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Eh sì, perché Interstella 5555 non è che altro che la trasposizione animata
dell’intero album Discovery dei Daft
Punk (duo musicale di elettronica/house, per chi non li conoscesse), un
“MUSICAL HOUSE ANIMATO”, come recita la copertina del DVD; l’idea iniziale dei “Daft”
era quella di affidare al Maestro Leiji Matsumoto (il genio dei manga e dell’animazione
giapponese inventore di Capitan Harlock)
ed al suo studio la realizzazione dei video musicali dei singoli dell’album, ma
il progetto è riuscito così bene che gli artisti hanno pensato di estendere il
trattamento video, la “messa in immagini”, anche ai restanti brani del disco,
ideando per l’occasione una trama coerente che trasformasse il tutto in un lungometraggio
musical d’animazione.
IL FILM
INTERSTELLA
5555 GIAPPONE/FRANCIA 2003 65’ COLORE
(Daft Punk & Leiji Matsumoto’s Interstella 5555-
The 5tory of the 5ecret 5tar 5ystem)
REGIA: KAZUHISA TAKENOUCHI
EDIZIONE DVD: SI’, distribuito da VIRGIN/EMI
MUSIC
Grazie ad un misterioso varco dimensionale
scoperto casualmente il malvagio conte di Darkwood, manager discografico senza
scrupoli, fa rapire musicisti da ogni angolo dello spazio per trasformarli in stelle
della musica sulla Terra previo accurato restyling
fisico e mentale dei malcapitati. Stavolta a cadere nelle grinfie del cattivo sono
i quattro componenti dalla pelle blu –tre maschi e una femmina- di un gruppo musicale
proveniente da un mondo sconosciuto, rapiti proprio mentre stanno eseguendo la
loro hit One more time; giunti sul
nostro pianeta, i musicisti subiscono una vera e propria riprogrammazione
(lavaggio del cervello, inserimento di ricordi artificiali, ipnosi) oltre ad un
make-up estremo che li trasforma in
perfetti idoli terrestri: sono nati i Crescendolls, che, sottoposti a
massacranti ritmi lavorativi da Darkwood, in breve tempo scalano le classifiche
musicali di tutto il pianeta fino alla conquista del Disco d’Oro. Ma in loro
soccorso è giunto dalla patria l’eroe Shep, grande fan del gruppo e in
particolare della bella bassista Stella (di cui è innamorato), pronto a tutto
pur di liberarli…
Daft Punk + Leiji Matsumoto=
Meraviglia! Quella che poteva sembrare una “strana coppia” si è rivelata in
realtà un’unione artistica felicissima, un puro azzardo frutto della fervida
immaginazione dei Daft che, almeno in termini artistici, si è dimostrato una
scommessa vincente: la sintonia tra le loro visioni musicali e quelle visive di
Matsumoto e del suo team è pressoché perfetta, ed il risultato è un
originalissimo e gustoso musical
d’animazione che, specie per gli appassionati (come me) dei due mondi artistici
in gioco –l’animazione giapponese e la nuova musica elettronica- risulta
davvero esaltante e appagante tanto per gli occhi quanto per le orecchie. Avendo
deciso di trasformare il progetto video iniziale, limitato alle sole hits del disco, in un film animato che “commentasse”
–di solito avviene il contrario!- la musica dell’intero Discovery, i Daft Punk si sono seduti a tavolino proponendosi, per
l’occasione, nell’inedita veste di sceneggiatori (col contributo di Cédric
Hervet); ne è venuta fuori un’intrigante space
opera, un’avventura fantascientifica completamente priva di dialoghi tutta
giocata sul piacere puramente estetico dei suoni e delle immagini, con annessa
critica (all’acqua di rose, tanto è chiara ed esplicita) alla rapacità del
sistema del music business che sforna
a getto continuo star di plastica da
spremere il più possibile all’insegna del “TUTTO E SUBITO”, per gettarle poi
via una volta esauritosi il loro potenziale commerciale. Ma, veramente, Interstella è uno di quei film in cui la
trama –qui in effetti piuttosto esile- è secondaria, “al servizio di”, rispetto
al lato cosmetico dell’opera.
