RADIAZIONI
BX DISTRUZIONE UOMO USA 1957
77’ B/N
(The
incredible shrinking man)
REGIA:
JACK ARNOLD
INTERPRETI:
GRANT WILLIAMS, RANDY STUART, APRIL KENT, PAUL LANGTON
EDIZIONE
DVD: SI’, distribuito da A & R PRODUCTIONS
“HO
DECISO DI PERDERMI NEL MONDO” (dalla canzone “ALTROVE” di Morgan)
“LA
MIA PRIGIONE, PER QUANTO SCRUTASSI LONTANO, NON ERA CHE MACCHIA GRIGIA NELLO
SPAZIO E NEL TEMPO” (dalla versione italiana del film)
In
vacanza al mare con la moglie, Scott Carey rimane esposto ad una misteriosa
nebbia radioattiva; sei mesi dopo comincia progressivamente a perdere peso e a
rimpicciolire, senza che la scienza sia in grado di aiutarlo, nonostante esami
ed accertamenti di ogni genere. La sua vita diventa un inferno: perde il lavoro
finendo per indebitarsi, i rapporti con la moglie Louise diventano sempre più
difficili, stampa e opinione pubblica smaniano per vedere “l’incredibile uomo
restringibile”, come se fosse un “freak” da circo. La situazione peggiora al
punto tale che Scott, ormai microscopico, è costretto a vivere in una grottesca
casa delle bambole, almeno finché, per sfuggire al gatto di casa –divenuto per
lui una minaccia-, finisce in cantina. Nel suo nuovo mondo, come un novello
Robinson Crusoe miniaturizzato Scott è costretto a sopravvivere con gli scarsi
mezzi a sua disposizione e a disputare la supremazia sul territorio con un
ragno. Dopo un epico e vittorioso duello col mostro, l’uomo decide di lasciare
il proprio regno e uscire nel giardino di casa (che per lui è diventato una
giungla) per andare incontro all’Infinito.
Capolavoro
dimenticato del periodo d’oro della fantascienza classica, ma non solo: il
film, a fronte di una prima parte descrittiva, svela nella seconda, decisamente
più avventurosa, una dolorosa quanto
affascinante dimensione esistenziale suggellata dal meraviglioso e inatteso
finale mistico, sospeso tra filosofia e teologia. Gran parte del merito va alla
sceneggiatura dello scrittore Richard Matheson, che rielabora il suo secondo
romanzo, ma anche alle scelte registiche di Arnold, che costruisce il film
puntando su un angoscioso disagio esistenziale -espresso efficacemente con
l’espediente dell’io narrante- e sulla suspense garantita da un uso
intelligente degli effetti speciali (peraltro ottimi, nonostante un budget
limitato). Il risultato è una storia inquietante e misteriosa, ricca di
suggestioni e spunti di riflessione che fanno del film un esemplare memorabile
e pressoché unico all’interno del genere fantascientifico, paragonabile forse,
quanto ad angoscia e profondità, soltanto al quasi contemporaneo capolavoro
“L’INVASIONE DEGLI ULTRACORPI” (1956) di Don Siegel, tratto dall’omonimo
romanzo di Jack Finney.
E
dire che il film comincia con la più paradisiaca delle situazioni possibili: un
uomo e una donna, marito e moglie, stesi sopra una barca in mezzo all’oceano ad
abbronzarsi beatamente al sole; ma l’illusione di trovarci in presenza di una
situazione “normale” dura appena un paio di minuti: giusto il tempo che occorre
alla nube pestilenziale per raggiungere lo sfortunato Scott, lasciandogli sulla
pelle una strana polverina luccicante; come spesso accade in questo genere di
film (e come accadrà in seguito, ad esempio, nella zombi-saga di George A.
Romero), il nemico/minaccia rimane indefinito e perciò diviene ancora più
inquietante, data l’atavica paura (mista all’attrazione) umana dell’ignoto:
l’origine della nebbia letale non verrà mai chiarita. Gli alieni?
