“Vede signorina qui non c'è voi né
noi. Siamo tutti una cosa sola. La Somalia. L'Italia. Lo sa qual è il nome che
mi piace? che dovreste darci? [...] la 21° provincia italiana.”
Teatro Mecenate, Arezzo. Venerdì 7 marzo 2014
La prima volta che sentii il nome di Ilaria Alpi avevo 10
anni. Di quel giorno non ho molti ricordi. Ricordo che in tutti i Tg se ne
parlò per giorni. Ricordo le parole Somalia, giornalisti, jeep, uccisi. Poco
altro. Negli anni a seguire ho avuto modo di imbattermi nuovamente in questo
nome ed oggi, dopo ben 20 anni da quel fatidico giorno, mi appresto a
raccontare questo incontro con Ilaria, l'Ilaria Alpi portata in scena da
Isabella Ragonese e Luisa Cattaneo.
Diciamolo: ricordare è un dovere. Quante volte abbiamo
sentito questa frase abbinata alle giornate del ricordo, alle stragi, alle
vittime di mafia, alle vittime in genere di un sistema corrotto e malvagio.
Il ricordo è ciò che tiene vivi, che da speranza, una
luce dietro l'oscurità, una luce verso la verità.
Non ho avuto modo di conoscere la giornalista e la donna,
ma ho potuto vedere l'umanità e la straordinaria forza e la fragilità con cui
Isabella Ragonese ha restituito vita ad Ilaria Alpi: una donna schiacciata da un dovere morale a cui non
poteva sottrarsi. Il dovere della verità.
La platea è invasa da un fumo bianco inodore, una nebbia
densa, che attenua le luci di sala. Il sipario è aperto, la scena già pronta.
Barili neri opachi accatastati come a creare una barriera sul lato destro del
palco, sulla sinistra alcuni barili tagliati distesi a terra per farne sedute
e, dietro, sospeso, un telo bianco a ricreare una sorta di tenda da campo.
La sensazione è di essere in un luogo indefinito,
impervio, inospitale.
La scena si apre con l'ingresso dei musicisti
dell'Orchestra Multietnica di Arezzo: Enrico Zoi, Massimo Ferri, Luca Baldini.
I musici, nascosti dietro alla catasta di barili, ma comunque visibili, faranno
da colonna sonora ed accompagnamento alla performance teatrale.
Si inizia. La musica è avvolgente, Ilaria ci appare di
spalle, seduta su un barile, avvolta in una luce soffusa proveniente dal basso.
Siamo in Somalia. Ilaria ci racconta cosa la circonda in un vorticoso elenco di
parole che letteralmente porta via la nostra mente. L'accompagnamento sonoro
diventa vibrante, la tensione sale, finché esplode un bagliore di luce. Ilaria
è stata uccisa. Inizia così lo spettacolo.
Come in frammenti di memoria ci troviamo ora con Ilaria
seduta a terra, sta leggendo sorpresa, in un quaderno, gli appunti della sua
ricerca. Mille e quattrocento miliardi di lire ( ho persino difficoltà a
scriverlo). Aiuti umanitari dall'Italia per la Somalia. Cooperazione. Ilaria è in
Somalia come inviata del TG3 e sta seguendo la guerra civile.
Mogadiscio. La città è martoriata dalla guerra. Gli
abitanti vivono in luoghi minuscoli tra strade impraticabili cosparse di auto
bruciate o esplose, palazzi sventrati dalle bombe. Ci sono guerriglieri armati
ovunque. Posti di blocco. A contrasto ci sono bambini che giocano per strada,
vecchi che conducono un dromedario. Segno di una vita normale. Il mercato
locale è effervescente, ricco di colori, spezie, oggetti d'artigianato.
Ilaria è alla ricerca di una guida e di due guardie del
corpo che la conducano dallo Stato Maggiore dell'esercito italiano. Vogliono
mostrarle le poche opere realizzate per la cooperazione internazionale.
Il viaggio però prende una piega inaspettata. La guida
somala si perde. Ha sbagliato bivio. Dopo ore di viaggio la comitiva si ferma.
