa nulla di quel che è successo negli stessi posti dove oggi ignari eserciti di vacanzieri si riversano per il bel mare durante le stagioni estive.
I momenti più significativi sono accompagnati
da inedite canzoni da lui scritte e regalano alla lunga storia un afflato
poetico eccezionale. Filmati inediti scorrono sul megaschermo, foto d’epoca, e
con un uso perfetto delle luci, accompagnano i racconti. Uno spettacolo
coraggioso, dove ce n’è per tutti, per quelli che hanno provocato la fuga di
tanta povera gente, per i fascisti prima, i comunisti poi, per gli italiani che
hanno fatto finta di non vedere, per quelli che ancora non sanno. E’ difficile
esprimere la bellezza di questa opera, perché è difficile parlare di
un’atmosfera che mai avevo percepito in una platea. Si freme, si soffre, si
piange, si, si trema di emozioni e l’esplosione di entusiasmo e le grida di “grazie!” che hanno sommerso Simone al
termine della sua prova è la risposta a chi ancora si ostina a ripetere che
“oggi la gente vuole solo ridere” e con questa deleteria convinzione ci propina
sciocchezze di ogni genere. Forse il pubblico, invece, vuole emozionarsi e non
può farlo se si continuano a proporre encefalogrammi piatti sui palcoscenici.
Non si tratta di ridere o non ridere. Si tratta di teatro o di ciarpame. La
differenza è tutta lì. Ci sono commedie bellissime, divertenti ma profonde, e
ci sono rappresentazioni come “Magazzino 18”, dove certo non si ride (anche se
Cristicchi riesce a stemperare ogni tanto la drammaticità grazie alla sua
naturale simpatia e ad una regia attenta a questi particolari) ma che penetrano
a fondo l’animo di chi assiste, lo scuotono. “Magazzino 18” si candida di prepotenza come uno degli spettacoli più belli ed
emozionanti visti negli ultimi anni.
Coraggio, signori produttori, signori
direttori di teatri. Proponete il bello, che faccia ridere o piangere, ma
abbiate il coraggio di dare spazio alla Cultura, all’intelligenza, alle
emozioni profonde. O è la fine.
Paolo
Leone
Simone Cristicchi in:
“Magazzino 18” scritto con Jan Bernas.
Roma, Teatro Sala
Umberto dal 17 dicembre
Regia: Antonio
Calenda
Musiche e canzoni
inedite di Simone Cristicchi
Musiche di scena e
arrangiamenti: Valter Sivilotti
Scene: Paolo Giovanazzi
Luci: Nino Napoletano
Uno spettacolo sensazionele, un'opera di altissimo livello, un artista completo, geniale, unico. Non fosse nato in un paese fatto da mediocri e per mediocri, Simone Cristicchi sarebbe da tempo una star internazionale.
RispondiElimina(ovviamente intendevo sensazionAle... mi si scusi il refuso simil-sacchiano :D )
RispondiEliminasono d'accordo con te Antonio.
RispondiEliminaSpettacolo veramente eccezionale. ill buon gusto, l'assenza di recriminazioni, il tono narrante, ne hanno fatto un racconto di storia illuminante e sincero. Bravo e' dir poco!
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