Cari lettori del Corriere dello Spettacolo, la vostra
Claudia Conte è arrivata or ora all’appuntamento con l’artista Antonio La Rosa,
che questa volta espone le sue creazioni degli ultimi mesi in uno spazio che si
muove tra realismo e pop art, non senza averci prima offerto un viaggio in uno
spicchio di Provenza al piano superiore.
Ci troviamo a Roma, alle spalle di Campo de’ Fiori, luogo
che, fosse solo per il nome, titolo di un primo esempio di realismo
cinematografico, già di per sé racchiude il senso di sospensione tipico
dell’atmosfera romana, tra arte, tradizione e innovazione, laddove ognuno è
libero di dire la sua.
Ecco, dove siamo ci è chiaro, almeno sembra, ma tu,
Antonio, dove sei, o meglio dove sei arrivato nel tuo percorso artistico?
A dire
il vero, non lo so! Nel senso che credo che il percorso artistico sia un
continuo divenire, dove non esiste una meta prestabilita, un vero punto di
arrivo, insomma!
Sì giusto, ma tu dove senti di essere arrivato?
Sento
di essere da nessuna parte o forse dappertutto. E comunque, ciò che, invece più
che sento vedo, è di essere arrivato ad un punto in cui il turbinio di
pensieri, riflessioni, visioni, ha portato nella mia vita l’inevitabile
intersecare di diverse forme espressive quali la scultura, la pittura, la
recitazione, sovente la scrittura. È incontenibile tale incontro, poiché ognuna
di queste espressioni artistiche riesce a darmi quel quid in più che mi
permette di non arrestare il processo della mia evoluzione creativa.
È vero, questa volta abbiamo anche l’esposizione di
alcune opere tue scolpite in ferro…
Sì,
sono proprio in un momento in cui l’esigenza di esternare tutte le riflessioni,
di “dar forma alla non forma” della mia ricerca personale verso la vita è
divenuta così predominante, così forte da condurmi inevitabilmente a sfiorare
sfere espressive che mai avrei pensato di sperimentare, come la scultura in
ferro che fino a pochi mesi fa non era da me minimamente contemplata.
E come sei arrivato qui e ora? Ovvero quali strumenti ti
hanno sostenuto per arrivare qui?
È
proprio questa intersezione di mondi
artistici così vicini, ma forse anche lontani, che da sempre si sono incrociati
dentro e fuori me, ad avermi offerto l’immensa possibilità di riuscire a vivere
nelle varie sfumature dell’arte e, conseguentemente, l’opportunità di vedere il
mondo attraverso una finestra dalla quale riesco a guardare quasi con occhi da
bambino al di fuori del pregiudizio, soltanto a stretto contatto con l’istinto.
I grattacieli sono il leitmotiv della tua espressione
artistica su tela, ma compaiono sempre più anche i libri accatastati in
librerie tridimensionali o illuminate da un occhio di bue a formare un tondo,
quasi a rievocare oblò di navi, forse lontane da qui, ma mai in assoluto: il
mare è spesso fonte di ispirazione per te? E poi, è il tuo mare ad accenderti
sempre nuovi fervori o è il mare nostrum oppure il mare di tutti?
Beh
sì, senza dubbio, è il mare di tutti, inteso come simbolo del continuo
movimento esistenziale, appartenente a ogni singolo individuo. Il mare, al
quale mi sento legato in modo atavico perché l’ho visto e respirato ed
assaggiato per gran parte della mia vita! Trovo splendido e ispirante vedere
l’orizzonte oltre lo sconfinato ribollire del mare! E poi sì, i grattacieli,
oramai quasi sempre presenti nelle mie tele, rappresentano l’occasione per
scoprire tutto quello che è il non visibile del circostante, perché le luci
delle finestre sono lì a raccontarci i vari stati d’animo e le molteplici
peculiarità di ogni essere umano.
Comunque, a proposito di libri, questi quadri sui quali
appaiono, rimandano una sorta di rifrangenza interiore delle luci generate
proprio dalle finestre dei grattacieli o forse sarebbe meglio dire che le luci
delle finestre riflettono quelle dei libri. Tuttavia, l’essere sembra
circondato da luce, anche se si trova da solo, di notte, al centro o al lato
della sua stanza: i libri per te rappresentano tutto ciò? E la cultura?
