Cari
lettori del Corriere dello Spettacolo, oggi la vostra redattrice Claudia Conte
è in compagnia di Angelo D’Amelio, un giovane di origini pugliesi che, dopo
aver intrapreso la carriera giuridica diventando un esperto in public affairs e
drafting legislativo, ha scoperto una vera e propria “vocazione” letteraria…
Ciao
Angelo! Iniziamo dalla prima domanda!
Che
cosa vuol dire essere uno scrittore, soprattutto in un mondo dove tanti
scrivono e pochissimi leggono? Quale deve essere secondo te il suo ruolo?
Proviamo a immaginare il colore più
caldo dell’arcobaleno, quello che non assomiglia a niente, se non a se stesso.
Un colore brillante che respira, che ha branchie sue, fluido e bollente come
gli umori più nascosti e segreti, morbido e voluttuoso come un primo bacio.
Ecco… scrivere è esattamente questo! Riuscire a intravedere nell’inutilità
della poesia la vera utilità della vita, della creazione e dell’amore anche
attraverso le pieghe di quelle attività quotidiane considerate superflue. Il
bisogno di immaginare, di creare è fondamentale quanto quello di respirare e
proprio questo respiro va ad esprimere l’eccedenza della vita rispetto alla
vita stessa. Mario Vargas Llosa in occasione del conferimento del premio Nobel
nel 2010, ha sentenziato, giustamente, che “un mondo senza letteratura si
trasformerebbe in un mondo senza desideri, né ideali né disobbedienza, un mondo
di automi privati di ciò che rende umano un essere umano, cioè la capacità di
uscire da se stessi e trasformarsi in un altro, in altri, modellati
dall’argilla dei nostri sogni”.
Lo sguardo puntato sulla meta da raggiungere nella folle corsa verso la terra promessa del guadagno non permette più di cogliere la gioia dei piccoli gesti quotidiani e di scoprire la bellezza che pulsa nelle nostre vite. E i veri scrittori comprendono perfettamente che solo lontano dal calcolo, dalla fretta, dall’ambizione sfrenata e dal frastuono incessante è possibile coltivare la poesia. L’unica salvezza è la poesia, non perché la poesia in sé sia in grado di cambiare la condizione dell’uomo, ma perché il poeta è capace di essere voce della natura ed è capace di esprimere lo sgomento di fronte alla vanificazione, al fluire, a volte, senza senso della vita umana. Il poeta però non è un vate in grado di comunicare una verità ben definita, ma uno che deve rinunciare a se stesso per impiegarsi in una vita più autentica e per esprimere così la psiche primordiale, cioè quegli impulsi che sono a fondamento della vita. Solo cercando la parola si trovano i pensieri, scriveva Joseph Joubert. Anche la poesia può avere un suo preciso ruolo, può diventare una scienza esatta come la geometria, così come asseriva Gustave Flaubert. L’idea che l’essenza del linguaggio e del testo poetico sia da trovare nella vaghezza o nella sapiente indeterminatezza dei suoi significati predomina molto nell’analisi contemporanea. Questa idea è in parte vera – la poesia ha sempre un’aura, e l’aura è per definizione vaga, impalpabile- ma non è un’idea sufficiente a determinare la specificità di un testo poetico. A volte anche un verso poetico può essere latore di saperi, anche rigorosi e formalmente enunciati. I poemi di Esiodo, di Lucrezio, di Virgilio, di Dante contengono descrizioni scientifiche e didattiche sulle conoscenze astronomiche, geografiche e naturali proprie delle epoche cui gli autori appartengono.
Lo sguardo puntato sulla meta da raggiungere nella folle corsa verso la terra promessa del guadagno non permette più di cogliere la gioia dei piccoli gesti quotidiani e di scoprire la bellezza che pulsa nelle nostre vite. E i veri scrittori comprendono perfettamente che solo lontano dal calcolo, dalla fretta, dall’ambizione sfrenata e dal frastuono incessante è possibile coltivare la poesia. L’unica salvezza è la poesia, non perché la poesia in sé sia in grado di cambiare la condizione dell’uomo, ma perché il poeta è capace di essere voce della natura ed è capace di esprimere lo sgomento di fronte alla vanificazione, al fluire, a volte, senza senso della vita umana. Il poeta però non è un vate in grado di comunicare una verità ben definita, ma uno che deve rinunciare a se stesso per impiegarsi in una vita più autentica e per esprimere così la psiche primordiale, cioè quegli impulsi che sono a fondamento della vita. Solo cercando la parola si trovano i pensieri, scriveva Joseph Joubert. Anche la poesia può avere un suo preciso ruolo, può diventare una scienza esatta come la geometria, così come asseriva Gustave Flaubert. L’idea che l’essenza del linguaggio e del testo poetico sia da trovare nella vaghezza o nella sapiente indeterminatezza dei suoi significati predomina molto nell’analisi contemporanea. Questa idea è in parte vera – la poesia ha sempre un’aura, e l’aura è per definizione vaga, impalpabile- ma non è un’idea sufficiente a determinare la specificità di un testo poetico. A volte anche un verso poetico può essere latore di saperi, anche rigorosi e formalmente enunciati. I poemi di Esiodo, di Lucrezio, di Virgilio, di Dante contengono descrizioni scientifiche e didattiche sulle conoscenze astronomiche, geografiche e naturali proprie delle epoche cui gli autori appartengono.
