22 giugno, 2014

VIAGGIO ATTRAVERSO L'IMPOSSIBILE - sogni di cinema, a cura di Francesco Vignaroli. Recensione 22: "INTERSTELLA 5555" e "DISCOVERY" dei Daft Punk


VENGHINO, SIORE E SIORI! OFFERTA ECCEZIONALE! SOLO PER QUESTA VOLTA, DUE RECENSIONI AL PREZZO DI UNAAAA! GRANDE PROMOZIONE, UN’OCCASIONE IMPERDIBILE! AFFRETTATEVI! SOLO PER QUESTA VOLTAAA!


Eh sì, perché Interstella 5555 non è che altro che la trasposizione animata dell’intero album Discovery dei Daft Punk (duo musicale di elettronica/house, per chi non li conoscesse), un “MUSICAL HOUSE ANIMATO”, come recita la copertina del DVD; l’idea iniziale dei “Daft” era quella di affidare al Maestro Leiji Matsumoto (il genio dei manga e dell’animazione giapponese inventore di Capitan Harlock) ed al suo studio la realizzazione dei video musicali dei singoli dell’album, ma il progetto è riuscito così bene che gli artisti hanno pensato di estendere il trattamento video, la “messa in immagini”, anche ai restanti brani del disco, ideando per l’occasione una trama coerente che trasformasse il tutto in un lungometraggio musical d’animazione.



IL FILM

INTERSTELLA 5555                          GIAPPONE/FRANCIA  2003  65’  COLORE
(Daft Punk & Leiji Matsumoto’s Interstella 5555- The 5tory of the 5ecret 5tar 5ystem)
REGIA: KAZUHISA TAKENOUCHI

EDIZIONE DVD: SI’, distribuito da VIRGIN/EMI MUSIC


Grazie ad un misterioso varco dimensionale scoperto casualmente il malvagio conte di Darkwood, manager discografico senza scrupoli, fa rapire musicisti da ogni angolo dello spazio per trasformarli in stelle della musica sulla Terra previo accurato restyling fisico e mentale dei malcapitati. Stavolta a cadere nelle grinfie del cattivo sono i quattro componenti dalla pelle blu –tre maschi e una femmina- di un gruppo musicale proveniente da un mondo sconosciuto, rapiti proprio mentre stanno eseguendo la loro hit One more time; giunti sul nostro pianeta, i musicisti subiscono una vera e propria riprogrammazione (lavaggio del cervello, inserimento di ricordi artificiali, ipnosi) oltre ad un make-up estremo che li trasforma in perfetti idoli terrestri: sono nati i Crescendolls, che, sottoposti a massacranti ritmi lavorativi da Darkwood, in breve tempo scalano le classifiche musicali di tutto il pianeta fino alla conquista del Disco d’Oro. Ma in loro soccorso è giunto dalla patria l’eroe Shep, grande fan del gruppo e in particolare della bella bassista Stella (di cui è innamorato), pronto a tutto pur di liberarli…

