Teatro
delle Passioni, Modena, Festival Vie – Modena. Sabato 11 ottobre 2014
Ho rivisto
Manfredini dopo quasi sette anni.
La prima volta lo
vidi sul palco per lo spettacolo Il Sacro
segno dei Mostri, sempre all’interno del Vie Festival a Modena.
Questa volta lo
ritrovo, sempre sullo stesso palco, con lo spettacolo Vocazione.
Con la parola
vocazione si individua una persona che ha un trasporto innato
nel vivere un certo tipo di vita, che ha una particolare sensibilità.
La vocazione,
qualcosa di forte che spinge la persona a intraprendere una strada che sente
dal di dentro, che è quella e quella soltanto. Vocazione è sacrificio,
passione, amore incondizionato verso qualcosa che non sai nemmeno se ti farà bene,
se ti farà felice.
Vocazione è un
istinto a percorre una strada che non sai bene nemmeno tu dove finisce.
Manfredini porta in
scena Vocazione, un viaggio se
vogliamo nei meandri intimi dei pensieri dell’attore, nelle sue paure, nel
desiderio di diventare qualcuno, di essere ricordato, la paura del fallimento,
la rassegnazione nella vecchiaia.
Un quadro comico,
ironico e a tratti straziante. Lo racconta attraverso pezzi di suoi spettacoli
e di personaggi di lavori importanti come Nina del Gabbiano di Cechov, Minetti di
Thomas Bernhard, (lo incontriamo all’inizio, il ritratto dell’anziano divo la
cui esistenza sembra possibile solo nei panni di Re Lear). E poi c’è il Canto
del cigno di Cechov e l’attore fallito di Un anno con 13 lune di
Fassbinder, diventato il cinico uomo d’affari pronto ad abbandonare l’amante
incolpandola della sua misera fine, lei che per lui ha cambiato sesso.
Un palco quasi spoglio, qualche sedia ai lati della
scena, un telo bianco che fa da sfondo. Al fianco di Manfredini c’è Vincenzo
Del Prete, suo fedele compagno di lavoro che in scena sembra incarnare il ruolo
della ragionevolezza. I due attori accompagnano lo spettatore in una discesa
nei meandri della “disperazione attoriale”, in un vortice di personaggi e di
situazioni, l’attore dannato, imprigionato dai suoi costumi, dalle sue
molteplici realtà che non sono la sua realtà, la “condanna” consapevole di
svuotarsi ogni volta che si entra sul palco, di annullarsi, per dare spazio al
personaggio. La tragica commedia degli eventi.
Ciò che tocca nel profondo, a mio avviso, è la
capacità di trasformazione di Manfredini in scena che è uno spettacolo per gli
occhi e il cuore, un teatro fatto d’uomo e ci si rende conto di come la forza
del palcoscenico sia nella potenza del personaggio che porta il pubblico in
un'altra dimensione. Non servono effetti scenici strabilianti, musiche
assordanti o invenzioni assurde, basta l’attore ma quello che ti smuove
qualcosa dal di dentro, che ti fa stare seduto li in quel momento, nella platea
buia, e non desideri andare da altre parti se non rimanere in quell’istante,
quello che ti fa ridere e commuovere nel rapido cambio del respiro.
Come dice il Maestro:
“quando dico lavori “teatrali” intendo che siano in grado di sollevare dei
sentimenti. Una sorpresa, un incanto, un particolare stato d’animo. Il teatro
per me va a collocarsi in quella zona dell’arte che smuove un dentro.” [D.Manfredini]
Manfredini smuove “il di dentro” e ti fa uscire dal
teatro con l’anima frammentata, col cuore che trabocca di qualcosa che non sai
definire, ma è soprattutto in quelle volte che succede che capisco perché amo
il teatro.
Cristina Zanotto
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