Il
20 gennaio, a Milano, lo spettacolo, “Ciao amore ciao”, scritto da Piero Di
Blasio, in cui è protagonista insieme a Stefania Fratepietro, ha vinto il Musical
Award 2013 quale miglior “musical off” italiano. Lo incontro due giorni dopo, a
Roma, ancora ebbro di felicità dopo il gran galà milanese al teatro Manzoni. Una
persona, che nonostante la vittoria appena conquistata ed un curriculum
artistico di grande livello, conserva nello sguardo l’umiltà, trasmette quella
sensazione di ferma consapevolezza che il lavoro serio, duro, è quello che ti
fa progredire. Che nulla nella vita è scontato e che anche la fortuna ha il suo
ruolo. La saggezza nel capire che non basta aver talento e che tanti compagni
di cordata (e lo dice con amarezza sincera) si perdono prima della vetta. Il
Corriere dello Spettacolo è la prima rivista a cui si concede dopo il grande
riconoscimento del Musical Award. Conosciamolo meglio, Luca Notari.
Luca,
sono tanti anni che sei sulla scena. Hai esordito a vent’anni in “Melodica”,
per la regia di Gigi Proietti. Chi era allora Luca Notari, quali i sogni, le
speranze, le paure…

Avevi
una bella parte in quello spettacolo?
Beh, si, eravamo in
tre in scena. Per me fu un grandissimo debutto, un’occasione straordinaria,
anche perché in quel periodo venne a vederci Massimo Ranieri e mi chiese di
fare un provino per lui, per lo show che stava preparando, che era “Hollywood,
ritratto di un divo”, con la regia di Giuseppe Patroni Griffi. Insomma, da lì è
partita tutta questa cavalcata e non si è mai fermata. Ovviamente con gli alti
e i bassi del caso, però con scelte che poi ho fatto nel tempo e che mi sono
sempre tornate utili sia per i rapporti che uno si crea, ma soprattutto per le
scelte artistiche che mi hanno reso forse più consapevole e più forte rispetto
a tanti miei amici e colleghi che, purtroppo, per la condizione in cui siamo,
sono costretti a dire sempre si a tutto. A volte trovi dei curriculum
ampissimi, ma di sostanza e qualità tale che, e ripeto purtroppo, diventano
controproducenti.
Tanti
anni fa, in Italia, la commedia musicale era preponderante. Poi andò quasi
scomparendo. Ora ho la sensazione che, non tanto quel tipo di commedia, quanto
i musical veri e propri, si stiano aprendo una strada ben definita. E’ vero
questo?

A
proposito di produzioni…credi che in Italia siamo indietro nel promuovere e
produrre musical oppure la strada è adesso indicata chiaramente?

Hai
lavorato con Giampiero Ingrassia e Tosca nel “Salvatore Giuliano”. E’ stato
quello il momento del lancio definitivo?
Quello è stato il
primo spettacolo, a cui sono legatissimo, scritto da Dino Scuderi, in cui ho
cantato tutte le canzoni, tutte le melodie che c’erano. Abbiamo debuttato nel
2001, ma era in lavorazione dal 97. Ho cantato ogni nota e anche prima del
testo, cantavo a Dino, mio grande amico, in finto inglese, i temi delle canzoni
per dare a lui il colore, la percezione di quelle che erano le sue melodie.
Quello è stato per me il lancio come protagonista, perché avevo un ruolo
bellissimo scritto apposta per me e, cosa che mi inorgoglisce non poco, c’era
Garinei alla prima di Taormina a vedere lo show, che al termine mi disse: “tu
sei il nuovo Domenico Modugno”! Si, col “Salvatore Giuliano” presi coscienza
della mia crescita e fu il lancio per le altre avventure. Poi lo riprendemmo
nel 2011 con Giampiero Ingrassia e Barbara Cola al posto di Tosca.
Dai,
ora raccontaci cosa vuol dire debuttare in una Prima mondiale all’interno del
Colosseo!
E’ stata incredibile
quell’esperienza (trasale)! Intanto, fortunatamente direi, il Colosseo non
viene dato facilmente per allestire spettacoli. In quell’occasione, dataci se
ricordo bene dal Ministero dei Beni Culturali per un evento in memoria di
Giovanni Paolo II, è stato fantastico lavorare ancora per Dino Scuderi che
secondo me in Italia è uno dei pochi musicisti in grado di dare forza alla
musica in teatro. La sua musica è molto drammaturgica, “racconta” molto. Quando
debuttammo in questo spettacolo, nato da un’idea di Renato Greco (Odysseus – maggio
2005), dentro l’anfiteatro Flavio, anche se con poche persone perché la platea
era logicamente molto piccola, 150 persone…cantare lì dentro, col frastuono
della città che arriva molto attutito da quelle mura, con una luna piena
bellissima, è stato davvero qualcosa di indimenticabile, un’emozione
travolgente! Poi portammo lo spettacolo al Teatro dell’Opera del Cairo e
andammo anche ad Alessandria d’Egitto, un altro ricordo bellissimo.

