Dopo aver trattato
del cinema veneto soprattutto in riferimento a quello di finzione, sembra ora
opportuno guardare alla produzione documentaria, per un’analisi più completa
del fenomeno. L’opera scelta è La
mal’ombra, una pellicola forse poco nota, ma sicuramente rivelatrice di
alcune delle dinamiche che hanno percorso la recente storia della regione.
La
mal’ombra è una produzione del 2007 diretta da Andrea Segre e
Francesco Cressati, a partire da un’idea dello stesso Segre. Il lavoro vanta la
partecipazione al TFF, il Torino Film Festival, una delle principali rassegne
cinematografiche italiane.
La pellicola è
ambientata a San Pietro, frazione di poco più di mille abitanti del comune di Rosà
– in provincia di Vicenza –, che ne conta invece circa quattordicimila
(comprese le altre tre frazioni). I dati sulla popolazione, come si vedrà,
assumeranno grande importanza per la comprensione delle vicende documentate,
che riguardano lo scontro tra una zincheria ed un comitato di cittadini – con
tanto di presidio fisico di fronte alla fabbrica – che si oppone alla sua attivazione.
Della querelle – che
prende il via ad inizio anni 90, con l’acquisto del terreno da parte dalla
zincheria, e prosegue nel nuovo millennio con i lavori di costruzione – il film
segue i fatti del periodo più delicato, quello compreso tra il Maggio del 2006
ed il Giugno del 2007. Nello specifico la prima è la data della tavola rotonda
tra zincheria, presidio, comune,
provincia ed Arpav (l’Agenzia regionale per la prevenzione e protezione
ambientale del Veneto) per l’autorizzazione all’inizio delle attività della
fabbrica. La seconda data è, invece, quella delle elezioni amministrative del
comune di Rosà, a cui il presidio
prende parte con la presenza di alcuni suoi attivisti all’interno di una delle
liste candidate.
Nel corso del
racconto si delineano sempre più i contorni di una sfida degna di Davide contro
Golia, nella quale il presidio appare
lottare da solo contro una sorta di coalizione formata dalla zincheria e dalle
istituzioni: la presenza alla tavola rotonda si mostra tale solo sulla carta in
quanto i rappresentanti del comitato cittadino vengono subito esclusi dal
dibattito, dal momento che la loro rivendicazione a partecipare all’incontro non
viene ritenuta legittima dal resto dei presenti.
A seguito
dell’esclusione del presidio e
dell’abilitazione ai lavori concessa alla zincheria, i cittadini di San Pietro tentano di seguire la stessa via che, a
loro avviso, ha portato alla vittoria dei rivali, ovvero l’appoggio delle
istituzioni. Vengono subito individuate come soluzione le elezioni comunali
dell’anno seguente, con la speranza che la campagna elettorale possa
sensibilizzare l’intera cittadinanza e portare al potere le istanze del
comitato.
La solitudine della
lotta del presidio, viene rimarcata
dai registi attraverso lo sbilanciamento delle forze messe in campo. Da una
parte la composizione di una lista civica e di pochi fondi a disposizione – da
raccogliere con cene benefiche –, dall’altra il sindaco uscente di un partito
politico ottimamente radicato sul territorio che riceve l’endorsement del vice presidente del Senato. La disparità tra i
contendenti è messa in luce anche, come annotato in apertura, dalla numero di
abitanti della frazione e di quello del capoluogo. Il risultato elettorale non mancherà
però di offrire qualche sorpresa.
La
mal’ombra è però molto più di un confronto tra le parti, è il
racconto di un mondo in piena evoluzione. Un mondo all’interno del quale la
convivenza tra la cultura rurale (allevamento, agricoltura, caccia) e
l’ampliamento delle zone industriali diventa sempre più difficile e non manca
di creare tensioni. D’altro canto anche l’immediatezza e la spontaneità di una
parte stride con la compostezza e le capacità mediatiche dello schieramento
opposto. Si tratta, in altri termini, di una panoramica su un decisivo momento
di passaggio, realizzato però con uno strappo difficilmente ricucibile.
Merito del
documentario è anche quello di non limitarsi al racconto delle azioni del presidio e dei cambiamenti sociali
avvenuti, ma anche di mostrare come l’impegno civico abbia radicalmente
stravolto le vite private dei suoi interpreti più battaglieri. Si comprende
così il senso del titolo scelto. Dalle testimonianze dei protagonisti, la
fabbrica è vista come qualcosa che, invece di provare – per quanto possibile –
ad inserirsi con discrezione nella vita delle persone, proietta su di esse
un’ombra che inghiotte tutto: passato, presente e speranze future.
Giovanni Rubin
Giovanni Rubin
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