Cortona Mix Festival,
Cortona, Piazza Signorelli. Mercoledì 27 Luglio 2014
A parere –insindacabile, ovviamente!!!- di
chi scrive, la tappa cortonese del “Genesis Extended World Tour” del
chitarrista Steve Hackett è l’evento-clou
di questa terza edizione del “Cortona Mix Festival”. Hackett (1950) è stato lo
storico chitarrista dei Genesis - il gruppo progressive
rock nato dal genio visionario di Peter Gabriel- dal 1971 al 1977, cioè
durante il periodo d’oro che ha fruttato alla band il meritato inserimento, nel 2010, nella mitica Rock and Roll
Hall of Fame.
Reduce dal trionfale “Genesis revisited” tour dello scorso anno, durante il quale si è esibito insieme al proprio gruppo riproponendo i classici dei Genesis, Hackett ha pensato bene di rilanciare ripetendo il fortunato esperimento in una nuova tournée mondiale che ha toccato anche l’Italia, paese storicamente sensibile al fascino esercitato dal progressive rock, genere del quale il pubblico cortonese ha avuto il privilegio di avere un assaggio (ma che assaggio!), in modo tale da potersi fare un’idea (o rinfrescarsi la memoria) di cosa sia stato il progressive e di quale importanza abbia avuto nella storia della musica leggera…già, ma cos’è, o meglio, cos’era il progressive, che gli appassionati (ne state appena conoscendo uno…) chiamano, più confidenzialmente, prog? Uhmmm…credo proprio che sia arrivato il momento del “pistolotto” storico, che potremmo intitolare “C’era una volta il Progressive”, a beneficio di tutti coloro che non hanno mai sentito parlare di questo meraviglioso genere musicale che ha vissuto negli anni ’70 il suo periodo di massimo splendore. Ma andiamo con ordine, chiarezza ed essenzialità (qui la vedo dura!), o almeno proviamoci…
Reduce dal trionfale “Genesis revisited” tour dello scorso anno, durante il quale si è esibito insieme al proprio gruppo riproponendo i classici dei Genesis, Hackett ha pensato bene di rilanciare ripetendo il fortunato esperimento in una nuova tournée mondiale che ha toccato anche l’Italia, paese storicamente sensibile al fascino esercitato dal progressive rock, genere del quale il pubblico cortonese ha avuto il privilegio di avere un assaggio (ma che assaggio!), in modo tale da potersi fare un’idea (o rinfrescarsi la memoria) di cosa sia stato il progressive e di quale importanza abbia avuto nella storia della musica leggera…già, ma cos’è, o meglio, cos’era il progressive, che gli appassionati (ne state appena conoscendo uno…) chiamano, più confidenzialmente, prog? Uhmmm…credo proprio che sia arrivato il momento del “pistolotto” storico, che potremmo intitolare “C’era una volta il Progressive”, a beneficio di tutti coloro che non hanno mai sentito parlare di questo meraviglioso genere musicale che ha vissuto negli anni ’70 il suo periodo di massimo splendore. Ma andiamo con ordine, chiarezza ed essenzialità (qui la vedo dura!), o almeno proviamoci…
Anno (Magico) di Grazia 1967. Il mondo intero
è attraversato dalle good vibrations
della psichedelia, esplode la “Summer of Love”, dovunque dominano
fiori&colori (ed anche le droghe lisergiche…), gli stessi Beatles hanno
abbracciato il nuovo credo “Flower Power” con REVOLVER (1966) e, soprattutto,
con SGT. PEPPER’S LONELY HEARTS CLUB BAND (1967), consegnandosi definitivamente
alla leggenda e operando il definitivo salto di qualità -testimoniato dai primi
esperimenti di contaminazione tra rock e musica sinfonica- verso una musica più
matura, complessa, adulta. Il rock sta crescendo e le sue ambizioni artistiche
vanno via via aumentando sia da un punto di vista tecnico che concettuale,
vista la forte intenzione di proporsi come musica non più solo per il corpo, ma
anche e soprattutto per la mente. Superata l’immediatezza e la semplicità
tipiche del rock ‘n roll degli inizi
(canzoni da 3 accordi per 3 minuti) e le ingenuità adolescenziali del beat (idem), il rock di fine anni ’60 entra nell’età adulta cercando il
confronto con la musica “colta” e perciò decide di espandere i propri orizzonti
a dismisura, anche in senso letterale: i brani oltrepassano il limite fino ad
allora invalicabile dei 3 minuti di durata per diventare lunghe composizioni
strutturate sul modello delle suites della
musica classica, formate da varie parti diverse legate tra loro. Oltre a ciò, i
testi delle canzoni si fanno sempre più ricercati e profondi, nel tentativo di
conferire loro uno spessore degno dell’appellativo “letterario”. E’ su queste
basi concettuali che nello stesso 1967, fiutando tra i primi l’aria del
cambiamento, gli sconosciuti britannici Procol Harum scrivono A whiter shade of pale rimaneggiando (
con la tecnologia a disposizione oggi diremmo “campionando”) l’Aria sulla quarta corda di Bach: è nato
il Progressive Rock.