L’inquinamento radioattivo causato dall’uomo? Oppure una punizione divina? Ogni
ipotesi interpretativa, per chi fosse interessato, rimane aperta anche se,
personalmente, propendo per la spiegazione “umana”: trovo niente affatto
casuale che, al termine dei vari accertamenti cui Scott viene sottoposto al
Centro Sperimentale di Medicina, uno scienziato ipotizzi che ad innescare il
misterioso processo degenerativo portato dalla nube, fungendo da detonatore,
sia stata una seconda esposizione, non meno fatale della prima: quella ad un
insetticida…Volendo invece pescare dall’immaginario cinematografico, la nube
che avanza silente e minacciosa verso l’ignaro bagnante può ricordare quella
della biblica piaga d’Egitto che va a colpire nel sonno gli schiavisti
egiziani, messa in scena dal regista Cecil B. DeMille nei “DIECI COMANDAMENTI”
appena un anno prima (ancora il 1956, quindi). In ogni caso, tornando a
“RADIAZIONI BX”, la scienza brancola nel buio (ha scoperto il “COME” ma non il
“PERCHE’ ”) ed è costretta ad assistere impotente all’inarrestabile metamorfosi
di Scott, un uomo che insieme alla propria dimensione corporea sta perdendo
anche quella sociale e umana, finendo preda di inediti e tormentosi dubbi
esistenziali: “COSA ERO IO? ANCORA UN ESSERE UMANO? O FORSE ERO L’UOMO DEL
FUTURO?” Una notte, già ridotto ad un metro scarso di statura, Scott decide di
uscire in strada di nascosto (di giorno gli sarebbe impossibile, vista la
morbosa curiosità della gente), imbattendosi in un circo che ha come attrazione
principale il classico campionario di fenomeni da baraccone –la donna barbuta,
il gigante…-, quegli “scherzi della natura” così colpevolmente privati della
loro dignità ed esposti al pubblico ludibrio dai “normali”, come mostrato da
capolavori assoluti come il classico ma modernissimo (oggi diremmo che “ERA
AVANTI”) “FREAKS” (1932) di Tod Browning o, per riavvicinarci ai tempi nostri,
il toccante “THE ELEPHANT MAN” (1980) di David Lynch. Tra le attrazioni umane
del circo c’è anche Clarice, una graziosa donna affetta da nanismo che Scott,
consapevole di non poter più restare con una moglie ormai fuori dalla sua portata
“fisica”, inizia a frequentare, cullando forse l’idea di rifarsi una vita con
lei; tra i due sembra funzionare, ma la favola è destinata a durare poco: la
malattia progredisce e durante un incontro mattutino al parco, quando Scott si
accorge di essere diventato più basso anche di Clarice, fugge via disperato.
Questo è l’episodio-chiave che chiude idealmente la prima parte del film: Scott
si rende conto che per lui non c’è più posto nel mondo degli umani e che la sua
condizione lo porterà inevitabilmente verso l’emarginazione e la solitudine. La
rocambolesca e fortuita discesa in cantina in seguito all’aggressione del gatto
segna l’inizio della nuova vita di un uomo rimasto completamente solo (il
fratello e la moglie lo credono morto), che si ritrova a dover ricominciare da
capo in un ambiente ostile e sconosciuto; l’istinto di sopravvivenza è l’unica
forza a muovere ancora Scott, che ben presto però capisce di lottare non solo
per la vita, ma anche per conservare la propria identità. La presenza di insidie
di ogni tipo (una trappola per topi da disinnescare per poter mangiare il
formaggio che vi è sopra; “montagne” insormontabili da scalare e insidiosi
“abissi” da evitare; l’allagamento della cantina; l’orrido ragno nero) e la
solitudine forzata inducono “l’uomo decresciuto” (così si autodefinisce ad un
certo punto) ad una serrata autoanalisi introspettiva -come sottolinea
l’intensificarsi della presenza dei monologhi interiori- che lo porterà ad un
radicale ripensamento di sé e della propria esistenza fino a raggiungere nello
splendido finale, dopo aver sconfitto il ragno, l’illuminazione: Scott ha
finalmente penetrato il mistero più profondo dell’Universo, la sua essenza,
cioè l’analogia tra microcosmo e macrocosmo, tra infinitesimale e infinitamente
grande (espressa chiaramente da una bellissima inquadratura in cui il prato
visto dall’alto sfuma in dissolvenza lasciando il posto alle stelle del cosmo),
nel quadro di un unicum in cui tutto –compreso lui- ha un significato e non c’è
posto per il nulla. Consapevole che il suo processo di miniaturizzazione lo
condurrà verso l’infinitamente piccolo, Scott decide di accettare il proprio
destino abbandonandosi all’abbraccio onnicomprensivo del Tutto (il monologo
finale è talmente bello che ho deciso di riportarlo quasi integralmente): “
SONO COSI’ VICINI, L’INFINITESIMALE E L’INFINITO…MA A UN TRATTO CAPII CHE ERANO
DUE TERMINI DI UN MEDESIMO CONCETTO: LO SPAZIO PIU’ PICCOLO E LO SPAZIO PIU’
VASTO, NELLA MIA MENTE ERANO I PUNTI DI UNIONE DI UN GIGANTESCO CERCHIO. […] E
IN QUEL MOMENTO TROVAI LA SOLUZIONE DELL’ENIGMA DELL’INFINITO: AVEVO SEMPRE
PENSATO NEI LIMITI DELLA MENTE UMANA, AVEVO RAGIONATO SULLA NATURA; L’ESISTENZA
HA PRINCIPIO E FINE NEL PENSIERO UMANO, NON NELLA NATURA…SCIOGLIERSI, DIVENTARE
IL NULLA… LE MIE PAURE SVANIVANO E VENIVA A SOSTITUIRLE…L’ACCETTAZIONE. LA
VASTA MAESTA’ DEL CREATO DOVEVA AVERE UN SIGNIFICATO, UN SIGNIFICATO CHE IO
DOVEVO DARLE: SI’! PIU’ PICCOLO DEL PIU’ PICCOLO, AVEVO UN SIGNIFICATO ANCH’IO!
GIUNTI A DIO NON VI E’ IL NULLA: IO ESISTO ANCORA!
Francesco Vignaroli
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