Teatro Ambra alla
Garbatella, Roma. Dal 4 al 9 febbraio 2014
Ha ragione Luna, la giovane albanese.
Per capire l’evoluzione di una vita bisognerebbe partire sempre dai bambini,
perché sono tutti uguali, hanno gli stessi pensieri in ogni parte del mondo.
Facile accontentarli, facile illuderli, troppo facile. Basta una televisione
accesa per farli fantasticare di mondi scintillanti, giocosi, opulenti, dove fa
sempre caldo tanto che le ragazze sono sempre e solo in top. Tragico
specchietto per le allodole. L’odissea di una ingenua ragazza di Valona, uguale
a tante, troppe altre. L’euforia dell’imbarco, il viaggio duro ma ancora pieno di speranza verso l’Italia,
il Paese dei balocchi, subito si scontra con la realtà spietata dei mercanti di donne.
Tremenda, sudicia, che ride senza pietà dei suoi sogni e la condanna, senza colpa, ad una vita infernale. E allora Luna racconta, dal suo particolare punto di osservazione, un’Italia che non è proprio quella che aveva visto e sognato in tv. L’idea che si era fatta del “maschio latino” subisce la costante demolizione da parte dei suoi clienti sulla strada. Anche quando scorge un barlume di speranza in due di loro che, pensa, forse la salveranno da quella schiavitù, subito deve arrendersi alla meschinità degli uomini e tornare nel buio del suo incubo. In preda alla disperazione, medita di condannare il suo aguzzino con quello stesso corpo che è stato tradito e venduto…muoia Sansone con tutti i Filistei. La sua innata bontà e il ricordo della madre, (porgi l’altra guancia) la inchioderanno però ad “espiare la colpa” assistendo il suo carnefice, ormai malato, non riuscendo a trasformarsi in una “vedova nera” velenosa. Lei che tanto amava le canzoni di Mina, modello di donna emancipata, ora canta “non gioco più, me ne vado”. L’amara fine di un’illusione di bambina. Risate, applausi, buio.
Tremenda, sudicia, che ride senza pietà dei suoi sogni e la condanna, senza colpa, ad una vita infernale. E allora Luna racconta, dal suo particolare punto di osservazione, un’Italia che non è proprio quella che aveva visto e sognato in tv. L’idea che si era fatta del “maschio latino” subisce la costante demolizione da parte dei suoi clienti sulla strada. Anche quando scorge un barlume di speranza in due di loro che, pensa, forse la salveranno da quella schiavitù, subito deve arrendersi alla meschinità degli uomini e tornare nel buio del suo incubo. In preda alla disperazione, medita di condannare il suo aguzzino con quello stesso corpo che è stato tradito e venduto…muoia Sansone con tutti i Filistei. La sua innata bontà e il ricordo della madre, (porgi l’altra guancia) la inchioderanno però ad “espiare la colpa” assistendo il suo carnefice, ormai malato, non riuscendo a trasformarsi in una “vedova nera” velenosa. Lei che tanto amava le canzoni di Mina, modello di donna emancipata, ora canta “non gioco più, me ne vado”. L’amara fine di un’illusione di bambina. Risate, applausi, buio.
Il bel monologo di Barbara Bovoli ha
il merito di affrontare un tema più che mai attuale con una grazia inaspettata.
Il testo, indiscutibilmente drammatico, grazie alla sua interpretazione ricca
di toni e variazioni repentine riesce ad essere ironico, spesso causticamente
satirico, trasportando il pubblico in una dimensione tale da permettergli di
osservare, di osservarci, dall’alto, impietosamente. Sorrisi amarissimi.
Spettacolo ben costruito, bellissima la scenografia che ben rappresenta il
mondo di sogni di plastica della giovane Luna e ottima la regia che permette
movimenti scenici suggestivi alla protagonista. Unica, personalissima riserva,
la radiocronaca sulla “squadra dei preservativi”, un’appendice forse superflua.
Spettacolo molto gradevole, il cui maggior pregio è quello di impreziosire una
storia di cui già si conosce, ainoi, lo sviluppo, con una recitazione che
abbonda di sfumature, imprevedibile e mai noiosa.
Paolo Leone
Luna. Gli italiani visti dalla Luna, di Barbara Bovoli
Con:
Barbara Bovoli
Regia:
Fausto Costantini
Musiche:
Dario Tomasini
Nessun commento:
Posta un commento