Contemporaneamente ai Procol (questione di settimane) i Moody Blues, un altro
gruppo proveniente dal Regno Unito – è l’Inghilterra, in particolare, la patria
del prog, genere che invece negli USA,
per vari motivi, non ha avuto seguito, salvo rari casi-, pubblicano DAYS OF
FUTURE PASSED, un album di rock accompagnato da arrangiamenti orchestrali (con
la hit Nigths in white satin) che costituisce forse il primo vero esperimento
organico di “rock sinfonico”; ma c’è una terza band che in quello stesso periodo comincia a mischiare sacro e
profano, classica e rock: sono i Nice del funambolico tastierista Keith Emerson
(futuro leader del supergruppo prog
Emerson, Lake & Palmer, o ELP); il loro album d’esordio THE THOUGHTS OF
EMERLIST DAVJACK propone ambiziosi e sperimentali brani divisi tra rock e
classica, come l’eloquente Rondo. Possiamo
dunque individuare in queste tre formazioni i pionieri, forse inconsapevoli e
ancora un po’ incerti, del progressive,
cioè del genere che, insieme all’hard rock
(Deep Purple, Led Zeppelin, Who, Black Sabbath…) ha dominato incontrastato la
scena rock e pop britannica –e,
incredibilmente, anche quella italiana, seppur con un paio d’anni di ritardo!-
dalla fine degli anni ’60 fino all’avvento del punk (1976 circa), che ha segnato il ritorno all’essenzialità
tecnica (ma non a quella contenutistica!) del vecchio rock ‘n roll e quindi il tramonto dell’era progressiva. Reso il
doveroso omaggio ai padri fondatori che hanno aperto la strada, senza riuscire
però a dare una forma precisa al genere, ancora sospeso tra reminiscenze
psichedeliche e pop barocco, possiamo procedere fino al 1969, l’anno-chiave del
prog e in assoluto uno degli anni più
importanti per la storia del rock. Esce IN THE COURT OF THE CRIMSON KING dei
King Crimson, l’album-manifesto del progressive,
il disco che sancisce l’esplosione della febbre-prog e la definitiva consacrazione
del nuovo rock che finalmente acquisisce una propria, solida identità e vede
stabilite le sue esclusive coordinate stilistiche: lunghe suites strumentali alla maniera della musica classica, impreziosite
da virtuosismi tecnici di ogni tipo eseguiti da musicisti preparatissimi e
spesso di formazione classica; largo utilizzo delle tastiere elettroniche, a
volte persino a scapito (sacrilegio!) della chitarra, lo strumento-simbolo del
rock (alcuni gruppi, addirittura, come ad esempio i già nominati ELP, non hanno
nemmeno un chitarrista in formazione!); testi dai riferimenti colti, “alti” e
quasi mai politici, che attingono spesso e volentieri da letteratura (specie
quella fantascientifica), poesia e storia, senza preoccuparsi di risultare per
forza comprensibili (ne è un tipico esempio proprio Peter Gabriel); atmosfere
musicali generalmente morbide, rilassate, meditative, intricate e pressoché
prive di momenti aggressivi e “duri” alla maniera dell’hard rock; dominio della razionalità e della pianificazione a
scapito di improvvisazione e spontaneità, caratteristiche, queste ultime, che
hanno portato i detrattori a definire il prog
un genere freddo, privo di picchi emozionali. In realtà non è così: si tratta
certamente di musica raccolta, a volte dimessa e spesso complicata e difficile
per via della sua complessità, una musica che richiede all’ascoltatore
attenzione totale e massima concentrazione, ma non mancano certo momenti più
solari (mi vengono in mente certe cose degli Yes), liberatori o di ascolto più
immediato. Si tratta pur sempre di un genere che ha nella musica sinfonica la
propria principale fonte di ispirazione (ma non l’unica: in seguito entrerà di
scena anche il jazz, specie nella sua
rivoluzionaria veste elettrica imposta dal sommo Miles Davis, senza contare la
capacità del prog di scoprire
autonomamente nuovi percorsi musicali) e che come tale, tendenzialmente, non si
configura certo come musica “facile” e alla portata di tutti. Ma se, superate
le difficoltà iniziali, si riesce a familiarizzare col mondo prog, c’è davvero la possibilità di
vivere momenti di puro godimento musicale! Basta soltanto lasciarsi avvolgere
dalla profondità abissale e dal fascino di una musica che progredisce in
