Teatro Litta, Sala la
Cavallerizza, Milano. Dall’11 al 14 aprile 2014, in anteprima
Interessante
e suggestiva la regia e la scelta drammaturgica del Progetto Robur, gruppo
creativo di giovani talenti, di portare in scena, nell’ambito del progetto
APACHE, in uno spazio così insolito com’è la Sala della Cavallerizza del Teatro
Litta a Milano, la figura, probabilmente sconosciuta ai più, dello scienziato
Nikola Tesla.
Ma
cos’è che hanno colto Gianluca Panareo e Margarita Egorova della vita di Tesla,
scienziato nato nel 1856 nel Regno di Croazia e Slavonia e trasferitosi nel
1884 negli Stati Uniti con una lettera di credenziali per Thomas Edison a tal
punto da spingerli a farne una messa in scena?
Possiamo dire senz’altro l’analogia di Tesla con Prometeo, come dice il
sottotitolo, il cui significato è “colui che riflette prima”, il titano di cui
Byron scrisse “Il tuo delitto divino fu l’essere gentile/di rendere con i tuoi
precetti la somma/ dell’umana infelicità minore”. E per Tesla “la scienza non è nient’altro che
una perversione se non ha come suo fine ultimo il miglioramento delle
condizioni dell’umanità”.
Il
titano che osò sfidare Zeus per donare il fuoco agli uomini ispirò Eschilo,
Shelley, Gide, Calderon de la Barca, von Hofmannsthal, Camus, Pavese in
letteratura e in musica Fauré, Listz, Scrjabin, Saint-Saens, Nono, Orff, gradi
artisti che hanno saputo usare la fiamma del sapere al meglio e poi farne dono
agli altri.
Da
quanto ne sappiamo, Tesla era una personalità sui generis, celibe, asessuale, maniaco dell’igiene, sostenitore
dell’eugenetica, inetto a gestire le sue finanze, pieno d’ idiosincrasie,
rifiutò il Premio Nobel nel 1912 come rivendicazione per non averlo preso nel
1909 al posto di Guglielmo Marconi, morì solo nel New Yorker Hotel per un
infarto all’età di 86 anni, nullatenente, lasciando debiti consistenti.
Al
momento della morte nel 1943 stava lavorando a quello che fu ribattezzato “il
raggio della pace” e l’anno seguente la Corte Suprema degli Stati Uniti lo
riconobbe come inventore della radio. E’ considerato anche “l’uomo che inventò
il Ventesimo secolo”. Insomma, quello
che si dice un genio, naturalmente incompreso, o almeno non del tutto, e
secondo i fondatori di Robur, tradito.
Tanto
materiale sulla sua vita, vero o presunto che sia, si sono trovati tra le mani
i due drammaturghi, e senz’altro non sarà stato facile estrapolarne i momenti
salienti, quelli da portare sulla scena per farli raccontare da un
somigliantissimo Alberto Baraghini, a parte la statura visto che Tesla era alto
circa due metri, ma l’attore recita su un tavolo e quindi…
Lo
spettacolo comincia quando la stessa Egorova, una minuta e graziosa Statua
della Libertà che tiene in mano una candelina, ci conduce davanti alla Sala
della Cavallerizza sui cui battenti leggiamo “Tesla Alternating Current” e da
cui provengono voci da chi, presumiamo, sta cercando qualcosa nel suo
laboratorio, senza saper eche lo scienziato aveva “il laboratorio nella sua
testa”. E quindi dovrà accontentarsi solo di appunti disordinati tra cui noi
spettatori ci troveremo seduti, una volta in sala.
All’interno,
tra rombi di tuoni e lampi di luce, Baraghini/Tesla ci appare sotto una pioggia
di lampadine nude, sfavillanti, e qui comincia a raccontare di sé, a parlare
con Edison, con Marconi, a rivelarci un po’ della sua personalità, del suo
impegno prometeico “camminando attraverso i fulmini” per donare agli uomini
strumenti per innalzarsi e sconfiggere la paura degli dei, perché solo allora
gli Dei spariranno.
Qualche
osservazione di carattere registico, mi sento di fare: la parte in cui gli
spettatori aspettano fuori ascoltando le voci che provengono da dentro, è
troppo lunga, dopo i primi minuti perde di forza e di sorpresa e poi manca
l’atmosfera che il bel titolo ci lascia immaginare. Dov’è l’uomo di ottantasei
anni che vive al limite della pazzia in un hotel di New York, solo e pieno di
manie? Insomma ci voleva una piccola sferzata nella regia della
recitazione per rendere il personaggio
un po’ meno uniforme e più interessante.
Per
il resto, un lodevole impegno, dalla scenografia, alle musiche, ai costumi,
bravo Baraghini alla sua prima prova da solista, e grazie ai registi e
drammaturghi per avere scelto un tema che vale la pena senz’altro di
approfondire, per la sua originalità, diversità e anche non facile approccio.
Ben
vengano tutti i tentativi che incoraggino lo spettatore a fare un salto fuori
dal convenzionale, dalla tradizione, dalla fruizione passiva, dai sentieri
conosciuti dove non si rischia di cadere e di pestare i piedi a nessuno.
Ricordiamoci
tutti di essere un po’ più Prometei, allora.
Daria D.
NEW
YORKER HOTEL 3327. PROMETEO TRADITO.
REGIA di GIANLUCA
PANAREO, SAVERIO ASSUMMA DE VITA.
DRAMMATURGIA di
GIANLUCA PANAREO E MARGARITA EGOROVA
Con ALBERTO BARAGHINI
e MIKE KHALE
PROGETTO ROBUR
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