Barbara,
tu nasci a Lugo, in provincia di Ravenna. Mi accennavi al tuo inizio, molto
contrastato in famiglia…
Sì,
molto contrastato. E’ stato l’inizio di una persona che sentiva di avere dentro
qualcosa di indefinibile, io dico sempre “un cane che morde”, che provoca
veramente dolore fisico, ogni volta che vedevo un film, assistevo ad uno
spettacolo, sentivo una canzone…stava lì e non capivo cosa fosse. Non avevo
nessuno, nella mia famiglia, che facesse questo mestiere, vivevo in un paesino
molto piccolo dove si gira a piedi, al massimo in bicicletta e crescevo in una
famiglia che mi vuole sicuramente molto bene, ma molto borghese. Mi
contrastavano e mi contrastano tutt’oggi! Anche quando escono articoli belli,
recensioni, foto degli spettacoli…loro mi dicono “si, sei brava…ma quando torni
a casa?” (ride) e io torto non
glielo posso dare. Ho lavorato con tante persone “arrivate” e nessuno di queste
fà una bella vita, nel senso borghese del termine. Chi fà questo mestiere ha
difficoltà a creare una famiglia, è sempre in giro, per arrivare a fine mese
non hai mai una sicurezza…è una vita che un genitore difficilmente augura ad un
figlio. Non ce l’ho con i miei, ma certo senza una guida e tante cose contro, è
una fatica. Ho iniziato facendo danni. Non sapevo bene cosa fare..amore per il
cinema, la danza, la fotografia…ho fatto cose strane prima di trovare la mia
strada in teatro.
Per dare corpo a questo anèlito artistico, hai
frequentato la Scuola Internazionale di teatro Spreafico.
La
scuola in realtà è arrivata quando già iniziavo ad azzeccare qualche cosa.
Finito il liceo mi prendono, non so bene come, in uno spettacolo su Medea a
Roma! Io vado da mio padre dicendogli “voglio andare a vivere a Roma!” Puoi
immaginare… Per non contraddirlo, mi svegliavo prestissimo e andavo
all’università a Cesena, studiavo psicologia, poi prendevo il treno e schizzavo
a Bologna, all’Accademia Galante Garrone, tornavo a dormire a Lugo e lavoravo
nei weekend per pagare il tutto! Finita l’accademia a Bologna sono andata a
Milano due anni, con Marina Spreafico, una bella scuola.
Nel tuo curriculum ho visto sia teatro drammatico che
brillante. In quale tipo di recitazione ti senti più a tuo agio?
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A proposito di ironia, tu hai lavorato con Gianfranco
D’Angelo! Che tipo di esperienza è stata, cosa ti ha insegnato Gianfranco?
Ah,
lui è stato carinissimo con me. Artisticamente è molto generoso. Mi insegnava
le battute che facevano ridere… “Dì questa, che funziona”… e funzionavano, il
pubblico rideva! E’ stato molto gentile nei miei confronti. Mi aiutava molto e
questo non è molto comune nei “grandi”. Non è sempre così, anzi. Lui è stato
molto generoso, come lo sono stati Pambieri e la Tanzi, fantastici, e anche
Gazzolo. Virginio Gazzolo è stato per me un grandissimo maestro. Ha scritto dei
ruoli proprio per me, quando eravamo in scena io e lui, abbiamo fatto delle
tournèe in Sicilia molto belle. Una generosità incredibile, nonostante sembri
un burbero che vive in suo mondo, molto isolato.
Un passo indietro, prima dell’inizio. Chi era la bambina
Barbara, i suoi sogni, le sue paure..
Ma
guarda, veramente, non avevo sogni o paure particolari. Seguivo il mio istinto,
e più volte sono stata sul punto di dire basta. Voglio dire…io sono laureata in
psicologia con 110 e lode, mio padre ha uno studio avviato, potrei fare una
vita agiata sul serio. Questa strada che ho voluto prendere mi ha portata anche
a dormire in sottoscala umidi, tra mille difficoltà per sopravvivere, facendo
lavori del cavolo. Ma ripeto: quello che mi ha fatto insistere è sempre stato
quel dolore fisico che non posso ignorare. Ogni volta che dicevo basta, era
sufficiente sentire una musica che allora mi scoppiava il cuore…è un amore
condanna. E’ la vita mia e non posso farne a meno.