Dal canto suo il grande Leiji
Matsumoto (classe 1938, unanimemente riconosciuto come “dio del manga” accanto
al suo precursore, il Maestro e pioniere Osamu Tezuka), da sempre appassionato
di fantascienza “spaziale” –come testimoniano le sue opere più famose, tutte di
ambientazione fantascientifica, tra le quali, oltre al già citato Capitan Halock (Albator per i francesi), vale la pena ricordare Galaxy Espress 999 e La
corazzata Yamato- è riuscito a trasferire con naturalezza il suo
immaginario artistico e le sue suggestioni in un contesto evidentemente già ben
predisposto e dall’alto potenziale fantascientifico quale è il mondo dei Daft
Punk, di cui l’album Discovery è
forse l’esempio migliore; è logico supporre, quindi, che alla riuscita di
questo sodalizio abbia contribuito in maniera determinante una certa affinità
artistica ed ideologica di fondo tra due contesti apparentemente distanti tra
loro; cito una sola sequenza, che a mio parere costituisce il punto più alto
del film e il miglior esempio di ciò che è venuto fuori dalla fantasia di
Matsumoto, ricca di un raffinato retrogusto onirico, abbinata alle musiche
“sideree” dei Daft Punk: la paradisiaca e romantica visione in cui si immerge
Stella dopo aver toccato la mano del suo salvatore morente Shep sulle note di Something about us, un momento di pura
poesia; tipico di Matsumoto è poi il tema, ricorrente un po’ in tutte le sue
opere, della sopravvivenza dell’uomo alle prese con una natura ostile, col
destino o, molto più realisticamente, con sé stesso, come nel caso di Interstella: un altro punto di contatto
stimolante con la sceneggiatura dei Daft Punk i quali, nello scriverla,
potrebbero essersi ispirati proprio alle opere di Matsumoto (non ci sono
notizie certe in proposito). Il Maestro viene omaggiato in apertura, prima che
cominci il film vero e proprio, dove si vedono frammenti di una sua intervista
–in un bianco e nero sgranato- in cui paragona i musicisti a dei maghi e cerca
di spiegare il misterioso meccanismo dell’ispirazione, che in lui si manifesta
quasi come illuminazione. Anche i Daft si concedono un cameo, ovviamente a
cartoni e ovviamente nella consueta
tenuta da androidi che cela il loro vero aspetto: sono uno dei gruppi presenti
alla cerimonia per la consegna del disco d’oro, battuti dai Crescendolls.
Ottima la resa audio/video del DVD,
che presenta però menù e sottotitoli (per le poche parole estrapolate dalla già
menzionata intervista a Matsumoto) solo in inglese e francese. Tra gli extra
del DVD, da segnalare le versioni karaoke
–attitudine 100% “nippo”- di One more time,
Harder, better, faster, stronger e Face to face, oltre agli storyboards del film.
IL
DISCO
DAFT PUNK
DISCOVERY (2001, VIRGIN)
Dietro al nome “Daft Punk”, ma
soprattutto dietro agli avveniristici caschi a led e alle tute da androidi –basterebbe
già il look a tradire la loro
“formazione” fantascientifica- si celano, o per meglio dire proteggono
gelosamente la loro identità dagli occhi indiscreti del mondo, Thomas Bangalter
e Guy-Manuel de Homem-Christo, coppia di DJ-produttori francesi, campioni del
cosiddetto “French touch”, il movimento artistico (musicale) che ha
rivoluzionato il genere dance –già da un po’ in procinto di evolversi, specie
nel vecchio continente- a partire della seconda metà degli anni ’90, facendo
della Francia la nazione di riferimento in Europa (e nel mondo) nell’ambito
della musica elettronica techno ed house, non più appannaggio esclusivo dei
frequentatori di discoteche e clubs
specializzati, ma anche e soprattutto musica da ascolto alla portata di tutti.
