E fanno 13 per l’Italia: cominciando a
contare dal 1947, anno della prima affermazione con il premio speciale -non era
ancora stata istituita l’apposita categoria- a “SCIUSCIA’ ” di Vittorio De Sica
(se non l’avete ancora visto, cercate di recuperarlo!), il Bel Paese conquista,
con “LA GRANDE BELLEZZA ”,
la tredicesima affermazione ai premi Oscar, un traguardo di tutto rispetto che
testimonia la considerazione di cui il nostro cinema ha da sempre goduto nel
mondo, pur con qualche periodo di calo; il riconoscimento per il “Miglior Film
Straniero” ci mancava infatti dal lontano 1998, con “LA VITA E ’ BELLA”, quando
Roberto Benigni camminò -letteralmente- sopra la teste del paludato pubblico di
platea del Kodak Theatre per andare a ricevere la statuetta direttamente dalle
mani di un’emozionatissima Sophia Loren (“ROBERTO!!!”).
Dagli anni ’40 in poi, non c’è stato un decennio che non abbia visto almeno un’affermazione italiana, con l’eccezione, appunto, del primo del nuovo millennio; per ritrovare un periodo di astinenza altrettanto lungo (15/16 anni) bisogna risalire agli anni ‘70/’80, quando per avere il successore di “AMARCORD” di Fellini (1974) si dovette attendere “NUOVO CINEMA PARADISO” di Giuseppe Tornatore (1989). Intendiamoci: personalmente, non ho mai considerato i premi Oscar come la pietra di paragone assoluta del cinema, poiché, come del resto avviene in altri ambiti (ad esempio nel calcio, con il “PALLONE D’ORO”), i titoli NON SEMPRE vengono attribuiti ai migliori (decisamente più affidabili, sotto questo aspetto, i festival cinematografici europei: Cannes, Venezia, Berlino...): tanto per citare un paio di casi recenti, non ho ancora capito in base a quali meriti artistici siano stati incoronati film come “TITANIC” (1997) o “IL GLADIATORE” (2000); guardando in casa nostra, lo stesso “MEDITERRANEO” (1991) di Salvatores, pur essendo un film gradevole che si riguarda sempre volentieri, è tutt’altro che un’opera da premio Oscar -sempre a parere mio, naturalmente-. La sensazione è che, in certi casi, la scelta delle opere da premiare possa essere condizionata, anziché da criteri qualitativi, da ben più prosaiche questioni di marketing; nei casi più fortunati, come forse è quello del presente “LA GRANDE BELLEZZA ”,
l’arte coesiste armoniosamente con l’appeal commerciale. Ciò detto,
ricollegandomi proprio a quest’ultimo concetto, non posso non riconoscere
l’enorme importanza, in termini di pubblicità e potenzialità economiche, di una
vetrina come quella degli Oscar, i quali, piaccia o non piaccia, esprimono
l’orientamento del più grande mercato cinematografico (se la gioca, forse, con
quello indiano) del mondo nonché la “voce” di una cultura di altrettanto vasta
influenza. Il premio Oscar, quindi, specie per una cinematografia da anni un
po’ in crisi come quella italiana, va considerato, al di là di considerazioni
squisitamente artistiche e dell’indiscutibile prestigio che ammanta chi lo
vince, come un’OPPORTUNITA’, un’occasione di rilancio per l’intero movimento
cinematografico nazionale, e come tale va salutato con entusiasmo,
nell’auspicio che una maggior attenzione da parte degli altri paesi e il
conseguente arrivo di nuove risorse economiche permettano ai nostri cineasti di
tornare a “pensare in grande”. Per Sorrentino, a livello personale, si è
trattato del giusto riconoscimento per una crescita artistica esponenziale, che
lo pone al vertice del cinema europeo contemporaneo.