(pausa) C’è il rischio,
perché anche qui viviamo in un periodo di confusione e non definirsi in un
settore può forse creare questo “limbo”. Però è pur vero che un interprete, un
cantante, un danzatore, è un attore vero e proprio, è un mezzo per trasmettere
emozione. Quindi che ci sia la parola, che ci sia il canto, o un movimento, è
un’espressione artistica che secondo me và vista in maniera totale. Oltretutto,
il musical
performer, è chiamato così proprio perché abbraccia tutte le arti, dal
canto al ballo, alla recitazione. Sono prove a cui ci si sottopone, che uno sostiene
per crescere…Con La Manna
(regista), facemmo “Corpus Christi”, un bellissimo testo di Terrence Mcnally,
sull’ultima settimana di Gesù, bellissimo, soltanto prosa, senza il cantato.
Quell’esperienza mi ha sicuramente fortificato anche nel campo
dell’interpretazione attoriale, dell’uso della parola, a cui magari a volte,
solo col canto, non dai il giusto peso. Riuscii a trovare una mia dimensione!
Sulla
scia della domanda precedente, ti lancio un’altra provocazione. Nel tuo vissuto
artistico hai delle collaborazioni, anche a livello internazionale,
impressionanti. Raramente si può constatare una tale abbondanza di lavori così
qualitativamente elevati. Eppure, io ho l’impressione che rispetto, ad esempio,
ad un grande nome del teatro di prosa il tuo, piuttosto che quello della
Fratepietro o altri grandi interpreti, sia confinato in una sorta di recinto.
Come dire: il musical non è teatro, il teatro non può mischiarsi col musical…e
così via…
C’è, è vero, questa tendenza
a chiudere i settori, per cui il grande attore di prosa non ha niente a che
fare con un grande attore di musical. Io, poi, non mi ritengo un primo nome nel
teatro, sono un’artista, una persona che molto umilmente si approccia a
quest’arte. E’ vero, c’è una chiusura dei settori. E’ come la provocazione
cinema – teatro: quello di cinema è incapace a fare teatro e viceversa…grandi
attori sono grandi attori, a prescindere dal mezzo con cui si esprimono! Robert
De Niro e Al Pacino sono dei grandissimi attori di teatro e di cinema! Questo
dei settori, secondo me, è un fenomeno prettamente italiano! In America hanno
una preparazione a 360 gradi…proprio l’altra sera, durante la premiazione dei
Musical Award, Paolo Limiti ci ha fatto vedere un filmato di Clark Gable che
danzava il tip tap in una maniera incredibile! Anche i grandi divi, hanno una
preparazione totale, completamente diversa dalla nostra, perché l’arte spazia
in varie dimensioni, non puoi limitarla!
Questa
è una mia personalissima curiosità: l’attore di musical, anzi un musical
performer (mi hai insegnato un termine che non conoscevo), fà un lavoro
introspettivo nell’interpretare un personaggio?

