Sala
Tripcovich e Teatro Miela, Trieste. Dal 17 al 22 gennaio 2014
Anche
quest’anno Trieste ospita il festival cinematografico dedicato alle produzioni
dell’Europa Centro Orientale. Nel corso dell’inaugurazione, Maria Percavassi ha
rievocato la prima edizione, proposta alla fine del 1989, subito dopo il crollo
del Muro di Berlino, ma pensata già qualche anno prima dimostrando di aver ben
colto quello che si preparava al di là dei nostri confini. A Trieste, città di
frontiera, sempre in bilico tra tante culture, eternamente alla ricerca di
un’identità che non può avere perché troppo ricca di tante, tutte assieme, un
gruppo di persone facenti parte della Cappella Underground, seppero agire per
costruire dei ponti tra barriere soprattutto ideologiche. Come? Attraverso la cultura e, nello
specifico, il cinema, loro grande passione: progettarono di rendere visibili in
occidente pellicole che faticavano ad essere proiettate anche nei paesi di
provenienza, favorire l’incontro tra artisti dei due blocchi separati allora
dalla Cortina di Ferro e tra coloro che operavano all’Est europeo, spesso
condannati all’isolamento anche in patria. Le istituzioni della neonata
Comunità di Lavoro Alpe Adria accettarono la proposta e si realizzò il progetto
“Alpe Adria, aree cinematografiche a confronto”.
Dopo essere
stato ospitato in varie sedi cittadine nel corso delle varie edizioni, quest’anno
è possibile seguire in pieno centro, tra la sala Tripcovich e il Teatro Miela,
più di ottanta proposte, fra corti e lungometraggi, documentari e film
d’animazione, in concorso e fuori concorso, oltre ad una sezione tutta dedicata
a Sergej Paradžanov, “cineasta-pittore, artista
visivo di difficile classificazione”, con due pellicole, un film e un
documentario con immagini inedite del film stesso, centrate sulla vita di Sayat
Nova, poeta trovatore armeno, presentata attraverso le sue poesie: “Sayat Nova
– Il colore del melograno” e “Reminiscenze su Sayat Nova”; completa l’omaggio al
regista il film “Paradjanov”, che racconta alcuni dei momenti salienti della
sua vita e del suo lavoro.
Si tratta di
un modo di far cinema al quale non siamo abituati, a volte molto duro, in cui
la violenza, quando c’è, aleggia nell’aria, dando un senso d’ineluttabilità assoluta
che rende di fatto inutile la sua rappresentazione.
Occasione da
non perdere per tutti gli appassionati di questa forma d’arte.
Paola Pini
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