Dagli anni ’40 in poi, non c’è stato un decennio che non abbia visto almeno un’affermazione italiana, con l’eccezione, appunto, del primo del nuovo millennio; per ritrovare un periodo di astinenza altrettanto lungo (15/16 anni) bisogna risalire agli anni ‘70/’80, quando per avere il successore di “AMARCORD” di Fellini (1974) si dovette attendere “NUOVO CINEMA PARADISO” di Giuseppe Tornatore (1989). Intendiamoci: personalmente, non ho mai considerato i premi Oscar come la pietra di paragone assoluta del cinema, poiché, come del resto avviene in altri ambiti (ad esempio nel calcio, con il “PALLONE D’ORO”), i titoli NON SEMPRE vengono attribuiti ai migliori (decisamente più affidabili, sotto questo aspetto, i festival cinematografici europei: Cannes, Venezia, Berlino...): tanto per citare un paio di casi recenti, non ho ancora capito in base a quali meriti artistici siano stati incoronati film come “TITANIC” (1997) o “IL GLADIATORE” (2000); guardando in casa nostra, lo stesso “MEDITERRANEO” (1991) di Salvatores, pur essendo un film gradevole che si riguarda sempre volentieri, è tutt’altro che un’opera da premio Oscar -sempre a parere mio, naturalmente-. La sensazione è che, in certi casi, la scelta delle opere da premiare possa essere condizionata, anziché da criteri qualitativi, da ben più prosaiche questioni di marketing; nei casi più fortunati, come forse è quello del presente “
A seguito, per festeggiare, ecco la
lista dei “Magnifici 13”
titoli italiani che hanno vinto il premio Oscar per il miglior film straniero:
1947 SCIUSCIA’ di Vittorio De Sica
1949 LADRI DI BICICLETTE di Vittorio De Sica
1956 LA
STRADA di
Federico Fellini
1957 LE NOTTI DI CABIRIA di Federico Fellini
1963 8 ½ di
Federico Fellini
1964 IERI, OGGI E DOMANI di
Vittorio De Sica
1970 INDAGINE SU UN CITTADINO AL DI SOPRA DI OGNI
SOSPETTO di Elio Petri
1971 IL GIARDINO DEI FINZI CONTINI di Vittorio De Sica
1974 AMARCORD di Federico Fellini
1989 NUOVO CINEMA PARADISO di Giuseppe Tornatore
1991 MEDITERRANEO di Gabriele Salvatores
1998 LA VITA E ’ BELLA di Roberto Benigni
2014 LA GRANDE BELLEZZA di Paolo Sorrentino
Torniamo al presente, e a questa
vittoria tanto attesa quanto prevista, specie dopo l’affermazione del film ai
recenti “GOLDEN GLOBE AWARDS”, considerati, in maniera un po’ riduttiva, come
l’anticamera dei premi Oscar: il nostro Paolo Sorrentino è andato a ritirare il
premio affiancato -giustamente- dal grande Toni Servillo, la cui partecipazione
al film, nel ruolo del protagonista, è stata decisiva per una vittoria che
segna l’apice di un sodalizio artistico tra i più felici di sempre del cinema
italiano; in un inglese a dir poco faticoso, il regista ha ringraziato le sue
fonti di ispirazione, cioè i maestri, i numi tutelari che, come vedremo, a
vario titolo, lo hanno guidato alla scoperta della propria poetica.
Nell’ordine: Federico Fellini, citazione dovuta per uno dei più grandi registi
di tutti i tempi, alla cui opera “LA DOLCE
VITA ” Sorrentino ha pensato nel fare il suo film, costruendo
un ponte ideale tra due periodi molto diversi tra loro ma accomunati dallo
stesso set d’eccezione, Roma; lo storico gruppo musicale dei TALKING HEADS (che
hanno avuto il loro periodo d’oro tra la fine degli anni ’70 e i primi anni’80),
in particolar modo nella persona del carismatico e illuminato leader David
Byrne, guest star dell’ottimo lavoro precedente del regista, “THIS MUST BE THE
PLACE” (2011), il cui titolo cita proprio la famosa canzone della band,
eseguita da Byrne in una scena del film; Martin Scorsese, un vero e proprio
gigante del cinema a stelle e strisce che non ha bisogno di presentazioni e dal
quale il nostro regista ha tratto utili insegnamenti; ultimo, ma non per
importanza -e qui Sorrentino ha sorpreso tutti, diretto interessato compreso-
nientemeno che Diego Armando Maradona!
