Ancora un saggio del noto musicologo Gildo De Stefano,
questa volta percorrendo i sentieri socio-antropologici, una prefazione
d’eccezione dell’autorevole ed emerito sociologo pluri-insignito del pianeta,
Zygmunt Bauman, che nei suoi ultimi lavori ha inteso spiegare la postmodernità
usando le metafore di modernità liquida e solida. Scrive il pensatore di Leeds:
“Quando De Stefano mi ha proposto di redigere qualche riga per introdurre
questo suo saggio sociologico sulla musica jazz” “adducendo che -nonostante l'argomento
apparentemente 'leggero'- altri illustri studiosi in passato, quali il mio
compianto amico Eric J. Hobsbawm, si erano interessati ad esso, ho chiarito
all'autore che -a differenza di me- l'amico Hobsbawm aveva speso migliaia di
ore ascoltando dischi di jazz e migliaia di notti trascorse nei jazz-club,
acquisendo incomparabilmente una cospicua cultura jazzistica forse superiore
alla maggior parte di musicologi e critici musicali che sono in giro.
Certamente Hobsbawm amava, sentiva, e capiva di jazz in modo più intenso di
tutti (o quasi) questi messi assieme. Ahimé, se paragonato a lui raggiungerei a
stento la sua caviglia.
Insomma, avevo riferito a De Stefano che non ero all'altezza del compito e, scegliendo la mia introduzione per il suo libro, gli avrei fatto più danni che benefici. Tuttavia, constatando la pervicace e coinvolgente passione musicale di questo sociologo italiano, nonché le sue opere saggistiche di stampo musicologico, ho cercato di rintracciare nei miei scritti, qualcosa che potesse essere utile alla sua causa”.
Insomma, avevo riferito a De Stefano che non ero all'altezza del compito e, scegliendo la mia introduzione per il suo libro, gli avrei fatto più danni che benefici. Tuttavia, constatando la pervicace e coinvolgente passione musicale di questo sociologo italiano, nonché le sue opere saggistiche di stampo musicologico, ho cercato di rintracciare nei miei scritti, qualcosa che potesse essere utile alla sua causa”.
Il libro, che si intitola Una storia sociale del jazz
(Mimesis Edizioni, Milano 2014, pagg.182, €. 16,00), e sottotitolato “dai canti
della schiavitù al jazz liquido” prende il via dalle teorie classiche fino ad
arrivare alle prospettive contemporanee sulla musica d’improvvisazione. Giova
evidenziare che ormai la presenza del jazz nella cultura musicale mondiale è un
dato difficilmente confutabile. Anche chi non conosce direttamente il suo
idioma, inteso come genere musicale specifico nato in America, può –una volta
resosene conto- riconoscerne gli influssi su gran parte della musica
occidentale del secolo scorso. Ma il jazz non è solo musica bensì rappresenta a
tutti gli effetti una componente ' sociale’ e, quindi, se prima coinvolgeva
solo il popolo afroamericano adesso va inteso a livello ‘glocale’ e -come tale-
una gran parte di studiosi, a cominciare da Eric J. Hobsbawm, ha dedicato a
questo peculiare segmento del genio creativo approfondimenti di stampo
socio-antropologico. Questo saggio, pur non avendo la pretesa di voler essere
una sorta di 'sociologia della musica jazz', affronta l'argomento della musica afroamericana -con
tutte le sue peculiarità quali l'improvvisazione e quant'altro- sotto un
profilo squisitamente epistemologico, partendo dalle teorie classiche fino ad
analizzare quelle prospettive relative al mondo della globalizzazione. A tal
proposito il jazz, come linguaggio musicale, assume da sempre un ruolo
significativo nei processi di costruzione sociale della realtà e
dell’immaginario individuale e collettivo, malgrado la tanto auspicata
evoluzione nel Terzo Millennio riguarda più l'aspetto meramente tecnologico,
inteso come ascolto, che quello sostanzialmente innovativo e geniale. L'opera è
tipicamente di stampo saggistico, con una scrittura alquanto erudita, tuttavia
comprensibile anche dal neofita, con una soddisfacente e colta bibliografia. De
Stefano ha composto un'opera decisamente innovativa data la una carenza di
trattati socio-antropologici sulla musica afroamericana colmando quella lacuna
lasciata negli anni Settanta dal grande storico mondiale Hobsbawm.
Daniele Panico
Nessun commento:
Posta un commento