Perdere
tutto, famiglia, casa, lavoro ma conquistare la dignità di uomo, almeno una
volta nella vita.
E’
quello che succede a Ivan Locke, interpretato da Tom Hardy con la dovuta misura
anglosassone, espressivo, coinvolgente, su di lui un primo piano che dura
ottantacinque minuti, tutto filmato dentro un solo ambiente: una macchina che
viaggia nella notte, lungo le autostrade inglesi, direzione Londra.
Il
film, che si svolge quasi in tempo reale, da quando il protagonista lascia il
posto di lavoro, un cantiere di costruzioni, a quando arriva a destinazione, è
il tipico movie on the road, affidato alla recitazione e all’ottima
sceneggiatura per acquistare un bel valore cinematografico.
Locke,
di cui vediamo nella prima inquadratura solo le scarpe sporche di cemento, che
si toglie prima di entrare nella BMW, è un uomo che sul lavoro non ha mai
commesso uno sbaglio, e nemmeno questa notte, così speciale e difficile, mentre
sta andando ad assistere, durante il parto, la donna che ha messo incinta,
nonostante abbia già una famiglia, vuole fallire.
Una
grossa quantità di cemento sta per essere scaricata alle prime luci dell’alba
per la costruzione di un palazzo e lui dovrebbe essere ad accoglierla, ma la
stessa notte riceve la telefonata da quella donna che lui definisce fragile,
sola, bisognosa d’amore, in cui gli chiede di starle vicina mentre partorirà il
loro bambino. Ricordandosi con rabbia e risentimento di suo padre, Locke lo
immagina seduto nel sedile posteriore della macchina, che lo aveva abbandonato
alla nascita senza riconoscerlo, non vuole commettere lo stesso errore, facendo
soffrire un altro essere umano.
Allora,
pur non amando quell'occasionale amante,
lei gli chiede “mi ami?” e lui risponde “come posso amati?”, decide di
assumersi le sue responsabilità, di fare una scelta forte che lo ripulisca, in
fondo all’anima, dell'errore compiuto. Di fronte a tutto il resto, la dignità
di uomo dovrà prevalere, costi quel che costi, per non assomigliare a quel
padre che ne era completamente privo.
Mentre
è al volante, sarà un continuo susseguirsi di telefonate con il collega di
lavoro, il capo, il figlio, il dottore, l’amante, la moglie cui confesserà
finalmente il suo tradimento, ma lei lo accuserà senza sentire ragioni, a parte
le sue, intimandogli di non tornare più a casa.
Il
finale del film rimane imprevedibile fino alla fine e non intendo svelarlo.
Grazie
anche al montaggio che alterna il viso di Locke alle luci della strada, allo
schermo del telefono satellitare, alle altre macchine, ai palazzi di periferia,
questo film low budget rappresenta l’essenza della drammatizzazione quando si
avvale del mezzo cinematografico: raccontare una storia significativa, senza
bisogno di effetti speciali che molto spesso sono usati per coprire una
mancanza d’idee, con la suspense giusta per catturare l’attenzione dello
spettatore, una buona recitazione, una fotografia adeguata alla situazione, un
finale non banale, un messaggio semplice e comprensibile da tutti. Lasciando
negli spettatori, se possibile, un momento per guardarsi dentro, per trovare
similitudini, per riflettere sulle loro vite.
Se
un film riesce in questo intento, è un film di successo, anche se si è speso
poco, perché con i soldi non si fanno necessariamente bei film, se mancano
storie significanti. Si fanno soltanto film più ricchi e, molto più
probabilmente, più vuoti.
Daria D.
Locke. Regia di Steven Knight
Soggetto e
sceneggiatura di Steven Knight
Con Tom Hardy
Olivia Colman
Ruth Wilson
Andrew Scott
Ben Daniels
Tom Holland
Fotografia Haris
Zambarloukos
Montaggio Justine
Wright
Musiche Dickon
Hinchliffe
Costumi Nigel Egerton
USA, GB 2013 durata
85 min
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