/AVVISO AI LETTORI: da questo punto in
poi l’articolo prenderà una piega decisamente pallonara, quindi se siete
anti-calcio potete pure fermarvi qui...\
D’accordo, avranno pesato senz’altro
le origini partenopee e la correlata fede calcistica del regista, ma liquidare
la questione in questo modo sarebbe assolutamente riduttivo: è lo stesso
Sorrentino, durante un ‘intervista in italiano, a chiarire cosa accomuni i
quattro “fari” della sua vita, indicando il filo rosso che giustifica
l’accostamento di uomini apparentemente imparagonabili tra di loro: è il merito
di avergli insegnato, ciascuno a proprio modo, cosa significhi “fare
spettacolo”, e l’aver incluso il “Pibe de Oro” nella ristrettissima cerchia
degli eletti solleva un interessante dibattito culturale, che muove da un
preciso interrogativo: se lo sport è spettacolo, allora possiamo dire che lo
sport sia arte? Nel caso di Maradona, non ho dubbi: sì, SI’!!! Premetto subito
che NON sarò obiettivo, data la mia incondizionata fede maradoniana, ai confini
dell’idolatria. Certo: anche Maradona, così come i campioni di oggi, giocava
per vincere, giocava per la gloria, giocava per i soldi; ma giocava anche per
la gente, divertendo e divertendosi, regalando gioia, allegria, esaltazione,
perfino momenti di pura poesia calcistica. Ho sempre trovato inutile, o meglio,
insensato, l’eterno dilemma su chi sia stato il più grande calciatore di tutti
i tempi tra Pelé e Maradona. Se parliamo del calciatore più vincente della
storia, dell’archetipo del campione ideale, allora Pelé non ha rivali: parlano
per lui le cifre stratosferiche dei record ottenuti nel corso della sua longeva
e straordinaria carriera (i 3 mondiali vinti, gli oltre 1000(!) gol segnati,
ecc…). Ma Maradona è stato qualcosa di “altro”, di “oltre”: un prodigio
inspiegabile, un virtuoso assoluto fuori da ogni regola o schema, un essere
unico, irripetibile e inclassificabile, la cui immensità e particolarità gli
hanno garantito già in partenza la certezza di sfuggire ad ogni tentativo di
classificazione o comparazione con altri. Per lui bisognerebbe coniare una
categoria a parte: possiamo dire che Pelé sia stato il più grande tra i
terrestri, mentre di Maradona non è stata ancora accertata la provenienza, si
sa solo che non è di questo pianeta… se non vi fidate, andate a riguardarvi,
anche su “YOUTUBE”, le prove di quanto dico: sono lì, a vostra disposizione.
Domandatevi se sia stato più difficile vincere 3 Coppe del Mondo per Pelé e il
suo Superbrasile, oppure due scudetti a Napoli ed un Mondiale, vinto
praticamente da solo, per Maradona…
Chiudo ricordandovi che, per
festeggiare l’evento, questa sera stessa, 4 Marzo,“MEDIASET” (il film è stato
prodotto da MEDUSA) trasmetterà “LA GRANDE
BELLEZZA ” in prima visione TV assoluta, appuntamento alle ore
21:10 su CANALE 5. A
seguire, tanto per gradire, ancora Sorrentino, con il già citato “THIS MUST BE
THE PLACE”.
Francesco
Vignaroli
Leggete anche la recensione dello stesso Francesco Vignaroli sul film "La Grande Bellezza", apparsa sul Corriere dello Spettacolo qualche tempo fa...
Leggete anche la recensione dello stesso Francesco Vignaroli sul film "La Grande Bellezza", apparsa sul Corriere dello Spettacolo qualche tempo fa...
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RispondiEliminaLa Grande Bellezza parla di tutto ma non di Roma. Parla di una società vuota e sola che si vende per un po di compagnia. Una società che non ha scopo, che trascorre il tempo a perdere tempo. Una fuga inconsapevole o consapevole dalla vita. Il tema dell'amore è quello che più tocca. E' tema sfumato, appena accennato eppure centro e conclusione del film. Toni Servillo ha sul tema dell'amore due monologhi bellissimi.
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