Quanto i tuoi studi di psicologia ti aiutano nelle
interpretazioni?
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Chi è Barbara Bovoli come donna, più che come artista?
Se
dovessi fare una lista, innanzitutto ti dico la Fede, sono cristiana e per me è
una cosa importantissima. Sono poi un’artista, perché esserlo condiziona tutta
la vita mia: la famiglia, le amicizie, gli amori, le città in cui vivo. E’ un
lavoro che non ti dà tregua, 24 ore su 24, gira tutta la mia vita attorno al
teatro. Magari si può pensare all’attore come uno che non fa niente, ma è
l’esatto opposto! Chiaro che cerco di coltivare anche altre cose. L’amicizia,
la famiglia, anche se questo è un ambiente dove costruire una famiglia è arduo.
Ho un rapporto stabile in cui credo, vorrei in futuro avere dei figli. Certo è
che questo non è un lavoro che, finito l’orario, puoi pensare ad altro.
Ci sono dei ruoli in cui ti sei divertita di più?
Sicuramente
Sganarello! Era in uno spettacolo dalle grandi chance, sprecate stupidamente.
Era il ritorno alla regia di Tinto Brass, per cui c’era molta attenzione
intorno, sembrava dovesse nascere qualcosa di interessante. Mi offrirono il
ruolo di Sganarello, che nel Don Giovanni è importante. In quella riscrittura
di Brass, Sganarello si travestiva da uomo… per stare vicino al protagonista,
perché se si fosse rivelata donna, lui l’avrebbe trattata come tutte le altre,
usandola e poi via. Lui diceva “sento odore di femmina” e io mi spostavo più in
là… divertentissimo.
Hai lavorato anche ne “la bella e la bestia” e non credo
di sbagliare nel dire che interpretavi la prima. Ma c’è la bestia dentro
Barbara, un lato oscuro?
Uh…non
sai quanto! (ride) Ma dove hai trovato queste notizie? L’ho incontrato in
passato il lato oscuro, l’ho affrontato e l’ho messo da una parte perché non mi
è piaciuto.
Nel mondo del teatro, quante belle e quante bestie ci
sono?
Uno
dei miei motti preferiti è “il mondo è bello perché è vario!” Ci credo, mi
piace la gente nella sua varietà. Non sono diplomatica… gli unici che davvero
mi stanno antipatici sono i finti. Proprio perché mi piacciono sia i santi che
gli assassini, dimmi chi sei! Il teatro è pieno di tanta gente che fa una vita
di merda e questo la porta a fare cose non belle, ma non per questo sono
persone che vanno giudicate. Vanno capite, hanno ragione. In Italia il nostro
non è un lavoro! Prova a chiedere qualcosa di pratico…diritti, maternità, cose
pratiche… non ottieni una risposta che sia una! Un mio amico che è attore in
Francia, mi parla di un altro mondo: malattia riconosciuta, lo pagano per fare
dei corsi di aggiornamento… se vuole andare in Giappone a studiare il teatro,
lo finanziano… di che vogliamo parlare? Io la pensione non la conoscerò mai.
Chi fa questo lavoro spera di morire in scena. Quindi, se chi fa questo
mestiere è un po’ nervosetto, lo capisco.
Nel tuo monologo “Luna” narri la storia di tante, troppe
donne dell’Est finite sui marciapiedi. Quanto il teatro di impegno civile può
avere un suo peso nel portare avanti una battaglia come questa?
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La domanda che faccio a tutti, però devi sparare alto
sennò non vale. Un sogno alto, immagina di avere la possibilità, dicendolo ora,
di realizzarlo.
Oddio…
se devo proprio osare, allora ti dico di diventare quello che è Penelope Cruz
per Almodòvar, che io adoro. Fare cinema a quel livello, anche se finora non
l’ho mai cercato. Ma, ti giuro, ogni volta che porto in scena “Luna” mi sento
felice. L’ho creato io, dall’inizio alla fine, e sono felice.
Curata da Paolo Leone
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