Teatro Ghione, Roma. Dal 2 all’11 maggio 2014
Un paesino siciliano in cui non succede nulla, una
piccola caserma dei carabinieri dove gli uomini si annoiano e sognano di
potersi rendere operativamente utili. Solo uno strambo tipo che,
immancabilmente ogni giorno, si presenta per denunciare piccoli furti che
probabilmente non sono tali, ma frutti della sua cronica distrazione. Quasi un
aiuto per i giovani militi dell’Arma, un fastidioso ma provvidenziale diversivo
per spezzare l’oblìo di un paese in cui nemmeno un furto di galline si rivela
tale, bensì scorribanda di volpi. Le regole, immobili come quel luogo, da
infrangere per rimanere umani, per non spezzare l’amicizia nascosta sotto
quelle divise. L’arrivo di un ferreo Tenente infrange il tran tran quotidiano
con la mania della disciplina, dei regolamenti, e con un incarico importante da
affidare a due dei ragazzi, finalmente. La scorta ad un importante giudice.
Minchia sig. Tenente, opera prima di Antonio Grosso, uno
dei giovani autori più interessanti del teatro italiano si conferma, a distanza
di dieci anni dalla sua prima messa in scena, una commedia che riscuote
successo e consensi immutati. Dopo i trionfi torinesi, torna a Roma nel teatro
Ghione e subito la capitale risponde presente, acclamando a lungo i bravissimi
interpreti. Scritta all’età di 22 anni, dal punto di vista drammaturgico rivela
alcune caratteristiche acerbe, ma il risultato nella sua totalità è di grande
freschezza e leggerezza, tali da divertire ed entusiasmare il pubblico. Ma
attenzione, la leggerezza è qui presente nell’accezione calviniana, cioè con la
capacità di raccontare con levità argomenti drammatici. Merito si del testo, ma
anche dall’efficacia con cui è rappresentato da un manipolo di attori
affiatatissimi, che si divertono a lavorare insieme e si nota a più riprese. Un
primo atto esilarante, sorprendente per la varietà dei toni e dei tempi comici
di tutta la compagnia, per l’umanità realistica che sfonda la quarta parete e
si riversa nella platea rapendo il pubblico e, udite udite, costringendolo al
silenzio negli intervalli tra una risata e l’altra, all’attenzione, per il
ritmo sostenuto e per la partecipazione emotiva nei confronti dei personaggi.
Avvenimento raro, da preservare gelosamente. Merito, anche, di una regia
accurata (di Nicola Pistoia) e del sapiente uso delle luci, molto suggestivo (a
cura di Luigi Ascione). La ciliegina sulla torta è la chicca di un prologo ed
un epilogo affidato alla maestrìa, alla profondità, alla poesia popolare di un
grande caratterista come Natale Russo (alias Parerella), nel suo bagaglio il
tesoro della commedia dell'arte, che con poche battute sa ammaliare e
commuovere il pubblico. Antico rapsodo greco, fine cantastorie a cui bastano
una decina di versi per ammantare di
senso la totalità della rappresentazione scenica. Minchia sig. Tenente
emoziona, diverte, commuove, si fà anche poesia. Riesce a raccontare col
sorriso storie che lo tolgono. Che, come viene declamato nello splendido
finale, fanno perdere l’orientamento in una terra violentata, un’isola piena di
fiori e in cui si può perdere tutto ma non l’orgoglio. Continuare a denunciare,
anche solo oggetti smarriti, per continuare a lottare contro la cattiveria
umana. Per potersi ancora “innamorare delle note del vento”. Da vedere.
Paolo Leone
“Minchia sig. Tenente” di Antonio Grosso
Con: Daniele Antonini, Gaspare Di Stefano, Alessandra Falanga, Antonio
Grosso, Francesco Nannarelli, Antonello Pascale, Francesco Stella e con Natale
Russo.
Regia: Nicola Pistoia; Luci: Luigi Ascione; Scene: Fabiana Di Marco:
Costumi: Maria Marinaro; Aiuto Regio: Luigi Pisani; Elettricista: Christian
Ascione. Distribuzione Razmataz. Uff. stampa: Daniela Bendoni. Un
ringraziamento particolare all’ufficio stampa del Teatro Ghione, diretto da
Moreno Sangermano.
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