Ed il
ruolo di Angelo D’Amelio scrittore?
Il mio è uno scopo più che un ruolo
ed è quello di mettere continuamente in dubbio la supposta verità
dell’autosufficienza dell’uomo moderno, condannato a diventare una macchina
senz’anima, prigioniero della necessità, dell’impegno a tutti i costi e del più
bieco utilitarismo. Attraverso dei versi, dei suoni, delle figure semantiche,
dei testi poetici, è possibile ogni giorno ritrovare lo stupore per la vita, la
“curiositas” per il superfluo, la tensione verso il pensiero emotivo e remoto,
l’indicazione manifesta di una nuova scala di valori che ci aiuti a superare il
ristretto perimetro del nostro egoismo, cui siamo stati confinati dai nostri
stessi inganni. La mia è una semplice testimonianza di amore per poter
soffocare la forza corrosiva di un fanatismo delirante e di una nevrosi
collettiva dilagante figlia naturale di I-pods e cellulari, protesi dei nostri
corpi diventate simboli della solitudine affollata del nostro tempo.
Prima
di dedicarti all’attività letteraria, esercitavi la professione di avvocato.
Cosa è cambiato? C’è un episodio, un momento significativo della tua vita in
cui hai capito che scrivere sarebbe stato il tuo mestiere?
Scrivere è per me un’attività che
non ho mai considerato un vero e proprio mestiere, ma è un esercizio dello
spirito e della mente che nella sua forma più nobile presuppone una sincera
vocazione che ha abitato da sempre il mio essere ed è fuoriuscita nel balenio
di un lampo in un preciso istante che ha cambiato per sempre tutta la mia vita.
Precisamente, quando ho letto per la prima volta gli “Hymnen an die Nacht”,
ovvero “Inni alla notte” di uno dei più illustri filosofi e poeti tedeschi,
Novalis. Egli è annoverato tra i più importanti rappresentanti del romanticismo
tedesco di fine Settecento che si propone di poetizzare e di riscattare
poeticamente il tutto. Creatore del fiore azzurro, ovvero il nontiscordardimé,
uno dei simboli più durevoli del movimento romantico, scrive in uno dei suoi
frammenti: "Io sono un uomo completamente illegale; non ho il senso né il
bisogno del diritto". Leggendo i suoi inni ho compreso il concetto di
«immaginazione creatrice», che mi ha portato lontano dai rigidi codici, dalle
fredde leggi che hanno contraddistinto il mio lungo e difficile percorso di
studi giuridici che mi ha formato professionalmente fino a farmi diventare un
conoscitore della legge. I rapporti puramente umani non hanno bisogno del
diritto, lo ignorano. L'amicizia, l'amore, la contemplazione del cielo stellato
non richiedono codici, giudici, avvocati o prigioni, che, invece, diventano
d'improvviso necessari quando amore o amicizia si tramutano in sopraffazione e
violenza, quando qualcuno impedisce con la forza a un altro di contemplare il
cielo stellato. II diritto appare dunque legato alla barbarie del conflitto.
Nella poesia c'è quasi sempre, evidente o nascosto, il sogno, la nostalgia
rivolta al passato, la profezia proiettata nel futuro o l'innocenza di una pulsione.