continuazione, costantemente protesa al superamento di sé (ed è questa una
possibile spiegazione dell’origine del termine progressive, una parola le cui radici etimologiche rimangono
tuttora incerte)…
Torniamo alla storia: grazie all’album-capolavoro
dei King Crimson del chitarrista Robert Fripp, il progressive può ora esprimere liberamente le proprie potenzialità e
vivere così la sua stagione d’oro, che dura all’incirca dal ’69 al ’73-’74 (il
‘75 e il ’76 segnano rispettivamente il calo e la fine del genere), anni
durante i quali decine di gruppi nel Regno Unito si tuffano a capofitto nel
meraviglioso mondo prog dando alla
luce innumerevoli capolavori, mentre il verbo progressivo si diffonde pian
piano un po’ in tutto il vecchio continente ed in particolare in Italia,
nazione seconda solo all’Inghilterra quanto a qualità e quantità di musica progressive prodotta, ed a riprova di ciò basta citare gruppi come
il Banco del Mutuo Soccorso, la Premiata
Forneria Marconi, Le Orme, gli Osanna, gli Area…; nel più
ampio panorama britannico si stagliano enormi le figure di Yes, Pink Floyd, Van
Der Graaf Generator, Gentle Giant, oltre ovviamente ai King Crimson ed ai
Genesis da cui proviene il protagonista del concerto cortonese Steve Hackett e
sui quali perciò vale la pena spendere qualche parola.
Il primo nucleo del gruppo guidato da Peter
Gabriel esordisce nel 1969 con l’incerto FROM GENESIS TO REVELATION, ma è dal
successivo TRESPASS (1970) che i Genesis cominciano a fare sul serio, entrando
a pieno titolo nel Nuovo Mondo Prog;
il decisivo salto di qualità, preludio all’inarrivabile trittico di capolavori
seguenti, avviene però con il terzo lavoro del gruppo, NURSERY CRIME (1971),
che segna anche l’ingresso in formazione del nostro Hackett oltre a quello del
futuro idolo pop Phil Collins, croce
(soprattutto per i fan della prima ora, e vedremo poi perché) e delizia per i
Genesis: è nata finalmente la line-up che
passerà alla storia: Peter Gabriel (canto, flauto, testi); Tony Banks
(tastiere); Steve Hackett (chitarre); Mike Rutherford (basso); Phil Collins
(batteria e seconda voce). Con l’arrivo dei due nuovi componenti, il gruppo ha
trovato i tasselli mancanti per il raggiungimento della perfezione, immortalata
su disco dai capolavori dei tre anni seguenti: FOXTROT (1972), SELLING ENGLAND
BY THE POUND (1973, il mio preferito) e l’ambiziosissimo e lunghissimo (2LP/CD)
concept-album THE LAMB LIES DOWN ON
BROADWAY (1974); poi, all’apice di un successo che pare inarrestabile, con una
mossa a sorpresa (un vero e proprio “cup
de teatre”, come direbbe il buon Biscardi) il leader Peter Gabriel, a causa di insanabili divergenze artistiche
con gli altri membri, lascia i Genesis per intraprendere una straordinaria
carriera solistica che lo conferma nell’olimpo del rock. Il colpo è duro ma il
gruppo, superato lo smarrimento iniziale, risponde subito bene con il buon A
TRICK OF THE TAIL (1975) e con il dignitoso WIND AND WUTHERING, che arriva fuori
tempo massimo (1977), quando il progressive
è ormai puro spirito, spazzato via dal punk
che lo ha trovato già indebolito dall’esaurimento della propria spinta
propulsiva. Ed è a questo punto che esce di scena anche Hackett, d’ora in poi
dignitoso solista: giusto in tempo per evitare l’imminente deriva commerciale
dei Genesis che, guidati ora da Phil Collins, compiono una delle abiure più
clamorose della storia del rock, cancellando le ambizioni artistiche degli
eroici anni progressivi in nome di una radicale svolta pop che di progressivo avrà solo l’inarrestabile declino artistico e,
alla fine, anche commerciale; declino che si trascinerà penosamente fino al
1997, con l’album CALLING ALL STATIONS che costituisce di fatto la pietra
tombale di una band che ha visto la
sua storia fratturarsi in due segmenti opposti ed inconciliabili, al punto tale
che sarebbe quasi più corretto considerare i Genesis di Gabriel e quelli di
Collins come due gruppi distinti che in comune hanno solo il nome. Ma la
disastrosa “era Phil Collins” non ha comunque potuto, e non può, abbattere il
mito dei primi Genesis di Gabriel, che non certo per caso si sono guadagnati un
