Teatro Stabile
di Bolzano. Giovedì 6 novembre 2014
Il 6
novembre 2014 si è aperta la stagione di prosa del Teatro Stabile di Bolzano con un dramma molto toccante di
Pirandello, La vita che ti diedi, diretto da Marco Bernardi. L’opera, andata in
scena per la prima volta a Roma nel 1923, è il frutto della rielaborazione di
due novelle, I pensionati della memoria e La camera in attesa, rispettivamente
del 1914 e 1916, in cui Pirandello affronta il difficile tema della perdita di
una persona cara, della memoria e della rielaborazione del lutto. Lo spettacolo,
che rispecchia fedelmente l’opera pirandelliana, mette in scena l’umanità
sofferente dei personaggi. In primis il dolore della protagonista, Donn’Anna
(interpretata magistralmente da Patrizia Milani), alla quale è appena morto il
figlio, tornato a casa dopo sette anni di assenza.
Donn’Anna però, non lo riconosce più. Lei aveva già perso suo figlio nel momento in cui egli decise di andarsene via di casa, quindi per la donna è come se fosse morto un estraneo. Così la protagonista si consola ricordando l’immagine del figlio nel momento della sua partenza (un ragazzo biondo, dalla folta chioma, con occhi ridenti), cercando di convincere tutti che colui che giace privo di vita nella stanza non è suo figlio, ma un ragazzo ormai consumato dalla malattia, calvo, con gli occhi spenti. Sia la sorella Fiorina (Gianna Coletti) che il prete Don Giorgio (Carlo Simoni) cercano di far accettare la realtà alla donna, che invece è determinata a continuare a vivere nel ricordo del figlio. “Come debbo dire io ora?” dice Donn’Anna “Debbo dire che io, io, non sono più viva per lui, poiché egli non mi può più pensare! E voi invece volete dire che egli non è più vivo per me. Ma sì che egli è vivo per me, vivo di tutta la vita che io gli ho sempre data: la mia, la mia; non la sua che io non so!”. La dura verità, secondo la protagonista, è che quando viene a mancare una persona cara, perdiamo un pezzo di noi stessi, poiché non esistiamo più per il defunto.
Donn’Anna però, non lo riconosce più. Lei aveva già perso suo figlio nel momento in cui egli decise di andarsene via di casa, quindi per la donna è come se fosse morto un estraneo. Così la protagonista si consola ricordando l’immagine del figlio nel momento della sua partenza (un ragazzo biondo, dalla folta chioma, con occhi ridenti), cercando di convincere tutti che colui che giace privo di vita nella stanza non è suo figlio, ma un ragazzo ormai consumato dalla malattia, calvo, con gli occhi spenti. Sia la sorella Fiorina (Gianna Coletti) che il prete Don Giorgio (Carlo Simoni) cercano di far accettare la realtà alla donna, che invece è determinata a continuare a vivere nel ricordo del figlio. “Come debbo dire io ora?” dice Donn’Anna “Debbo dire che io, io, non sono più viva per lui, poiché egli non mi può più pensare! E voi invece volete dire che egli non è più vivo per me. Ma sì che egli è vivo per me, vivo di tutta la vita che io gli ho sempre data: la mia, la mia; non la sua che io non so!”. La dura verità, secondo la protagonista, è che quando viene a mancare una persona cara, perdiamo un pezzo di noi stessi, poiché non esistiamo più per il defunto.
Il
valore della maternità in quest’opera è estremamente enfatizzato. Anna è una madre
possessiva, che ha vissuto per il figlio annullandosi e rimanendo vincolata
esclusivamente al ruolo di madre. Scopriamo, infatti, l’ambiguità di questo
personaggio all’arrivo di Lucia (Irene Villa), l’amante del figlio, alla quale
Donn’Anna fa credere che il ragazzo sia vivo e che tornerà presto. Alimentando
questa illusione, il figlio continuerà a vivere nel loro ricordo. Lucia però
confessa a Donn’Anna di essere incinta e, nonostante un attimo di smarrimento
della protagonista, la donna rivede in quel neonato una continuazione della
vita di quel bambino che lei ha perso. L’arrivo della madre di Lucia, Francesca
Noretti (Giovanna Rossi), spezza questa illusione. La donna, infatti, racconta
la verità alla ragazza, che sprofonda nella disperazione. Davanti al dolore
della donna che ha amato il ragazzo tanto quanto lei, Donn’Anna crolla, e, come
risvegliata da un abbaglio, accetta la morte del figlio. Ora il compito di
madre spetterà a Lucia, e a Donn’Anna non resterà che rassegnarsi.
Sia
per le tematiche affrontate che per l’interpretazione degli attori, lo
spettacolo di Bernardi risulta emozionante. Di grande impatto è anche la
scenografia, costituita prevalentemente da pareti bianche e da alcuni arredi di
colore scuro (una sedia, una panca e un tavolo). La disposizione delle pareti,
del soffitto e del palco sembra quasi creare una “scatola” all’interno del
quale si svolge la vicenda. Questa caratteristica, insieme all’intensità del
colore bianco, crea un’ambientazione nuda e fredda.
Patrizia
Milani interpreta Donn’Anna con grande espressività. Fin dalla prima scena
l’attrice mostra il carattere forte e determinato di questo personaggio. Anche
attraverso lo sguardo quasi allucinato e il volto pallido, la Milani riesce a
far emergere il dolore di Donn’Anna, senza mai enfatizzarlo. L’interpretazione
di Irene Villa è invece molto diversa: Lucia, infatti, esterna il suo dolore,
non trattiene le grida e spesso anche la sua gestualità si rivela esagerata. Il
ruolo di Don Giorgio, sebbene sia un personaggio secondario, è interpretato da
Carlo Simoni con molta abilità. Quando Donna Fiorina sente Donn’Anna
“farneticare”, Don Giorgio sembra essere l’unico personaggio in grado di
comprendere il dolore della donna.
Sara Bellebuono
Nessun commento:
Posta un commento