Teatro Golden, Roma. Dal 7 gennaio al 2 febbraio 2014
La solitudine dei
numeri primi, ma anche l’elogio, la rivalutazione degli stessi, dei
dimenticati, degli ultimi, in tutti i sensi. Ultimo è Marco e il suo ruolo, che
ormai non esiste più nel calcio moderno, solo da sempre: da ragazzino, da
calciatore eternamente in panchina, anche da marito, miseramente tradito.
Dimenticato, come i bambini che tenta di allenare in Africa, dimenticato come
il “punto e virgola” che non riesce ad inserire nella lettera che da quindici
anni tenta di scrivere al suo vecchio amico Tino. Ricorda Marco e racconta, da
quel villaggio sperduto in Africa, della sua carriera da calciatore di serie B,
ma iniziata sul campo di pozzolana del San Filippo Neri insieme a Tino, i pali
delle porte fatte coi maglioni, piedi non proprio educati ma fatti per correre,
correre e basta. Un calciatore mediocre, un mediano, di quelli che non fanno la
storia, che lavorano più che altro sui polmoni.
Lui non fa parte degli “eletti”, come quei bambini che ora ascoltano affascinati il loro “Marcomediano”. Emarginati anche loro, ma che nella loro naturale allegria consentono a Marco di sentirsi meno solo, come quando da bambino giocava nel rione Garbatella sbattendo la palla contro le saracinesche, trovando compagnia nel rumore fragoroso della lamiera e gli insulti di chi voleva riposare in casa. L’amico Tino percorreva altre strade, fatte di celebrità, successi, mentre lui passava da una panchina all’altra, fino al momento più alto: l’esordio con il Cesena nella partita salvezza contro il Cosenza. La possibilità di dare un senso a tutta la sua triste carriera con il rigore decisivo…riscattare una vita fatta solo e sempre di allenamenti, mai di gioco sul campo.
Lui non fa parte degli “eletti”, come quei bambini che ora ascoltano affascinati il loro “Marcomediano”. Emarginati anche loro, ma che nella loro naturale allegria consentono a Marco di sentirsi meno solo, come quando da bambino giocava nel rione Garbatella sbattendo la palla contro le saracinesche, trovando compagnia nel rumore fragoroso della lamiera e gli insulti di chi voleva riposare in casa. L’amico Tino percorreva altre strade, fatte di celebrità, successi, mentre lui passava da una panchina all’altra, fino al momento più alto: l’esordio con il Cesena nella partita salvezza contro il Cosenza. La possibilità di dare un senso a tutta la sua triste carriera con il rigore decisivo…riscattare una vita fatta solo e sempre di allenamenti, mai di gioco sul campo.
Michele La Ginestra , con il suo
tipico stile trasognato ma brillante, ci trasporta in un racconto bellissimo,
anche teatralmente, ricco di dolcezza e ironia, che parla di vita, di amicizia,
di amore, di dolore. Il centrocampo è il
mondo e l’uomo è da solo, lì in mezzo. E’ supportato in scena da
un’originale coreografia (ideata da Laura Ruocco) animata da quattro giovani
attori che danno vita e voce alle sagome (disegnate da Camilla Cuparo) che
vanno e vengono come i ricordi del protagonista. Una sagace iniziativa, che
rende ancor di più il senso della solitudine di “Marcomediano”, che parla e
risponde alle sagome e non a chi le muove. Le musiche dal vivo (di Antonio Di
Pofi), particolari e ben funzionali, sono eseguite da Federica Rizzo (viola),
Carla Tutino (contrabbasso) e Stefano Calderano (chitarra) e la regia di
Marafante dà quel tocco di intimismo che aggiunge calore al tutto.
Un testo molto
divertente e profondo, che ricorda alla lontana una sua vecchia interpretazione
nella commedia “Radice di 2” ,
per la poesia ed il sentimento struggente che riesce a trasmettere. Si ride, si
sorride, si riflette, ci si commuove anche, per questo nostalgico omaggio al
grande capitano della Roma Agostino Di Bartolomei, che decise, lui sì, come ben
proclama Marco-La Ginestra, “di non essere più”, anche lui dimenticato, vittima
delle altrui distrazioni e della propria fragilità.
Alla fine il suo personaggio completerà la
lettera indirizzata all’amico Tino (Agostino), dopo tanto allenamento
dell’anima per riuscirci, e il finale va visto e ascoltato perché la poesia
della vita non si racconta, va vissuta, lasciandosi travolgere dalle emozioni.
Se il calcio, se i rapporti umani hanno ancora oggi un barlume di umanità, di
dolcezza, in questo spettacolo Michele La Ginestra ne è il naturale e convincente rappresentante.
Paolo Leone
Teatro Golden, Roma (via Taranto 36) dal 7 gennaio al 2
febbraio.
“Garbatella Futbol Cleb” (mediano di spinta, riveduto e
corretto) di Michele La
Ginestra e Adriano Bennicelli”
Con: Michele La Ginestra ; Federica Rizzo (viola); Carla Tutino
(contrabbasso); Stefano Calderano (chitarra)
E con: Emanuel Caserio, Ida Basile, Giulio Benvenuti,
Alessandra Micozzi
Movimenti coreografici: Laura Ruocco
Musiche: Antonio Di Pofi
Regia: Roberto Marafante
Grazie all’addetto stampa del teatro Golden, Daria
Delfino, per le foto di scena
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