Questa redenzione poetica di ogni pulsione, che Novalis e forse anche Rimbaud
ritenevano possibile, tinge del proprio colore di flore azzurro perfino certi
movimenti rivoluzionari protesi a creare politicamente ed esistenzialmente
l'uomo nuovo. La rivoluzione come orgasmo, predicata nel Sessantotto, è
l'ennesima, stantia ripetizione di questo sogno di abolire la legge, legata
all'esistenza di rapporti di violenza. "II dominio del diritto - dice un
altro frammento di Novalis- cesserà insieme con la barbarie." II rifiuto
della legge, come profetizzano certi saggi di un tempo, avvicina la poesia alla
fede. "La legge provoca la collera di Dio", è scritto nella Lettera
ai Romani; è essa che fa prendere vita al peccato e lo fa sovrabbondare, si
dice ancora. La risposta dell'uomo religioso all'orrore della legge è il salto
nella grazia, l'abbandono alla fede, che salva al di là del giudizio perché non
si basa sull'esame delle azioni, meritorie o delittuose, bensì sull'unione
totale in Dio, indipendentemente da ogni valutazione morale. Per Kafka, la
legge pone l'individuo fuori dalla vita, fuori del territorio dell'amore. In
virtù della legge, "la tenebra nella quale siamo - per citare Karl Barth -
diventa tormento perché vi sono occhi capaci di vedere" ovvero l'uomo
assume consapevolezza del buio e del male. Ecco la ragione per la quale ho
preferito i romanzi ai brocardi.
Come
hai cominciato? E quando ti sei accorto di essere diventato uno scrittore
“vero”?
Ho cominciato comunicando con
l’inesprimibile in una delle mie tante occupazioni solitarie che colmavano i
miei frequenti momenti di solitudine. A volte si può giocare con la fantasia
con lo stesso piacere segreto del viaggiatore incognito che attraversa le
maestose praterie della propria mente. Nelle ore limpide del mattino avvertivo
l’insufficienza anonima di ogni cosa di cui registravo il minimo passaggio nel
ventre molle del mio corpo esiliato. Il mio sogno è cominciato nella casa del
piccolo paese in cui sono cresciuto dove mi perdevo tra i vari vagheggiamenti
della mente e scivolavo tra le mani invisibili del mio destino di piccolo
scribacchino. Dietro la finestra rumorosa della mia stanza sentivo un leggero
soffio di vento che di tanto in tanto interrompeva i miei lunghi silenzi per
strapparmi a quelle riflessioni solitarie che ispirarono le prime pagine dei
miei racconti. Quando in età più adulta mi sono reso conto che la scrittura mi
consolava più del vivere aiutandomi a fuggire dallo squallore che mi
circondava, conferendo la giusta dignità ai miei pensieri attraverso il piacere
della metafora e della immaginazione e a sostegno della libertà e della verità
dei miei sentimenti, ho realizzato che il gratuito dono delle parole conferiva
un significato più umano alla mia esistenza. Da allora non sono più riuscito a
farne a meno, è diventato il mio nobile intendimento, la mia straordinaria
ricchezza, la più grande fonte di bellezza e di piacere che colpisce i sensi e
lenisce il dolore.
Angelo,
cosa c’è nei tuoi romanzi che non troviamo negli altri…
Una curiosità e una sensibilità
segnata da una costante e accorata partecipazione ai fatti di cui narro che mi
consente di esaltare quella "pietas" che è comprensione più che
giudizio. Attraverso la costante capitalizzazione del mio vissuto, cerco di
esplorare l'universo umano nelle sue contraddizioni più profonde ma anche nelle
sue grandezze più sublimi, sospendendo il giudizio e demandandolo al lettore
dopo avergli fornito gli strumenti per comprendere e valutare ciò che il suo
occhio e il suo cuore hanno colto in quella storia. Egli può comprendere i miei
stati di cosciente visualità, profumi, impressioni con cui il mondo esterno mi
parla, con cui mi racconta le cose del mio passato e mi fa diventare talvolta
centro astratto di sensazioni impersonali, specchio frammentato sul mondo e
gomitolo dimenticato della mia anima. Il lettore vive i miei stessi desideri e
turbamenti senza inutili speculazioni metafisiche vivendo sillaba per sillaba
la magia di ciò che sto scrivendo e per l’incantesimo di una bizzarra stregoneria
diventa l’autore del mio libro. - Nel tuo saggio ‘L’illusione di un avvenire’,
edito da Vertigo, tema centrale è il rapporto tra fede religiosa e progresso
scientifico. Da cosa è nata l’esigenza di dedicarti a questo complesso
argomento? Nel mio ultimo saggio “L’illusione di un avvenire” registro la crisi
