La
musica e l’arte in generale ci raccontano molte cose, di cui noi siamo
inconsapevoli. Queste raccontano momenti di vita che un singolo uomo vive o ha
vissuto, le nostre sensazioni ed emozioni belle o brutte e quindi pezzi di
filosofia del quotidiano vivere. Allo stesso tempo, entrambe ci narrano le
nostre esperienze, conoscenze e percezioni, ossia capacità di comprendere ed
avviarci verso un cammino o direzione per la buona cura di noi stessi e degli
altri; è il caso della grande e meravigliosa canzone “C’umme” scritta da E.
Gragnaniello e interpretata da due grandi artisti indimenticabili: Roberto
Murolo e Mia Martini.
“C’umme”
è un testo che possiede una profonda connessione con la filosofia pratica, la
consulenza filosofia e in particolare con Socrate. Può sembrare questo molto
strano (forse anche all’autore stesso), soprattutto a chi la filosofia la
conosce solamente come una disciplina scolastica appassionante o noiosa;
strano, poiché non sappiamo che ogni giorno, ogni attimo delle nostre vite, in modo
inconsapevole ci occupiamo di filosofia. Ogni giorno, ogni volta che
idealizziamo un progetto, un programma, una strategia lavorativa… e soprattutto
quando diciamo una dolce parola a qualcuno, ogni volta che diamo un consiglio
saggio di poche parole per invitare a riflettere, là dove siamo degli
illuminatori, una guida e dei educatori inconsapevoli per chi ci ascolta,
facciamo pratica filosofia e consulenza filosofia proprio alla Socrate. E
proprio il testo di “C’umme” narra tale realtà, la stessa che fa intravedere
che in ognuno di noi c’è un Socrate e che in ogni momento abbiamo sempre
intorno a noi un medesimo Socrate, che definiamo speciale. Se ascoltiamo
attentamente la canzone, notiamo che parla di un uomo che fa coraggio a
qualcuno che sta male, a cui dice: “Scendi con me… in fondo al mare per trovare
quello che non abbiamo qua”; il protagonista invita la persona che sta male ad
uscire, ad affidarsi a lui; la invita a scendere nel fondo del mare, scavare
nel suo dolore, per trovare quello che abbiamo, nel senso che in fondo al
dolore c’è qualcosa che noi abbiamo acquisito grazie all’esperienza... il
dolore è una cosa, un oggetto di cui dobbiamo avere cura; esso è un’esperienza
di formazione e crescita e infatti la strofa continua “Vieni con me/e incomincia
a capire/com’è inutile stare a soffrire/Guarda questo mare/che ci incute paura
sta cercando d’insegnarci”. Ebbene, il protagonista invita il suo ospite a
cominciare a capire, a iniziare a vedere la cosa in una ottica diversa, così
capirà che e inutile soffrire, nel senso che capirà cosa quel dolore gli ha
dato, la ragione dell’esistenza di quel dolore. Invita ancora la persona a
guardare ciò che incute paura, che è anche la stessa cosa che può insegnarci a
vivere, “Ah come si fa a dare tormento all’anima che vuol volare? … Se tu non
scendi a fondo… non lo puoi saper!”. Come si fa a dare un senso al dolore
dell’anima che vuole volare? Nel dolore la persona vuole morire, o uscire,
scappare da quella gabbia in cui si trova – “No, come si fa … a dover prendere
soltanto/il male che c’è e poi lasciare questo cuore… solo in mezzo alla via?”,
sottolinea come afferrare il male e poi lasciare il cuore solo in mezzo alla
vita, nel senso di come poter amare avendo il cuore pieno di dolore, a causa
del male… come abbandonare questo dolore. Parliamo di qualcuno, un personaggio
che vede tutto nero, che non vede luce, un personaggio richiuso in una grotta,
che non riesce a percepire che quello che vive è un oggetto, un qualcosa di cui
avere cura, di cui ricavare un’esperienza di maturità e costruzione del proprio
sé. Tale caratteristica fa parte della creatura umana, quella di demoralizzarsi
davanti a un dolore. In ogni modo l’autore riprende, non so se per un caso, sia
Socrate che Platone in questa sua opera, che continua: “Sali con me/e comincia
a cantare/assieme alle note che l’aria dà/Senza guardare/tu continua a volare
mentre il vento/ci porta là/Dove ci sono le parole più belle. che ti prendo per
imparare.”. Sali da qualche parte, su un palcoscenico plausibilmente, e
comincia a cantare, ossia a raccontare accompagnata dalle note che l’aria
offre… raccontare e ascoltare, in un punto in cui ci sono le parole più belle
che vengono attraverso l’altro di chi ascolta e canta - o meglio parla; il
vento sta ad indicare che mentre parliamo quel dolore ci illumina, ci dà un
senso alla nostra vita.