Sì,
i libri sono luce, emblema di conoscenza e, quindi, di libertà di pensiero così
come è la cultura, anche se poi per cultura intendo il coltivare anche e
soprattutto la propria interiorità, la propria conoscenza interiore.
Quale artista ti ha incoraggiato più di altri a tuffarti
nel mondo della pittura, influenzando un poco anche il tuo stile?
Per
quanto riguarda l’istintività di espressione, di getto e senza esitazione direi
Vincent Van Gogh.
Mi è sembrato, invece, di aver letto in una intervista a
te, di qualche anno fa, che Edward Hopper avesse in qualche modo contaminato la
tua crescita artistica, sbaglio?
Assolutamente
vero! Edward Hopper ha contaminato il mio processo di libertà di pensiero e di
azione e mi ha fatto riflettere sull’indispensabilità di utilizzare una forma
espressiva piuttosto che un'altra per poter raccontare il proprio pensiero; è
stato per me un grosso incoraggiamento a vivere questo viaggio senza freni
inibitori verso la totale libertà di render mio ogni mezzo utile a raccontarmi.
Edward Hopper diceva: “non dipingo quello che vedo, ma
quello che provo” e, in effetti, dato per assunto che l’arte dovrebbe essere
sempre l’esternazione del mondo interiore dell’artista, le tue opere in alcuni
tratti possono ricordare le sue, nelle quali, però, i soggetti sono ritratti
dal davanti, mentre nelle tue si presentano sovente di spalle, quasi a indicare
che il passato sì è importante, ma che la vita vera è quella dell’adesso con lo
sguardo dritto in avanti, verso il dopo…
Esatto,
hai centrato il punto! Difatti, trovo di gran lunga più interessante e indispensabile,
ad oggi, il dar vita a personaggi che sono volti al proprio futuro, che vivono
il proprio presente consapevoli che un istante più tardi è già divenuto
passato, perché il futuro, a proposito di divenire, è quell’attimo in cui
arriviamo a volte incuranti del “qui ed ora”. Mentre come hai appena detto la
vita vera, al di là di ogni giusto e logico obiettivo, resta sempre e comunque
quella che ci sfiora ogni giorno nell’immediato. Ogni istante è unico e
insostituibile: per questo, dovremmo essere assetati di vita e verità…
E, nel tuo futuro imminente, al di là di un semplice
vagabondare, i cui piaceri sono espressi così bene nella poesia Sensation di
Arthur Rimbaud, che, tanto per rimanere in tema, è stata fonte di ispirazione
per lo stesso Hopper, sono previsti viaggi nelle più stimolanti capitali
europee, almeno dal punto di vista artistico, quali Parigi, Londra, Berlino?
Sì,
la mia indole vagabonda, così come inevitabilmente il “lavoro” che svolgo, mi
portano spesso a viaggiare ed è per questo che ho elaborato e concretizzato, in
occasione dell’imminente mostra romana, l’idea di rendere il mio “laboratorio
d’arte e sperimentazione” mobile e itinerante, come del resto è itinerante
l’animo umano. Così ho in programma di visitare una serie di capitali europee,
in cui mi tratterrò per un breve periodo e dove potrò creare ed esporre ciò che
realizzerò durante la permanenza, per sperimentare quanto ogni luogo possa
contaminare con la propria architettura, con le proprie abitudini, col proprio
clima, insomma, con le proprie particolarità la mia creatività e il mio modo di
raccontare seppur inconsciamente il luogo vissuto. Intendiamoci, non parlo di
ritrarre i paesaggi delle città vissute, parlo di dare la mia versione dei
fatti di ciò che vivo e vedo…
Comunque,
le mie mete sono prima fra tutte Roma, dove già sono operativo, ospite qui
all’open space Lakimi in pieno centro storico.
Invece,
il prossimo obiettivo è Londra: mi piace l’idea di poter essere contaminato e
contaminare a mia volta…
Qualcuno ha affermato che “Edward Hopper ci ha insegnato
che l'immagine è una realtà senza resti e la realtà un divenire senza centro”.
