28 maggio, 2014

LE METAMORFOSI DEL RAP: Miike Takeshi e il rap poetro. Intervista di Massimo Quarta


Il genere musicale del rap, nascendo nei ghetti americani più malfamati per arrivare fino alle nostre più estreme provincie e oltre, ha subito molte trasformazioni. Il panorama nostrano propone, per lo più, rapper "orgogliosi dei loro trascorsi malavitosi", come canta Caparezza ( citando uno così, giusto per rimanere in tema ), ma, provando a scavare un po' di più nella fitta rete cibernetica, è possibile trovare giovani talentuosi che tentano di dare a questo genere musicale una levatura leggermente più elevata. Uno di questi è Alex Ciavarella, noto anche come Miike Takeshi - pseudonimo che deriva dall'accostamento del nome e del cognome di due registi giapponesi: Miike Takashi e Takeshi Kitano -, con il quale ho avuto il piacere di fare due chiacchiere.

Come ti sei avvicinato a questo genere, e, quali sono stati gli artisti che più ti hanno influenzato nella produzione del tuo album "Geremiadi"? Che, se non sbaglio, è il tuo primo prodotto, giusto?

Ho sempre ascoltato musica rap da quando ero infante, per cui, se vogliamo, il tutto partì da quella tendenza come fruitore musicale. I primi testi li ho scritti verso i 15 anni: ahimè rammento anche il primo testo in assoluto scritto, che non consiglio di leggere a nessuno. Le prime registrazioni risalgono a circa 3 anni fa. Ho sempre sviluppato questa passione musicale in autonomia, sia per quanto riguarda lo scritto, sia per quanto riguarda la fruizione da ascoltatore. Per cui ho avuto molte influenze ma indirette, nel senso che ho incanalato nella scrittura principalmente gli autori ascoltati. Dopo aver messo sulla rete qualche traccia venni in contatto con OperaSilenzio, con la quale poi ho collaborato al disco che, sì, è il primo che ho prodotto.
Il disco che mi fece prendere la direzione che sto seguendo ora fu "C.A.L.M.A" di Rayden: rimasi totalmente affascinato dalla ricerca linguistica e fonetica messa in atto in quel disco e, diciamo, ho tentato di farla mia. Ritengo la lingua italiana molto ricca e seducente a livello fonetico, e infatti il mio punto di riferimento, per la scrittura, sono le parole in quanto significanti; il significato è conseguente. Comunque, la mia ricerca non è tesa al puro suono: cerco sempre di far collimare significante e significato a livello di estesi periodi, con comunque una predilezione per il primo.

Per quanto riguarda Geremiadi, invece, c'è già dal titolo una forte ricerca di aulico, che in assoluto ti contraddistingue, una certa pomposità.
Si potrebbe definire, quindi, questo tuo cd, una prolissa, triste, ma sincera analisi di quelle che potrebbero essere in parte le sorti della società? Un attacco alla morale e all'etica o, meglio ancora, alla loro totale assenza nella nostra società?

Per quanto riguarda Geremiadi il discorso è complesso: inizialmente l'intenzione era di strutturarlo in modo simile ai lavori di Murubutu, ovvero raccontare una serie di storie più o meno legate tra loro che rievocassero il titolo del disco. Così non è stato, e diciamo che mi sono ritrovato a raccattare tracce quasi totalmente slegate tra loro. L'interpretazione che hai dato è interessante, ma credo si discosti da come ho vissuto io il disco: parlo principalmente dell'uomo preso a sé, senza la sua dimensione interpersonale che invece lo caratterizza. Probabilmente l'elemento che contraddistingue tutto il lavoro è un senso ineluttabile di solitudine, l'impossibilità di comunicare (e qui Fata la famiglia monca etc. rappresenta discretamente il senso). Per quanto riguarda la tua analisi ultima su morale ed etica mi trovo in parte in accordo: sicuramente le si tratta, ma solo come oggetti di discussione senza però uno sbilanciarsi. E' una narrazione asettica, con note di rammarico, certo, ma che appunto rievocano più la dimensione umana di per sé.

Oltre al grande utilizzo di metafore linguistiche, in primis l'allitterazione, i tuoi testi sono ricchissimi di riferimenti culturali: partendo da grandi poeti italiani per passare dalla pittura e toccando in più punti la filosofia, la psicologia e la classicità greca.
Credi che il rap possa accettare una trasformazione di questa portata? Non ti sembra contraddittorio?

Vorrei  risponderti citando OperaSilenzio: non si fa più rap ma Poetro, ovvero una commistione di Poesia e Teatro musicata. Invero il genere si è evoluto e, credo, non possa che giovare al rap quest'influsso così distante dalle origini. Ritengo anche il rap/poetro o come lo si desidera definire, un mezzo letterario valido per spopolare, mantenendo comunque una ricerca strutturale/concettuale considerata di nicchia. Esempio per eccellenza è Zona Mc, ed io mi trovo assolutamente entusiasta della sua ricerca.

Bene, se vuoi aggiungere qualsiasi cosa, esprimiti liberamente.

Posso aggiungere che sto lavorando ad un paio di progetti, uno con OperaSIlenzio in cui mi cimenterò alle sole produzioni, ed un altro con Flavio Zen alle produzioni ed io al recitato.



Curata da Massimo Quarta

Nessun commento:

Posta un commento