Teatro de’ Servi, Roma.
Dal 18 febbraio al 9 marzo 2014
Foto P. Appera |
A
volte c’è bisogno di eventi straordinari, inaspettati e drammatici, per
rivelare agli altri ma soprattutto a sé stessi la propria autentica natura, per
mettersi a nudo di fronte all’esistenza, senza maschere, senza immagini
costruite per convenzione perché tutto proceda preordinatamente. E’ la vita
stessa, imprevedibile nel bene e nel male, che prima o poi strappa il velo
delle piccole o grandi bugie. Una calamità naturale o, come in questa nuova
opera scaturita dal genio di Gianni Clementi, un bombardamento, impongono ai
superstiti un bilancio delle proprie vite, un confronto.
Sotto le macerie di una chiesa nel quartiere di San Lorenzo a Roma, rimangono intrappolati il parroco Don Eligio (Antonio Conte) e Agnese (anzi, la sòra Agnese, Giorgia Trasselli). Sorpresi dalla tristemente famosa incursione aerea alleata che rase al suolo il popolare quartiere romano nel 19 luglio del 1943, i due si risvegliano con pochi vestiti addosso, reduci di un momento di passione di cui lui non ricorda o finge di non ricordare. La convivenza forzata li costringerà ad un continuo confronto tra due modi di essere, di affrontare la vita. Agnese, popolana schietta, diretta; Don Eligio tormentato dal suo peccato, dal suo fallimento nella missione, che non esita ad addossare “la colpa” alla sua parrocchiana tentatrice, “ammiccante” come la definisce, nel goffo tentativo di trovare giustificazioni. Il passare dei giorni sotto l’edificio distrutto lascerà cadere ogni sovrastruttura nei due, proprio come il luogo in cui si trovano intrappolati, permettendo di diventare l’uno specchio dell’altro, in una sorta di lunga confessione reciproca dei propri vissuti. Ne uscirà la bella umanità di Don Eligio, diventato prete non proprio per vocazione, ma che negli anni si è ben comportato ed ha svolto al meglio i suoi compiti, affrontando il dilemma tra l’essere uomo e l’essere sacerdote e che nei sei lunghi giorni sotto le macerie lotterà tra ciò che deve apparire e ciò che lui sente di essere. L’episodio drammatico che si trova a vivere gli consentirà di decidere che persona sarà da quel momento in poi. Agnese è l’ago della bilancia, con la sua semplicità,le sue ingenuità e le sue certezze disarmanti.
Sotto le macerie di una chiesa nel quartiere di San Lorenzo a Roma, rimangono intrappolati il parroco Don Eligio (Antonio Conte) e Agnese (anzi, la sòra Agnese, Giorgia Trasselli). Sorpresi dalla tristemente famosa incursione aerea alleata che rase al suolo il popolare quartiere romano nel 19 luglio del 1943, i due si risvegliano con pochi vestiti addosso, reduci di un momento di passione di cui lui non ricorda o finge di non ricordare. La convivenza forzata li costringerà ad un continuo confronto tra due modi di essere, di affrontare la vita. Agnese, popolana schietta, diretta; Don Eligio tormentato dal suo peccato, dal suo fallimento nella missione, che non esita ad addossare “la colpa” alla sua parrocchiana tentatrice, “ammiccante” come la definisce, nel goffo tentativo di trovare giustificazioni. Il passare dei giorni sotto l’edificio distrutto lascerà cadere ogni sovrastruttura nei due, proprio come il luogo in cui si trovano intrappolati, permettendo di diventare l’uno specchio dell’altro, in una sorta di lunga confessione reciproca dei propri vissuti. Ne uscirà la bella umanità di Don Eligio, diventato prete non proprio per vocazione, ma che negli anni si è ben comportato ed ha svolto al meglio i suoi compiti, affrontando il dilemma tra l’essere uomo e l’essere sacerdote e che nei sei lunghi giorni sotto le macerie lotterà tra ciò che deve apparire e ciò che lui sente di essere. L’episodio drammatico che si trova a vivere gli consentirà di decidere che persona sarà da quel momento in poi. Agnese è l’ago della bilancia, con la sua semplicità,le sue ingenuità e le sue certezze disarmanti.
Foto P. Appera |
Foto P. Appera |
Dopo
il grande successo de “La spallata”, Gianni Clementi sfodera un’altra storia
toccante con il suo stile ormai inconfondibile. E’ unico nella capacità di
miscelare le situazioni drammatiche con irresistibili momenti di ilarità. Anzi,
le une prendono forza e rilanciano le altre, con un’alchimia magica e sempre
sorprendente. Ancora una volta affida un suo testo al lavoro della regista
Vanessa Gasbarri e il risultato che ne scaturisce è “un quadro” di deliziosa e
accurata fattura. La scena, di Katia Titolo, è geniale, un intreccio di
ponteggi a simulare l’interno di un edificio crollato con i due attori
“costretti” a interpretare in un continuo saliscendi alla ricerca di una via
d’uscita. Proprio come le loro
esistenze, intrappolate dalle macerie e dal peccato consumato. Una
verticalità che mette paura, con i protagonisti che arrivano a quattro metri e
più di altezza, un impegno fisico notevole e anche pericoloso. I movimenti
scenici continui e accurati, ben restituiscono al pubblico, con suggestioni
quasi pittoriche, sensazioni
claustrofobiche, riportando i due in scena sempre al punto di partenza, accompagnati
dalle suggestive luci di Giuseppe Filipponio e le belle musiche scelte da
Raffaella Gagliano. Conte e Trasselli si confermano attori di razza, riuscendo
a caratterizzare di calda umanità i due personaggi disegnati dall’autore, con
la naturalezza già dimostrata in altre occasioni. Una coppia di grande espressività,
mai forzata. Pur tra qualche momento un po’ “lungo”, (ah, queste prime..) la
drammaturgia si sviluppa e acquista sostanza da subito per poi arrivare ad un
finale bellissimo, che naturalmente non
sveliamo, in una rapida alternanza tra sentori di tragedia e allegra speranza,
in pieno stile “clementiano”. Bella e curatissima commedia, da vedere.
Paolo Leone
“Il
tempo delle mele cotte”, di Gianni Clementi.
Con: Antonio Conte e
Giorgia Trasselli.
Regia: Vanessa
Gasbarri; Scene: Katia Titolo; Costumi: Velia Gabriele; Luci: Giuseppe
Filipponio; Musiche a cura di Raffella Gagliano; Aiuto regia: Alessandro
Salvatori; Elettricista: Fabrizio Mazzonetto.
Ufficio stampa:
Andrea Cova.
Grazie a Paolo Leone ed al corriere dello spettacolo
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