Francesco Branchetti è attore dalle
straordinarie capacità interpretative, ma vive il teatro in tutte le sue forme.
Docente, regista, attore, membro della giuria del Premio “Le maschere del
teatro italiano”. Ha curato la regia di tanti spettacoli, di tanti eventi
culturali di livello. Da anni si dedica anche alla regia collaborando con
alcuni tra i più noti autori italiani contemporanei. Vincitore del prestigioso
“Premio Speciale Vallecorsi – protagonisti della scena contemporanea”, nella
56° edizione. Nel 2010 riceve il “Premio Gibellina – Randone XIV Edizione
Premio Salvo Randone – Oscar del Teatro italiano” per la sua attività di
regista e attore. Ha diretto opere, concerti, ha lavorato anche in radio e
televisione.
Lo abbiamo incontrato nel finale di
questa stagione teatrale 2013/2014, che lo ha visto in scena sia come attore
che come regista.
Francesco, la stagione teatrale
ormai volge al termine. Una stagione che ti ha visto sugli scudi! Macbeth
downtown, il monologo La disfatta, la regia di un grande classico come
Girotondo di Schnitzler, tra poco un’altra opera, La finzione della vita, che
andrà in scena al Teatro Belli dal 6 maggio. Di cosa tratta questa nuova pièce?
La finzione della vita è innanzitutto un testo di
Giovanni Antonucci, che è stato premiato col prestigioso Premio Vallecorsi per
la drammaturgia. Un testo a cui sono particolarmente legato e che è già andato
in scena due anni fa negli spazi del Teatro di cintura, cioè nel Teatro
Torbellamonaca e nel Teatro Quarticciolo, con grande successo di pubblico e di
critica. E’ uno spettacolo che parla del mondo della televisione e non solo. Il
protagonista è un producer televisivo che vive una profonda crisi personale,
esistenziale, affettiva, ma che crede profondamente nei valori tradizionali, costretto
a vivere in un mondo pieno di compromessi e tentazioni quali quello della tv, o
se vogliamo dello spettacolo. Finzione della vita nel mondo della televisione,
ma che diventa finzione anche all’interno del nucleo familiare. Si assiste
quindi al rischio della deflagrazione della famiglia di questo producer che non
è certo un playboy, ma anzi una bravissima persona, travolto da situazioni che
non riesce a gestire. Una brevissima relazione extraconiugale che mette in
crisi tutto un universo di valori a cui aveva sempre fatto riferimento. La
moglie Giulia avrà l’intelligenza di capire che il tutto non è frutto di una
sbandata ma di una crisi più complessa. Un testo profondo, con tante sfumature,
in cui non si racconta un mondo idealizzato e che affronta anche l’incapacità
di comprensione intergenerazionale. Uno dei testi più belli con cui abbia mai
lavorato!
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Eh sì… ma sai, questo è il momento che sta vivendo il
teatro! Io stesso, qualche anno fa, ho messo in scena il Macbeth classico
shakespeariano, con tutti esauriti a ripetizione. Devo dire che nell’arco di
cinque sei anni, il pubblico a teatro è molto diminuito. C’è una grande crisi e
si sente. Le prime cose a cui si rinuncia, e questo è triste e grave, sono aimè
la cultura, il teatro, l’arte in genere.
Mi dai lo spunto per la prossima
domanda. E’ così difficile portare la gente a teatro, in un periodo poi in cui
stucchevolmente si sente ripetere la frase che “la gente vuole solo ridere”? Ma
è proprio così?
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Ecco, a proposito di Girotondo. Se
ti ricordi, quando ci incontrammo dopo la prima, ti dissi che eri un pazzo! Ma
a Branchetti piace andare controcorrente?
Branchetti combatte una lotta estrema per essere un
artista, per portare in scena ciò che mi ispira e ciò che ritengo possa essere
importante per il pubblico di adesso. Girotondo è un testo che affronta il
rapporto uomo donna da tutte le angolazioni. In un periodo come questo, in cui
basta aprire un giornale o accendere il televisore per venire a conoscenza di
notizie terribili relativi ai rapporti tra i due sessi, non vedo testo più
attuale di Girotondo per tornare a tentare di capire i rapporti tra gli uomini
e le donne. Il teatro, per me, dovrebbe essenzialmente parlare dell’uomo e dei
suoi problemi. Per essere considerato teatro vero!
Tu vedi giovani che possano cambiare
rotta nel teatro italiano?
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Come si educa il pubblico al bello?
La lotta con la televisione è tremenda…
Hai un sogno nel cassetto, una
speranza, qualcosa che ti possa soddisfare professionalmente?
Il mio sogno, la mia speranza, è quello di poter lavorare
con più continuità. Mi è capitato in passato che alcuni miei lavori fossero
ospitati nei Teatri Stabili. Ecco, forse il mio sogno è proprio quello di avere
la possibilità di mettere in scena i miei spettacoli all’interno del teatro
pubblico, di lavorare più spesso con gli Stabili, dove credo di poter dare
molto in termini di idee. Sono estremamente convinto che il teatro pubblico
abbia un’importanza enorme da un punto di vista educativo e culturale e credo
che gli Stabili dovrebbero essere più attenti verso i giovani registi che da
anni vincono premi importanti e dare loro più spazio.
Curata da Paolo Leone
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