Siamo in piena Somalia. Mentre si consulta la mappa ecco in lontananza delle
colonne di fumo. Ilaria ci mostra così delle baracche bruciate. Le poche pareti
in piedi presentano fori di mitra. Nero ovunque. Poche bestie, massacrate.
Impiccati e mitragliati tre uomini ed un ragazzo. Sono stati i guerriglieri
dicono le guardie che l'accompagnano.
Contrasto. Le guardie, come bambini che hanno trovato un
gioco, si contendono un kalashnikov trovato a terra. Il Kalashnikov ha scritte
slave. Armi dell'est europeo inviate in Somalia dall'occidente.
Altro contrasto. Dalle feste organizzate dagli Italiani
in una vita ricca ed ordinaria ci ritroviamo ora all'incontro con una donna
misteriosa che porta ad Ilaria delle foto. Solo il rumore della carta che
fruscia. Bambini, donne, uomini, vecchi. Bendati e fasciati. Piaghe. Ferite.
Bestiame ammassato senza vita. Foto di guerra? No. Foto di veleni. Sono tutte
scattate a nord oltre l'autostrada che taglia a metà il paese. Un'opera
colossale e completamente inutile, capolavoro della cooperazione internazionale
e miniera d'oro per le aziende italiane costruttrici.
“La gente si copre di piaghe, in pochi mesi muore” - dice
la donna. Tutto è cominciato da quando sono saltati fuori i bidoni. Silenzio.
“Quali bidoni?” Domanda Ilaria. I bidoni che quella donna mostra in foto hanno
una sigla: shifco. Shifco era la compagnia di pesca dello stato somalo.
Siamo ora al Porto di Bosaso. Ilaria sta seguendo imperterrita la sua
pista. I pescherecci attraccati al porto hanno la doppia bandiera somala e
italiana. Strano. Tutto intorno mercenari armati. Cosa c'è da proteggere se le
navi trasportano solo provviste? Si chiede tra se e se Ilaria. Lei e la troupe
vengono circondati da uomini armati ed allontanati. E' vietato guardare. E' vietato
filmare. Mentre si allontanano tra i moli del porto ecco la scritta sul fianco
di un peschereccio: shifco.
Ilaria intervista il Sultano di Bosaaso. In cambio di
Armi la Somalia accoglie le schifezze italiane. Molte sono state sotterrate
nell'autostrada ed in altre opere pubbliche. Nelle giornate di pioggia gli
Uadi, letti di torrente in secca, prendono questi veleni e li portano ovunque
nella regione. Quando i luoghi dove seppellire i veleni sono terminati, i
barili sono stati gettati in mare. Poco importa. Le armi erano fondamentali per
deporre il dittatore somalo Siad Barre.
Una frase mi colpisce. Ilaria dice al Sultano che questa
intervista sarà di aiuto per la Somalia, il Sultano le risponde: “Vede signorina qui non c'è voi né noi. Siamo
tutti una cosa sola. La Somalia. L'Italia. Lo sa qual'è il nome che mi piace?
che dovreste darci? [...] la 21° provincia italiana.”
E' il 20 Marzo 1994 ore 13.04 Ilaria viene uccisa.
A supporto della rappresentazione la proiezione di
immagini e la partecipazione in video di Gioele Dix e Gianmarco Tognazzi.
Lo spettacolo è un inno al coraggio, alla forza, alla
ricerca della verità. Un atto doveroso e dovuto, il ricordo, non solo per
Ilaria, ma anche nei confronti di tutti coloro che di questi traffici e delle
loro inumane conseguenze hanno sofferto e stanno soffrendo tutt'ora.
Alberto Nocentini
African Requiem. 20 Marzo 1994: appunti di viaggio.
Scritto e diretto da Stefano Massini
con Isabella Ragonese e Luisa Cattaneo
partecipazione in video di Gioele Dix e Gianmarco Tognazzi
musiche di Enrico Fink eseguite dai musicisti dell'Orchestra Multietnica di
Arezzo Enrico Zoi, Massimo Ferri, Luca Baldini
con il patrocinio dell'Associazione Ilaria Alpi
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