Daft Punk + Leiji Matsumoto= Meraviglia! Quella che poteva sembrare una “strana coppia” si è rivelata in realtà un’unione artistica felicissima, un puro azzardo frutto della fervida immaginazione dei Daft che, almeno in termini artistici, si è dimostrato una scommessa vincente: la sintonia tra le loro visioni musicali e quelle visive di Matsumoto e del suo team è pressoché perfetta, ed il risultato è un originalissimo e gustoso musical d’animazione che, specie per gli appassionati (come me) dei due mondi artistici in gioco –l’animazione giapponese e la nuova musica elettronica- risulta davvero esaltante e appagante tanto per gli occhi quanto per le orecchie. Avendo deciso di trasformare il progetto video iniziale, limitato alle sole hits del disco, in un film animato che “commentasse” –di solito avviene il contrario!- la musica dell’intero Discovery, i Daft Punk si sono seduti a tavolino proponendosi, per l’occasione, nell’inedita veste di sceneggiatori (col contributo di Cédric Hervet); ne è venuta fuori un’intrigante space opera, un’avventura fantascientifica completamente priva di dialoghi tutta giocata sul piacere puramente estetico dei suoni e delle immagini, con annessa critica (all’acqua di rose, tanto è chiara ed esplicita) alla rapacità del sistema del music business che sforna a getto continuo star di plastica da spremere il più possibile all’insegna del “TUTTO E SUBITO”, per gettarle poi via una volta esauritosi il loro potenziale commerciale. Ma, veramente, Interstella è uno di quei film in cui la trama –qui in effetti piuttosto esile- è secondaria, “al servizio di”, rispetto al lato cosmetico dell’opera.
Dal canto suo il grande Leiji Matsumoto (classe 1938, unanimemente riconosciuto come “dio del manga” accanto al suo precursore, il Maestro e pioniere Osamu Tezuka), da sempre appassionato di fantascienza “spaziale” –come testimoniano le sue opere più famose, tutte di ambientazione fantascientifica, tra le quali, oltre al già citato Capitan Halock (Albator per i francesi), vale la pena ricordare Galaxy Espress 999  e La corazzata Yamato- è riuscito a trasferire con naturalezza il suo immaginario artistico e le sue suggestioni in un contesto evidentemente già ben predisposto e dall’alto potenziale fantascientifico quale è il mondo dei Daft Punk, di cui l’album Discovery è forse l’esempio migliore; è logico supporre, quindi, che alla riuscita di questo sodalizio abbia contribuito in maniera determinante una certa affinità artistica ed ideologica di fondo tra due contesti apparentemente distanti tra loro; cito una sola sequenza, che a mio parere costituisce il punto più alto del film e il miglior esempio di ciò che è venuto fuori dalla fantasia di Matsumoto, ricca di un raffinato retrogusto onirico, abbinata alle musiche “sideree” dei Daft Punk: la paradisiaca e romantica visione in cui si immerge Stella dopo aver toccato la mano del suo salvatore morente Shep sulle note di Something about us, un momento di pura poesia; tipico di Matsumoto è poi il tema, ricorrente un po’ in tutte le sue opere, della sopravvivenza dell’uomo alle prese con una natura ostile, col destino o, molto più realisticamente, con sé stesso, come nel caso di Interstella: un altro punto di contatto stimolante con la sceneggiatura dei Daft Punk i quali, nello scriverla, potrebbero essersi ispirati proprio alle opere di Matsumoto (non ci sono notizie certe in proposito). Il Maestro viene omaggiato in apertura, prima che cominci il film vero e proprio, dove si vedono frammenti di una sua intervista –in un bianco e nero sgranato- in cui paragona i musicisti a dei maghi e cerca di spiegare il misterioso meccanismo dell’ispirazione, che in lui si manifesta quasi come illuminazione. Anche i Daft si concedono un cameo, ovviamente a cartoni e ovviamente nella  consueta tenuta da androidi che cela il loro vero aspetto: sono uno dei gruppi presenti alla cerimonia per la consegna del disco d’oro, battuti dai Crescendolls.

Ottima la resa audio/video del DVD, che presenta però menù e sottotitoli (per le poche parole estrapolate dalla già menzionata intervista a Matsumoto) solo in inglese e francese. Tra gli extra del DVD, da segnalare le versioni karaoke –attitudine 100% “nippo”- di One more time, Harder, better, faster, stronger e Face to face, oltre agli storyboards del film.



IL DISCO

DAFT PUNK

DISCOVERY (2001, VIRGIN)