in cui l’individuo si dibatte nella disperata ricerca di una identità che il
rapido mutare della società gli rendono sempre più difficile e incerta. Con
l’aumento delle conoscenze scientifiche e della capacità economica, l’uomo ha
cessato di essere dominio esclusivo di Dio accrescendo la convinzione che
massimizzare l’interesse individuale come principio razionale dello sviluppo
sia l’unica scelta oggi possibile, il sacro imperativo categorico. Si sente
sempre più il bisogno di controllare il futuro, di influenzare lo sviluppo per
delineare la direzione del progresso fino ad applicare un calcolo razionale a
sfere sempre più ampie della vita sociale ignorandone le conseguenze. Il vuoto
che la tecnica ha scavato nelle nuove generazioni ha aperto grandi varchi alla
noia e alla solitudine e privato il loro futuro di sogni e di certezze che
puntualmente riaffiorano prepotentemente in queste pagine. Secondo il grande
filosofo Spinoza, viviamo in un’epoca dominata da passioni tristi, riferite non
al pianto o al dolore, ma all’impotenza, alla mancanza di senso e alla
disgregazione che fanno della crisi attuale il cedimento strutturale dei
fondamenti stessi della nostra civiltà. Scommettere sulla propria vita è
credere nel processo totale della vita affermando se stessi nell’io più
profondo e ritornando alla natura originaria dell’umano. Occorre, pertanto,
recuperare il rapporto con la spiritualità, la storia e la cultura occidentale
basata sul pieno riconoscimento delle identità individuali e collettive. Di
conseguenza, non possiamo negare che la ricerca dell’uomo sia attraversata
dall’inafferrabilità del Senso Ultimo delle cose e perciò assetata di
un’ulteriorità trascendente. Siamo costantemente in balia di quel conflitto da
sempre irrisolto tra le prescrizioni della morale e le pulsioni della vita
terrena che favoriscono una progressiva rimozione del senso etico e religioso
fino a esplodere dentro di noi come ordigni micidiali creando disordine,
servitù e oscuramento della ragione. Ma talvolta la fede, anche dubbiosa e
interrogante, è in grado di sfidare le sofferenze e di farci vivere pienamente
le innumerevoli possibilità dell’amore aiutandoci a scrutare nel futuro ciò che
oggi ci appare incerto e indefinito.
Il tuo
primo libro si intitola “I luoghi della mia anima”… Ebbene, ti chiedo: cosa
sono “i luoghi dell’anima” e, nello specifico, quali sono i tuoi?
L’anima è quel “locus sacer” che
rende diverso ed unico ciascuno di noi, in cui è racchiusa la sublime bellezza
della nostra vita, come in un soffio dello spirito. ”I luoghi della mia anima”
è un libro al quale sono particolarmente legato perché è la più autentica
rappresentazione dell’essenza umana nelle sue contraddizioni più oscure, nelle
sue fragilità e complessità attraverso cui racconto gli anni più significativi
della mia vita. E’ un viaggio meraviglioso, un’affannosa ricerca di pezzi
smembrati di una infanzia dorata ricca di emozioni, incanto e sentimenti in una
terra di fuoco e di meraviglia. Li racconto quasi come una confessione e, per
certi aspetti, come una liberazione, aprendo coraggiosamente grandi varchi che
consentono al lettore di guardarvi dentro per poi ritrovarsi magicamente in
luoghi permeati da ritmi e suoni senza tempo. Ma "I luoghi della mia
anima" è, innanzitutto, un libro d'amore, amore per le donne che hanno
cambiato la mia vita diventando, così, le vere protagoniste dei miei racconti a
cui conferisco una forza narrativa attraverso una costante e accorata
partecipazione al loro universo di emozioni e di sentimenti.
Qual è
il consiglio che vorresti dare ai giovani che hanno la tua stessa passione, ma
che non riescono ad emergere perché le case editrici non hanno il coraggio di
pubblicare autori ancora sconosciuti?
Scrivere non deve essere un atto di
vanità, non è facile scrivere, è molto faticoso perché significa avviare una
ricerca meticolosa sui termini più appropriati, sulle metafore più o meno
ardite, sul contesto delle narrazioni di cui bisognerebbe avere una piena
padronanza argomentativa. La fantasia certamente aiuta, ma va sempre incanalata
nel solco del possibile e del verosimile. Il mio mite e sommesso consiglio è
quello di non affidarsi mai al giudizio della propria madre o di una zia né
tanto meno a quello di un amico o di un collega perché non vi diranno mai la
verità fino in fondo o per pudore o per semplice negligenza.
