Teatro Roma, Roma.
Dal 13 febbraio al 2 marzo 2014
Il “mestiere”
del genitore è davvero il più difficile ed impegnativo che esista. Anche quando
ci si immagina che ormai questi figli, naturalmente amatissimi, abbiano
intrapreso la loro strada autonoma, spesso ci si ritrova a scoprire con
amarezza e tanta preoccupazione che non è proprio così, che in qualche modo il
cordone ombelicale non si taglia mai. I motivi posso essere i più diversi tra
loro, ma il risultato è lo stesso: mamma e papà, loro malgrado, si ritrovano
anche in età avanzata, a far fronte alle problematiche che i propri figli non
riescono a risolvere da soli. Un tema sempre più attuale, se vogliamo. Ora,
essendo appunto un argomento di scottante attualità, si potrebbe correre il
rischio, rappresentandolo su un palcoscenico, di incorrere nel dèjà vu, in una sorta
di sterile ripetizione di cose già conosciute, trite e ritrite. E’ qui che
irrompe la qualità che fa la differenza. La nuova opera nata dalla prolifica
penna di Roberta Skerl, quotatissima autrice, è quanto di più gradevole,
realisticamente sorprendente, frizzante, si potesse mettere in scena. Affidata
ad un quartetto di attori che rientrano nel nòvero di quelli che riescono ad
emozionare e divertire con semplicità e credibilità assoluta, lo spettacolo
inizia, cresce e termina in totale armonia, aiutato dalla bellissima regia
di Silvio Giordani che, soprattutto nel secondo atto, riesce ad imprimere un
ritmo moderno, sostenuto, veramente di grande impatto audiovisivo. Pietro
Longhi, in grandissimo spolvero, ed Edy Angelillo, attrice di rango, sono i due
genitori che si vedono piombare in casa i loro due figli quasi
contemporaneamente.
La femmina, interpretata dalla convincente Carmen Di Marzo,
eterna indecisa sulla strada da intraprendere e il maschio, un sobrio e preciso
Danilo Celli, alle prese con un divorzio ad appena un anno dal matrimonio. La
costruzione del testo affida ai due protagonisti adulti un meccanismo esplosivo
di situazioni e battute di grande ilarità, e la coppia Longhi-Angelillo riesce
ad esaltare con naturalezza estrema il lato grottesco della storia, anche
affidandosi ad efficacissime mimiche facciali. Difficilmente si ride con tanta
spontaneità, segno che da un lato il testo, privo di qualsiasi volgarità,
centra una problematica molto sentita dagli spettatori, vera, che è nelle nostre
case; dall’altro, la bravura di tutti gli interpreti in scena realizza la vera
magia del teatro: guardare la vita dal buco della serratura (Eduardo docet)
senza che se ne avverta l’artificio drammaturgico. Una lezione di realismo
teatrale, se vogliamo. La commedia,
quando è di grande qualità, permette tutto questo. Roberta Skerl “disegna” i
quattro personaggi con estrema cura, ne fà dei catalizzatori degni di
attenzione e riesce ad imprimere al suo lavoro quell’atmosfera che, quando si
palesa, ammalia il pubblico e decreta il successo di una pièce. Angelillo,
Longhi, Di Marzo e Celli, danno vita e corpo ad uno spaccato di vita quanto mai
veritiero, con grazia, tra momenti di grande ilarità mai dettati da situazioni
banali. Un merito enorme.
Il finale, bellissimo, conferma che il
“mestiere” dei genitori non finisce mai e che il teatro, quando è scritto e
interpretato magistralmente, non tradisce lo spettatore e riesce ad emozionare
anche ridendo. Quasi dispiace dover andare via. Chapeau!
Paolo Leone
“Questi figli
amatissimi” di Roberta Skerl
Con: Pietro Longhi,
Edy Angelillo, Carmen Di Marzo e Danilo Celli.
Regia: Silvio
Giordani
Scene: Mario Amodio; Costumi:
Lucia Mariani; Aiuto regia: Olimpia Alvino; Disegno luci: Sacha Donninelli
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