Dietro al nome “Daft Punk”, ma soprattutto dietro agli avveniristici caschi a led e alle tute da androidi –basterebbe già il look a tradire la loro “formazione” fantascientifica- si celano, o per meglio dire proteggono gelosamente la loro identità dagli occhi indiscreti del mondo, Thomas Bangalter e Guy-Manuel de Homem-Christo, coppia di DJ-produttori francesi, campioni del cosiddetto “French touch”, il movimento artistico (musicale) che ha rivoluzionato il genere dance –già da un po’ in procinto di evolversi, specie nel vecchio continente- a partire della seconda metà degli anni ’90, facendo della Francia la nazione di riferimento in Europa (e nel mondo) nell’ambito della musica elettronica techno ed house, non più appannaggio esclusivo dei frequentatori di discoteche e clubs specializzati, ma anche e soprattutto musica da ascolto alla portata di tutti. Questo perché i vari gruppi esponenti del movimento, ciascuno secondo la propria sensibilità e formazione musicale, hanno contaminato creativamente la musica dance con altri generi ritenuti fino allora pregiudizialmente incompatibili con il mondo dell’elettronica e delle piste da ballo, aggiungendo in più un “tocco” di eleganza francese, il tutto allo scopo di creare canzoni al tempo stesso ballabili ed ascoltabili, contribuendo così al definitivo sdoganamento di questo ambito musicale. E così, insieme agli Air ed al loro esordio-capolavoro Moon Safari del 1998 –un altro album che sarebbe interessante vedere in versione animata-, i Daft sono stati senz’altro gli esponenti di maggior successo del “French touch”, ma non vanno dimenticati nemmeno artisti come St. Germain ( il cui album Tourist è un perfetto esempio di commistione tra dance e jazz in ottica lounge), Gotan Project (che hanno operato una rilettura in chiave moderna ed elettronica del tango argentino già a partire dal debutto nel 2001 con l’ottimo La revancha del tango) o, in una declinazione più pop, i dispersi Phoenix -ricordate la felpata If I ever feel better? Il “French Touch” ha fatto davvero scuola, esercitando una grande e duratura influenza un po’ in  tutto il mondo; tra le più valide alternative estere (soprattutto nel Regno Unito) che hanno in qualche modo assimilato la lezione francese, giusto per fare alcuni nomi, meritano di essere citati almeno i britannici Groove Armada, gli svedesi Koop, i finnici NuSpirit Helsinki –la Scandinavia si è dimostrata territorio particolarmente fertile per la nuova dance “riformata”-, gli italiani Gabin (di cui però si sono perse le tracce) e i giapponesi Kyoto Jazz Massive.




Ma torniamo ai “nostri”: i Daft esordiscono col botto nel 1997 con l’album Homework che, trainato dal successo planetario del singolo Around the world (ricordate il meraviglioso video? Vale la pena ripescarlo su Youtube!), vende due milioni di copie; il disco presenta già le caratteristiche tipiche  ed inconfondibili del suono Daft Punk: grande curiosità e apertura mentale, il che significa contaminazione libera e spericolata di generi quali house, techno, funk, pop; ampio utilizzo del vocoder, il celebre effetto vocale nato negli anni ’70; sonorità incalzanti ma ascoltabili. Prima del sospirato seguito passano quattro anni di silenzio poi, finalmente, nel 2001 esce Discovery, ed è ancora una volta un successo, nonostante il nuovo disco prenda musicalmente le distante dal predecessore dato l’inesauribile desiderio di sperimentare e innovare che porta i Daft ad evitare di ripetersi per esplorare nuovi territori sonori: rispetto ad Homework, Discovery è un album più suonato e vintage, dove il tiro si sposta dalla funky house in direzione di sonorità ancor più marcatamente 70’s fino a ricreare una sorta di “discomusic del 2000” , senza disdegnare comunque puntate funk e pop, come sottolinea la notevole presenza di parti cantate, e senza accantonare l’amato vocoder (altrimenti, che “seventies” sono?!). Discovery è un disco bellissimo e ricco di idee, un caleidoscopio pieno di meraviglie e sorprese che ha nella trascinante apertura di One more time -all’epoca regina incontrastata delle piste da ballo di tutto il mondo- la sua smash-hit trainante, ma non si tratta certo dell’unica (e secondo me, nemmeno della migliore) composizione degna di nota dell’album. Ce n’è davvero per tutti i gusti: la chitarra rock sintetica di Aerodynamic, il pop cosmico di Digital love, gli ipnotici automatismi di Harder, better, faster, stronger, il funk etereo della ballata Something about us (il mio brano preferito del disco), la fusion rivisitata di Voyager, il  ritmo di Face to face, i ricordi dell’Herbie Hancock di Future shock nel “funkettone” stravolto Short circuit…La magia di Discovery sta nel suo continuare a sorprendere anche dopo molti ascolti, senza stancare mai, a testimonianza della genialità e del talento dei Daft Punk, cui sono bastati i primi due dischi per entrare di diritto nella storia della musica. A consolidare la loro fama ci hanno pensato poi i mirabolanti DJ-set dal vivo, semplicemente spettacolari!
Nel 2003 è uscito Daft club, l’album dei remix dei pezzi di Discovery, prassi consueta nell’ambito della musica elettronica (specie se composta da DJ!).


Francesco Vignaroli

Nessun commento:

Posta un commento