20 settembre, 2014

"Senza nessuna pietà": chi vive nel sangue in quello stesso sangue muore. Di Francesca Saveria Cimmino


Senza nessuna pietà, film d’esordio per Michele Alhaique, al confine tra la malavita e la “redenzione”.  È stato interpretato da Pierfrancesco Favino, Greta Scarano, Claudio Gioé, Renato Marchetti, Iris Peynado e presentato nella sezione Orizzonti della 71^ Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia. 

Mimmo (Pierfrancesco Favino) appartiene ad una famiglia di potenti malavitosi. Lavora come operaio per la costruzione di edifici ma, al contempo, sbriga affari loschi, giustizia o ferisce persone scomode e fastidiose.
Talvolta basta un pagamento in ritardo per stabilire la sorte di qualcuno. Suo cugino Manuel (Adriano Giannini) gli affida un compito da autista per un giorno: la sua missione deve essere quella di prelevare Tania, una giovane escort (Greta Scarano). Mimmo, il pensieroso “orso”, dovendo stare a contatto con la donna (di)mostra – e in realtà si era compreso dalla prima inquadratura – quanto fosse diverso dalla sua stessa casata o dalla sua spalla, il Roscio (Claudio Gioé). Introverso e riflessivo, composto e taciturno, si limita a fare ciò che gli è commissionato con scarsa voglia e dedizione. La ragazza è sensuale, sfrontata, ma lui sembra vederla a stento. Appena Manuel decide di “testare” la giovane, rendendo il suo corpo un puro oggetto con cui è possibile divertirsi o – ancor peggio – da abusare, Mimmo sceglie di cambiare la sua rotta: decisione con cui comprometterà la sua “carriera” e a causa della quale sarà costretto a vivere di latitanza. La ruota inizia a girare nel verso opposto e i salati conti giungono a destinazione, per tutti o quasi. Lì dove non ci pensa Dio è l’uomo che deve provvedere e non c’è mai fine alla vendetta. Protetto da chi è innocente, riesce a portare avanti la sua individuale e collettiva battaglia. Sogna una vita normale con la sua bella bionda al fianco; ma si sa, i sogni non divengono quasi mai realtà. Ci si prepara all’evasione, nonostante le ferite siano fresche e il sangue continui a fuoriuscire. Non c’è via di scampo e non c’è tempo: ad ogni spostamento della lancetta sull’orologio aumenta il rischio di non svegliarsi il giorno seguente. Mimmo di fondo è un buono  e non ha intenzione di fuggire senza prima aver detto, agli alti esponenti del suo clan, quel che porta con sé da tempo; precisamente da quando suo padre morì per mano altrui. Le parole, si dice, talvolta, possano ferire più di un colpo di pistola: toccano la coscienza o mirano ad essa. È esattamente il tentativo vano cui aspira. Non c’è perdono o, se c’è, non aiuta a dimenticare il dolore né a cambiare l’animo putrido e meschino di chi vive nel sangue e in quello stesso sangue muore. Non c’è salvezza e non c’è la possibilità di liberarsi, realmente, da un mondo che incatena e segna per sempre. Un universo dove ciò che è giusto e ciò che è sbagliato lo decide una persona senza scrupoli; un regno dove vige l’omertà e una precisa legge ad personam. Nascere in questo mondo – che dei concetti di clemenza, comprensione e felicità se ne importa ben poco – significa, troppo probabilmente, essere costretti a morire in un bagno di sangue. Interessanti le recitazioni degli attori, sebbene la scelta registica di mostrare un Pierfrancesco Favino così provato sin dalla prima scena abbia fatto perdere al film tensione e qualità, l’interprete è riuscito a comunicare con lo sguardo ciò che non ha espresso verbalmente. Discutibile ed eccessivamente inverosimile il finale: sarebbe bastato concluderlo con un colpo di… scena. In fondo, anche la morte ha diritto ad una sua credibilità, nonostante si tratti di una fiction.


Francesca Saveria Cimmino

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