Tu che ne pensi?
Penso
che Hopper sia riuscito a cogliere un punto importante: il viaggio, inteso come
scorrere della vita e come propria ricerca, non ha una meta definita e
definibile. E’ vero la vita ha un inizio e una fine, ma del resto, oltre il
terreno, chi di noi può confermare se quella sia davvero una fine, o magari
solo un nuovo principio?! Così credo che la realtà possa raccontare tante
sfumature quante ognuno voglia decidere di coglierne e che l’immagine sia un
passaggio fra ciò che è oramai passato e quel che presto diventerà futuro…
Ma ora, invece, volendo fare un gioco di parole, al
centro della tua realtà artistica, pare proprio che ci sia spazio per un’altra
espressione, quale la scultura non solo in legno come hai già presentato, un
paio di anni fa, durante una tua personale in Sardegna, bensì utilizzando il
ferro, quasi a voler rendere omaggio alla tradizione calderaia della tua
famiglia, fatto questo che ti accomuna a uno dei massimi esponenti del
modernismo, l’architetto spagnolo Antoni Gaudì…
Ehehe,
lusingato di essere “accomunato” al grande Maestro Gaudì! Sì, è da pochissimo
che ho avuto l’incontro con il ferro come elemento scultoreo. Appena finiti gli
studi della scuola superiore, ho iniziato a lavorare con mio padre che aveva
una piccola azienda di lavorazione del ferro; poi, ho lasciato tutto per
inseguire la mia indole e inclinazione artistica; oggi, a distanza di un bel
po’ di anni, l’azienda di famiglia, ora capitanata egregiamente da mio
fratello, che segue i sapienti consigli di mio padre, si sta evolvendo e io con
essa ho provato a dare la mia interpretazione circa il fatto che questo
materiale in apparenza freddo possa, invece, donare calore alle proprie forme.
Così proprio nel momento in cui ho iniziato la mia ricerca verso gli “equilibri
instabili”, ho avuto modo di fare buon uso del ferro di recupero per dare forma
concreta a questo mio pensiero…
La mostra si intitola “Sguardi interiori”, giusto? Cosa
sono invece gli “equilibri instabili” a cui accennavi?
Gli
“equilibri instabili” rappresentano per me l’enorme capacità di ogni essere
umano di trovare il proprio centro d’equilibrio anche nella totale precarietà,
un po’ metafora dei nostri tempi e del vivere in tutti i sensi. Credo che
abbiamo delle risorse nettamente superiori alle nostre aspettative, ma spesso
siamo frenati da credenze limitanti. Del resto, lo stesso camminare implica un
disequilibrio in avanti! Insomma, è vero o no che ogni volta che riusciamo a
sbilanciare la nostra vita verso un obiettivo pare che intorno tutto si muova
verso di noi?
Hai detto di aver iniziato da poco questo viaggio
scultoreo nel ferro, quante opere hai realizzato fino ad ora?
Circa
una trentina e alcune hanno già preso la loro strada. Le sculture che vedrete
esposte al Lakimi sono, per me, uno studio per arrivare a creare delle sculture
di dimensioni più consistenti…
Cosa intendi per “più consistenti”?
Intendo
dire che mi piacerebbe farne dei monumenti da poter mettere nelle piazze o in
qualsivoglia luogo, per ricordare a tutti che ogni sbilanciamento, ogni
disequilibrio, ogni momento di crisi può essere la grande opportunità di
cambiare e trovare così un nuovo baricentro, un nuovo inizio; può essere
l’opportunità per scovare dentro sé risorse neanche lontanamente immaginate e,
forse, il compimento del proprio destino superiore…
Allora, ci si vede tra pochissimi giorni?
Sì,
ci vediamo venerdì 6 giugno prossimo dalle ore 19,30 a vicolo de’ Bovari numero
7/a, per inaugurare questa mostra volta agli “Sguardi interiori”, con del buon
vino sardo ed una performance dove scultura, pittura e teatro si mescolano fra
loro…
Curata da Claudia
Conte
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