Sicuramente bisogna essere animati
da una profonda curiositas per lo spirito e per le “umane cose”, ma senza
sussiego e superbia, abbandonando la pretesa di voler cambiare il mondo a tutti
i costi. Poi imparare tanto dai classici, ascoltando la voce dell’umanità
riportata in quelle opere straordinarie dove la parola riesce a far da ponte
tra l’amore e la verità, tra la vita e la morte, tra il sogno e la realtà.
Infine bisogna sviluppare un grande senso di autocritica in tutto quello che
facciamo, cercando ogni giorno di ascoltarci dentro, di guardarci in profondità
per riuscire a scrutare quella flebile fiamma che ci aiuta a distinguere una
poesia da una chiave inglese ed una sinfonia da un martello comprendendo la
vera utilità della letteratura. Se questa attitudine non si disvela in noi in
modo naturale allora il mio consiglio è di lasciar perdere perché non ci
saranno né corsi di scrittura creativa né tecniche di linguaggio scritto a
conferirci gli strumenti utili per riuscire in questa impresa anche se lo
desideriamo ardentemente. Pertanto non cedete ai soliti mercenari che vi
promettono la pubblicazione chiedendovi ingenti somme di denaro perché non vi
servirà a nulla, il vostro libro non lo troverete mai su nessuno scaffale di
una libreria seria perché le case editrici a pagamento sono purtroppo conosciute
nel circuito delle grandi distribuzioni e quindi snobbate senza esitazioni.
Attendete con pazienza l’editore giusto e vedrete che qualcosa accadrà, ma
prima tenete sempre e comunque conto delle premesse di cui sopra.
Progetti
per il futuro?
Il mio futuro è costellato di
orizzonti luminosi, di mete fantastiche, di sogni irraggiungibili… Ma che senso
avrebbe la nostra vita se non ci regalassimo il privilegio di osare, di
rischiare, di oltrepassare il confine dei nostri angusti spazi, di misurarci con
i nostri limiti terreni, di tremare di fronte alla vertigine del precipizio.
Non sopporto il vivermi addosso, lo scandire ripetitivo delle mie azioni che mi
rendono schiavo dell’abitudine, il trastullo inutile e demenziale,
l’insopportabile rumore delle pantofole che si trascinano per casa in attesa
del nulla, il vuoto dei pensieri che si rincorrono senza trovarsi, l’appassire
lentamente senza un ideale, una vibrante emozione, un fremito di positività.
Soltanto mirando alla luna potrai essere fra le stelle ed io ogni giorno
raggiungo idealmente le cime più impervie e solitarie, sopporto la fatica in
silenzio e tremo ancora di fronte alla minaccia della sconfitta senza mai
abbattermi. Solo se sarai in perpetuo volo come un gabbiano potrai avvertire il
brivido della discesa e della risalita, sorvolando mari e terre che l’occhio
umano non cattura. Ogni giorno accadono tante piccole cose che nascondono
granelli di una felicità appena percepibile, che l'anima respira e grazie alla
quale vive. Per ora godo il presente e appena i tempi saranno maturi darò alla
luce il mio nuovo romanzo che si rivelerà la giusta ricompensa per i miei
lettori che attendono il compiersi di un nuovo viaggio.
Grazie
Angelo per il tempo che ci hai dedicato! Complimenti vivissimi per la tua
attività letteraria e per la sensibilità che traspare dalle tue parole. E’
stato un vero piacere intervistarti! Prima di lasciarci, manda un saluto ai
lettori del Corriere dello Spettacolo!
Saluto tutti i lettori del Corriere
dello Spettacolo e li invito a seguire sempre i vostri consigli e le vostre
recensioni perché guidano e accompagnano mirabilmente in un itinerario ricco di
offerte nel vasto panorama culturale e teatrale.
Naturalmente un augurio speciale va
a te Claudia, che con il tuo lavoro dimostri ogni giorno di essere una brava
giornalista dotata di acume e professionalità coniugando in maniera
sorprendente il talento alla bellezza. Grazie per avermi regalato questo
privilegio.
Da
Claudia Conte per ora è tutto! Arrivederci al prossimo articolo amiche ed amici
del Corriere dello Spettacolo!
Curata da Claudia
Conte
Una intervista molto profonda e sincera. Mi ha molto emozionata come il suo primo libro che ho letto in una sola notte.stupendo.
RispondiEliminamolto interessante. Non conoscevo l'autore del libro e mi stupisce che, così giovane, abbia questi pensieri. Bene, benissimo!
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