In occasione della conferenza stampa di presentazione del
nuovo, inedito spettacolo, “La lista di Schindler”, ho avuto l’onore di
un’intervista privata con il Maestro Carlo Giuffrè e il piacere di conoscere
suo figlio Francesco, giovane autore e regista. Con orgoglio ed emozione, dal
foyer dell’Eliseo al Corriere dello Spettacolo.
F. Giuffrè: Innanzi tutto, come testo
teatrale non è mai stato messo in scena. Nasce come romanzo, poi ci fu il
famosissimo film di Spielberg. Diciamo che ogni anno si festeggia la giornata
della memoria, quindi ritengo che il concetto del non dimenticare sia
fondamentale. Quando è nato questo progetto di collaborazione con mio padre, ci
è stato proposto di creare un evento e il titolo “la lista di Schindler” mi è
sembrato importante. Importante raccontare la storia di questo uomo, non solo
per quello che fece durante la guerra, che tutti conoscono, ma l’aspetto
interessante che più mi riguarda, drammaturgicamente, è “il dopo” della sua
vita. Forse non tutti lo conoscono… lui fuggì in Argentina, poi tornò in
Germania e fu una vita fallimentare, quindi veramente perse tutta la sua vita,
tutto quel che aveva per aver salvato queste persone. Questo fa di lui,
sicuramente, un eroe non nel senso epico della parola, ma nel senso più
quotidiano del termine. Annullò se stesso per donare la vita ad altre persone e
questo, in questo periodo storico, credo che sia molto importante ricordarlo.
Maestro, un testo drammatico rappresentato in un momento
storico in cui si sente ripetere, anche stucchevolmente, che la gente vuole
solo ridere…
Carlo Giuffrè: Beh, guarda, io non
sono mai d’accordo con il teatro “da ridere”. Io recito ormai da più di
sessanta anni e ho sempre detto che i grandi comici, quelli che fanno ridere,
erano gli attori che invece recitavano la dolenza, la tragedia. Buster Keaton,
Petrolini, Eduardo…pochi, pochi. Ma quelli non recitavano tanto per far ridere!
Il teatro “da ridere”, la barzelletta (come quelle del mio amico Bramieri),
erano e sono cose che non arrivano, che non danno nessuna emozione. Quel tipo
di teatro, che non lascia pensieri, non esiste! Quando si interpretavano le
famose “farse”, che la gente pensa siano stupidaggini, quelle nascevano da
fatti drammatici, dal freddo, dalla fame e poi questo veniva alimentato dal
lazzo, dall’improvvisazione. All’epoca non esistevano i sipari come oggi, erano
“a ghigliottina” e c’era un buco, nel mezzo, da cui gli attori andavano a
sbirciare se in platea ci fosse il pane. Non c’erano sovvenzioni, i soldi
venivano esclusivamente dagli spettatori paganti. E quando vedevano la platea
mezza vuota, allora si impegnavano di più, improvvisavano, aumentavano le
battute, facevano ridere…ma erano risate che nascevano dal dolore. Per esempio,
in una commedia in cui ero un marito, avevamo un cappotto in due con mia moglie
in scena..e allora io dicevo a un altro personaggio, un avvocato, “io e mia moglie non possiamo mai uscire
insieme”. Era una battuta comica ma nasceva dalla miseria vera. Questo era
il teatro di una volta. Il teatro banale non ha rilevanza, non esiste.
Questa sua considerazione mi dà lo spunto per una seconda
domanda. Come vede il teatro in Italia? Ci sono autori e interpreti che secondo
lei possono scrivere nuove pagine interessanti?
Carlo Giuffrè: Io non ne vedo… Ad
esempio il mio amico Salemme, recita delle sit-commedy…alla gente piace,
ridono… io non sono d’accordo. Io amo molto, non ti dico la tragedia di
Shakespeare soltanto, per carità… ribadisco sempre: il teatro della commedia
dell’arte, per me, è stato il più grande teatro europeo che esistesse, in quel
periodo. La commedia dell’arte viene poi sopraffatta dal melodramma. Nasce il
melodramma e muore la commedia dell’arte, non esiste più. Noi non abbiamo più
autori esportabili, non abbiamo più una drammaturgia da esportare!! Importiamo
soltanto! Basta guardare il cartellone di un teatro…vedi che su dieci titoli,
otto sono stranieri. Non stiamo messi bene, da tanto tempo. Gli attori, però,
sono sempre stati straordinari, abbiamo sempre avuto grandi attori.
Maestro, un’altra considerazione. Mi dicono che in
Francia, a Parigi, a Londra, si fa la fila per andare a teatro. Secondo lei, in
Italia, cosa bisognerebbe fare e a quale livello, per cambiare la situazione?
E’ solo una questione culturale?
Carlo Giuffrè: Io credo che gli
italiani non hanno mai capito il teatro! Confondono molto le cose.. Londra è la
capitale del teatro. A Londra, con la compagnia dei giovani, abbiamo recitato
Pirandello: “il gioco delle parti”, i “sei personaggi”…sempre sold out, sempre
esaurito! Perché a Londra la gente va a teatro come qui si va a mangiare una
pizza, continuamente! A Londra ci sono 48 teatri aperti tutte le sere!
Ma non si può fare niente in Italia?
Carlo Giuffrè: Ma c’amma fà…
(ride), qui si confonde tutto..lo spettacolo di Orsini che sta in scena adesso,
per esempio, qui all’Eliseo, “il gioco delle parti”…lei lo ha visto? Ma come si
fa a ridurlo così …io non sono d’accordo. Credo che gli italiani, a teatro, non
hanno capito mai niente di quello che vedono…confondono..ridono…vogliono
ridere? E ridano pure…
L’ultima domanda e la lascio. Il grande Carlo Giuffrè, se
dovesse fare un bilancio della sua lunghissima carriera teatrale, quanto ha
dato e quanto ha ricevuto dal teatro?
Carlo Giuffrè: Molto, molto! Io ho
rifiutato film come “Amici miei”, “Speriamo che sia femmina”, con Monicelli che
mi diceva “sei uno stronzo”, con lui feci poi “La ragazza con la pistola”…in
“Amici miei”, per esempio, lessi che il mio personaggio doveva fare la cacca in
un vasetto da bambini per fare uno scherzo..io rifiutai..rifiutavo spesso il
cinema, anche se poi è stata la mia cassaforte, mi ha fatto guadagnare molto
più del teatro ma… ho amato il teatro
più di mia madre! L’ho amato pazzamente!
Curata da Paolo Leone
Un ringraziamento particolare all’ufficio stampa del
Teatro Eliseo, magistralmente diretto da Maya Amenduni.
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