Che
importanza ha avuto il tuo incontro con Tony Cucchiara?
E’ avvenuto in un
momento particolare. Avevo quasi deciso di allontanarmi dal musical perché non
mi riconoscevo in alcune cose che si facevano. Io mi sento molto legato ad un
teatro musicale che abbia un peso drammaturgico, non mi appartiene la commedia
lustrini e pallettes. Non sono molto portato per la danza, mi sono indirizzato
verso altre espressioni e l’incontro con Tony e Annalisa è stato decisivo.
Annalisa, mia amica e partner con cui spero presto di tornare in scena, mi
chiamò per propormi una sostituzione in “Pipino il Breve”, allo Stabile di Catania,
vedi la casualità anche qui?! Sapere di poter lavorare con loro mi fece dire
subito di si! Costetto a cantare e recitare in siciliano, io umbro…fu una sfida
vinta alla grande!
A
proposito di sfide e vittorie: siamo ad appena due giorni dal grande riconoscimento,
quale miglior musical off, di “Ciao amore ciao” che hai interpretato insieme a
Stefania Fratepietro. Da quello che ho letto in passato, mi sembra di aver
capito che questo spettacolo ti abbia dato tanto anche dal punto di vista
umano, molto arricchente.

Se
ti arrivasse una proposta per una parte in uno spettacolo di prosa tout-court,
senza musiche, accetteresti o avresti delle remore?
(ride) Su due piedi
ti direi di si, è un’esperienza in più. Certo, con tutte le paure di affrontare
un ambito che non è propriamente il mio. Del resto è un po’ quello che è
successo con Massimo Venturiello che mi tirò dentro il “Borghese gentiluomo” di
Molière, con cui debuttiamo il 23 gennaio al teatro Parioli di Roma. Lì però ho
un appiglio sicuro, perché ci sono comunque delle canzoni da interpretare.
Ecco, in questo caso l’approccio è
tipicamente quello di uno spettacolo di prosa. E’ una bellissima
commedia musicale, con musiche scritte da Germano Mazzocchetti, ma non è un
musical, direi più prosa con musiche, ecco.
Un
sogno che vorresti realizzare…spara grosso!
Grosso? Una grande
produzione musicale. Io sono innamorato delle grandi voci. Ecco, una produzione
con uno dei più grandi produttori, che è David Foster, lo stesso produttore di
Bocelli…avere la possibilità di incontrare uno di questi personaggi, potergli
dimostrare quello che si è in grado di fare, ecco si, quella sarebbe
l’occasione più grande della mia vita. A questo aspiro. Ho avuto la possibilità
di collaborare con un grande produttore, Michael Baker, che è stato
l’arrangiatore e il direttore musicale degli ultimi quindici anni di dischi di
Whitney Houston, abbiamo collaborato per due canzoni, un’esperienza fantastica.
Ecco, mi piacerebbe trovare una mia dimensione nella musica pop.
Bene
Luca. Ora hai vinto questo premio importante per il tuo lavoro, debutti al
Parioli con il “Borghese gentiluomo” insieme a Venturiello e Tosca, sogni
produzioni…non è che ora ti monti la testa?
Tendenzialmente sono
uno che sta coi piedi ben piantati a terra. Non nego che i riconoscimenti
facciano piacere e anche camminare a dieci centimetri di altezza, ed è giusto
che sia così. Ma io sono un’artigiano di questo lavoro, non sono un divo. Non voglio dimenticare chi sono, cosa faccio
e da dove vengo. Non credo che possa accadere, a meno che arrivi l’occasione
che ti cambia totalmente la vita, non lo so. Un artigiano, che lavora ogni
giorno duramente, cercando di migliorarsi sempre, e di creare qualcosa di
nuovo. Sono legatissimo a “Ciao amore ciao”, perché insieme a Stefania
Fratepietro, questo è il nostro obiettivo. Proprio perché ci consideriamo
artigiani, vorremmo creare una nostra piccola produzione, diventare una realtà
che porti nuovi spettacoli, cose nuove. Questo è un progetto, non un sogno. Un
progetto di vita. Non voglio essere sempre uno scritturato, anche bravo, ma
creare qualcosa di mio, di nostro. E questo spettacolo ci ha messo in
condizione di poter iniziare.
In
bocca al lupo dalla redazione del Corriere, Luca. Come dire? …to be continued…
Curata da Paolo Leone
Si ringrazia
l’ufficio stampa del Teatro Golden, Daria Delfino, per la preziosa
collaborazione.
Nessun commento:
Posta un commento