Questo perché i vari gruppi esponenti del movimento, ciascuno secondo la
propria sensibilità e formazione musicale, hanno contaminato creativamente la
musica dance con altri generi
ritenuti fino allora pregiudizialmente incompatibili con il mondo
dell’elettronica e delle piste da ballo, aggiungendo in più un “tocco” di
eleganza francese, il tutto allo scopo di creare canzoni al tempo stesso
ballabili ed ascoltabili, contribuendo così al definitivo sdoganamento di
questo ambito musicale. E così, insieme agli Air ed al loro esordio-capolavoro Moon Safari del 1998 –un altro album che
sarebbe interessante vedere in versione animata-, i Daft sono stati senz’altro
gli esponenti di maggior successo del “French touch”, ma non vanno dimenticati
nemmeno artisti come St. Germain ( il cui album Tourist è un perfetto esempio di commistione tra dance e jazz in
ottica lounge), Gotan Project (che
hanno operato una rilettura in chiave moderna ed elettronica del tango
argentino già a partire dal debutto nel 2001 con l’ottimo La revancha del tango) o, in una declinazione più pop, i dispersi Phoenix -ricordate la
felpata If I ever feel better? Il
“French Touch” ha fatto davvero scuola, esercitando una grande e duratura
influenza un po’ in tutto il mondo; tra
le più valide alternative estere (soprattutto nel Regno Unito) che hanno in
qualche modo assimilato la lezione francese, giusto per fare alcuni nomi,
meritano di essere citati almeno i britannici Groove Armada, gli svedesi Koop,
i finnici NuSpirit Helsinki –la
Scandinavia si è dimostrata territorio particolarmente
fertile per la nuova dance “riformata”-, gli italiani Gabin (di cui però si
sono perse le tracce) e i giapponesi Kyoto Jazz Massive.
Ma torniamo ai “nostri”: i Daft
esordiscono col botto nel 1997 con l’album Homework
che, trainato dal successo planetario del singolo Around the world (ricordate il meraviglioso video? Vale la pena
ripescarlo su Youtube!), vende due milioni di copie; il disco presenta già le
caratteristiche tipiche ed
inconfondibili del suono Daft Punk: grande curiosità e apertura mentale, il che
significa contaminazione libera e spericolata di generi quali house, techno, funk, pop; ampio utilizzo del vocoder, il celebre effetto vocale nato
negli anni ’70; sonorità incalzanti ma ascoltabili. Prima del sospirato seguito
passano quattro anni di silenzio poi, finalmente, nel 2001 esce Discovery, ed è ancora una volta un
successo, nonostante il nuovo disco prenda musicalmente le distante dal
predecessore dato l’inesauribile desiderio di sperimentare e innovare che porta
i Daft ad evitare di ripetersi per esplorare nuovi territori sonori: rispetto
ad Homework, Discovery è un album più suonato e vintage, dove il tiro si sposta dalla funky house in direzione di sonorità ancor più marcatamente 70’s
fino a ricreare una sorta di “discomusic
del 2000”
, senza disdegnare comunque puntate funk
e pop, come sottolinea la notevole
presenza di parti cantate, e senza accantonare l’amato vocoder (altrimenti, che “seventies” sono?!). Discovery è un disco bellissimo e ricco di idee, un caleidoscopio
pieno di meraviglie e sorprese che ha nella trascinante apertura di One more time -all’epoca regina
incontrastata delle piste da ballo di tutto il mondo- la sua smash-hit trainante, ma non si tratta certo
dell’unica (e secondo me, nemmeno della migliore) composizione degna di nota
dell’album. Ce n’è davvero per tutti i gusti: la chitarra rock sintetica di Aerodynamic, il pop cosmico di Digital love, gli
ipnotici automatismi di Harder, better,
faster, stronger, il funk etereo
della ballata Something about us (il
mio brano preferito del disco), la fusion
rivisitata di Voyager, il ritmo di Face
to face, i ricordi dell’Herbie Hancock di Future shock nel “funkettone” stravolto Short circuit…La magia di Discovery
sta nel suo continuare a sorprendere anche dopo molti ascolti, senza stancare
mai, a testimonianza della genialità e del talento dei Daft Punk, cui sono
bastati i primi due dischi per entrare di diritto nella storia della musica. A
consolidare la loro fama ci hanno pensato poi i mirabolanti DJ-set dal vivo, semplicemente
spettacolari!
Nel 2003 è uscito Daft club, l’album dei remix
dei pezzi di Discovery, prassi
consueta nell’ambito della musica elettronica (specie se composta da DJ!).
Francesco
Vignaroli
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