Milano, Arci
Ohibò, Via Benaco 1. 26 gennaio 2014
Viene il mattino azzurro
nel nostro padiglione:
sulle panche di sole
e di crudissimo legno
siedono gli ammalati,
non hanno nulla da dire,
odorano anch’essi di legno,
non hanno ossa né vita,
stan lì con le mani
inchiodate nel grembo
a guardare fissi la terra.
nel nostro padiglione:
sulle panche di sole
e di crudissimo legno
siedono gli ammalati,
non hanno nulla da dire,
odorano anch’essi di legno,
non hanno ossa né vita,
stan lì con le mani
inchiodate nel grembo
a guardare fissi la terra.
Era
giusto ricordare la poesia di Alda Merini da cui prende il titolo lo spettacolo
di Mario Barzaghi, regista dalla lunga esperienza, fondatore del Teatro
dell’Albero nel 1999, e ora di questa
nuova compagnia Diaphanès, incentrato sullo stretto legame, direi quasi una
simbiosi inevitabile, tra follia e arte, sofferenza e creazione.
Una
giovane attrice, Tiziana Tricarico, un
po’ ballerina, un po’ marionetta, un pò bambola, ma comunque sempre vittima di dottori, padri,
scienziati, amanti, dell’opinione
pubblica, degli editori, dei regimi, del potere, Simone Lampis, l’altro
protagonista è tutto questo mondo maschile,
incarna il ruolo della follia con dolore, sprazzi di lucidità,
incoscienza e lo stupore di chi vive vedendo il cielo azzurro anche
quando non c’è. Prerogativa che hanno solo gli artisti, anche quando sono internati come è successo alla Merini, a soli
sedici anni, in quel luogo tristemente famoso che qui ironicamente è
chiamato “Casa del sollievo”, dove
invece il più delle volte “si impazzisce davvero”.
“fra gli escrementi e le latrine puzzolenti
imparai ad amare i miei simili”, ci ha lasciato scritto la Merini perché l’Artista,
il vero Artista, affonda le mani nel fango, nel vomito, negli abissi dell’animo
umano, entra dove altri non si sognerebbero mai di entrare. Ne esce con le mani
sporche, la puzza addosso, l'orrore di avere visto cose inaudite, ma quelle mani le innalza verso il cielo per
tingerle di azzurro, di nuovo pulite e
belle. Non a caso la scelta della citazione latina come sottotitolo:
attraverso le asperità alle stelle.
In quella stanza d’ospedale, ricreata dalla
scenografia, ma che una tendina rossa come quella di un teatrino dei burattini
rende simile ad una stanza dei bambini, Tiziana gioca un gioco crudele con il
suo carnefice, che le fa l’elettroshock, la tratta come un essere senza dignità
e senza speranza, proprio come spesso vengono trattati i pazzi e gli artisti:
allontanati, reclusi, nascosti, vituperati.
Non
solo i versi della Merini vengono recitati ma anche quelli di Pasolini, di Antonia Pozzi la poetessa morta
sucida, di Artaud, di Müller, il più grande drammaturgo tedesco dopo Brecht, di
Brugnaro, il poeta operaio, e di altri artisti che hanno vissuto realtà sociali
difficili, ambienti familiari chiusi, discriminazioni di ogni genere.
Tiziana li incarna tutti, con quel suo corpo
flessuoso e flessibile, che sembra spezzarsi sotto la presa di Simone,
inquietante e bello, ma poi rialza la testa e ci guarda come una bambina che
non capisce perché è stata rinchiusa in
una stanza da cui non può uscire. Ma che ci sorride lo stesso. “inghirlandata
della sua follia” come scrive la Merini.
Quali
sono le sue colpe? Quale sarà la punizione?
Non
c’è dubbio che Barzaghi fa di Tiziana
una strana Alice che ha la capacità di emozionarci e di stupirci per quello che
ci dice e per quello che ci fa immaginare, grazie al suo talento e ad un bel
pizzico di pazzia. E, non ho dubbi, non manchi nemmeno al regista e a Simone Loris.
Questo
ci rallegra e ci fa sperare in un futuro azzurro… sempre striato di rosa… però.
Daria D.
Regia
di Mario Barzaghi
Con:
Tiziana Tricarico e Simone Lampis
Testi di : Mario
Barzaghi, Alda Merini, Ferruccio Brugnaro, Heiner Müller, Francesco Permunian,
Aldo Nove, Antonia Pozzi, Virginia Woolf, Pier Paolo Pasolini, Antonin Artaud
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