E
poi ancora il ritornello che fa di “C’umme” un testo meraviglioso, di cui forse
nessuno si è accorto del grande senso, messaggio che esso racchiude, cioè di
quella persona che vuole prendersi cura di chi è accanto; la stessa persona che
sa come procedere per aiutare chi ha bisogno, attraverso il dialogo saggio, in
cui chi ascolta è invitato a riflettere e a costruire la cura di sé.
Questa
canzone, meglio opera d’arte, ha ripreso forse inconsapevolmente la filosofia
antica e ha anticipato in Italia l’attività della consulenza filosofica di Gerd
B Achenbach, proprio nell’era in cui nel nostro Paese non era conosciuta. Oltre
a questo il testo riassume una grande capacità umana, quella appunto di aver
cura; ci spiega che l’individuo ha bisogno di comunicazione, di molta
considerazione e comprensione, ci racconta che ha bisogno di molta sensibilità
e giuste parole, a volte anche dolci, che siano incoraggianti. Esalta
l’importanza del dialogo che e di un processo formativo ed educativo; il
dialogo tra l’altro raffigura il miglior modo di prendersi cura e di educarsi,
creare, sviluppare i sentimenti, trovare serenità. Tutto questo è dato dalla
tonalità delle voci; il tono della voce è infatti molto importante nella
consulenza di qualsiasi natura essa sia.
Un
altro aspetto importante della canzone è il fattore che essa si orienta non
all’interno di uno studio, ma fuori nell’ambiente circostante, là dove ci sono
oggetti - mare, palcoscenico e così via - che stanno fuori, in mezzo e intorno
ai protagonisti. Qui si ricorda Socrate, che faceva consulenza girando per
l’antica Atene, utilizzando oggetti.
Il
testo “C’umme” racchiude un aspetto importassimo della vita: il comunicare,
andare alla ricerca di trovare un senso alle cose, all’accadere; esalta il
dolore, che non è un aspetto negativo, ma positivo, come se dicesse quello che
dice lo stesso Achenbach, ossia che i problemi non esistono e che l’uomo vuole
solo capire ed essere capito; vuole essere confortato nella condizione.
Tutto
questo è ciò che accade nella consulenza filosofia. Tutto questo è ciò che
accade ogni giorno, quando siamo con gli amici, parenti, genitori, fratelli,
con persone care, là dove vi è la filosofia del quotidiano vivere, perché ogni
accadimento è una filosofia del quotidiano, un qualcosa da trattare per
formarci.
Questo
è ciò che esalta tale canzone, dove vi è tanta tenerezza, armonia e amore. Non
so se l’autore intendeva tutto questo, ma di sicuro ha sviluppato una grande
opera, che ci dice ed insegna tanto, un’opera di grande cuore e osservazione -
oltre al fatto di essere un’opera che fa sempre piacere ascoltare, senza mai
stancarci, questo grazie a Enzo e grazie a Mia Martini e R. Murolo
(indimenticabili), che l’hanno interpretata così meravigliosamente ed
autenticamente.
Giuseppe
Sanfilippo
hai superato te stesso Giuseppe!un connubio tra filosofia ,arte, e pedagogia...sullo sfondo di una città che è il cuore della poesia!complimenti!
RispondiEliminaComplimenti Giuseppe
RispondiEliminaGrande dottore Sanfilippo sei un maestro della filosofia.
RispondiEliminaGiuseppe 6 uno orgoglio
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