posto al sole nella Hall of Fame del rock…
Dopo lungo penare è finalmente arrivato il momento
di parlare dell’esibizione di Steve Hackett al Cortona Mix Festival (era ora,
penserete voi!). In una Piazza Signorelli gremita l’artista si è dimostrato
davvero in gran forma, ben supportato da un gruppo all’altezza della
situazione, nonostante le mie perplessità iniziali sulla voce -ovviamente à la Gabriel- del cantante Nad Sylvan, che forse aveva soltanto
bisogno di riscaldarsi. Curioso l’utilizzo del sassofono in alternativa al
flauto per coprire certe parti previste originariamente per quest’ultimo, da
parte del polistrumentista Rob Townsend, che con i suoi interventi al sax ha
speziato di jazz alcuni brani aumentandone notevolmente la
suggestione, senza rinunciare comunque al più tradizionale -per il genere- flute. Esecuzioni impeccabili, perizia
tecnica indiscutibile, scaletta che ha attinto esclusivamente al repertorio degli
anni d’oro, per la gioia di tutti gli appassionati di prog presenti. Tanto per mettere subito in chiaro le cose e rompere
il ghiaccio, Hackett e soci si sono esibiti all’inizio con la splendida, epica Dancin with the moonlit knight, il brano
che apre SELLING ENGLAND BY THE POUND, del quale sono stati eseguiti anche la
ballata pop I know what I like e la
solenne Firth of fifth ma non,
purtroppo, il capolavoro The cinema show,
il mio brano preferito dei Genesis insieme a Musical box, che per fortuna non è mancato, andando anzi a
costituire il momento più emozionante del concerto; dallo stesso album che
contiene Musical box, cioè NURSERY
CRIME, sono arrivati un’inattesa The fountain
of Salmacis e la complicata The
return of the giant Hogweed, con la gradita sorpresa dell’arrivo sul palco
dell’ospite Bernardo Lanzetti, al quale Sylvan ha momentaneamente ceduto il
posto al canto, anche se solo –purtroppo!- per un brano: Lanzetti, ex-leader
del gruppo prog Acqua Fragile (due
buoni album all’inizio degli anni ‘70) ed ex-cantante della PFM ai tempi di
CHOCOLATE KINGS (1975), è stato, assieme ai grandissimi Demetrio Stratos degli
Area e Francesco di Giacomo del Banco –entrambi scomparsi-, uno dei pochi, veri cantanti espressi dal
movimento progressive italiano, la
cui penuria di grandi voci ha costituito senz’altro il limite tecnico più
evidente della scena tricolore, specie se paragonata a quella britannica.
Timbro potente e anch’esso “gabrieliano”, pronuncia inglese impeccabile e
grinta da vendere, Lanzetti non si è fatto certo cogliere impreparato (ma del
resto per me non è una novità: ho già avuto il piacere di ascoltarlo in almeno
tre occasioni agli ormai defunti concerti sotto il tendone del “Meeting di
Primavera” di Castiglion del Lago…) ed ha dato una breve ma efficace
dimostrazione delle sue doti vocali, rimaste pressoché immutate rispetto ai
lontani anni ’70…credo proprio che non avrebbe sfigurato se avesse sostenuto
tutto il concerto al posto del pur bravo Sylvan…Da THE LAMB sono stati
recuperati Fly on a windshield e Lilywhite Lilith, il pezzo che apre la
seconda parte dell’album più difficile dei Genesis. Hackett ha deciso di
riproporre anche The Knife, pezzo che
in realtà è stato pubblicato su TRESPASS, cioè prima che il chitarrista
entrasse nel gruppo. Spazio anche per FOXTROT, con la lunghissima suite Supper’s ready e con l’emozionante e
fantascientifica Watcher of the skies,
eseguita come richiestissimo e poi applauditissimo bis.
Viva il progressive!!!
Francesco
Vignaroli
Bell'evento, ma l'articolo è troppo lungo...non si riesce a leggere tutto...
RispondiEliminaNon siamo più abituati a leggere articoli lunghi e articolati, perché adesso vanno di moda gli articoli brevi e spesso anche di poco contenuto. Una volta nei giornali e nelle riviste apparivano articoli di questo genere ed è un vero peccato che ai giorni di oggi sia veramente difficile trovarli. Quindi per fortuna che c'è ancora qualcuno che li scrive e che esistono ancora testate che li ospitano! Articoli come questo non si fermano a una breve e distratta lettura, ma si tratta di articoli che diventano dei veri e propri documenti che resisteranno per sempre nel tempo! COMPLIMENTI! Emilia
RispondiElimina