Teatro
Elfo Puccini, sala Fassbinder, Milano. Dal 16 al 21 dicembre 2014
Un
testo, questo romanzo breve di Giuseppe Patroni Griffi pubblicato nel
1975, di grande poesia e realismo, quasi a sfiorare l’oscenità,
le si posa sulla bocca, tenta di inghiottirla, la lecca, la lavora,
ma poi se ne distacca, non per moralismo o pudore ma perché è
l’unico modo per raggiungere vera bellezza e forza. Un sesso
audace, eccessivo, provocatorio, è quello di cui Rosalinda
Sprint, "una figura maldestramente ritagliata nella carta, le
forbici si sono mangiate parte del bordo intorno intorno, n'è
scappata fuori una silhouette in scala ridotta" si nutre, vive,
soffre. E di cui non può fare a meno, quasi un bisogno animalesco e
spirituale insieme.
Due
meravigliose napoletanità, quella di Patroni Griffi e quella di
Cirillo si incontrano ed ecco che prende vita la storia di
Rosalinda Sprint, precedentemente Rosa di Napoli, un femminéllo
che ci racconta delle sue solitudini, dei suoi incontri, delle sue
delusioni, dei suoi amplessi “irregolari”, dei suoi amori.
Cirillo,
vestito da donna, è bello o bella che dir si voglia, non esagera
mai, è attento a non caricare, perché le parole pesano già, e
allora, con modi delicati e sensibili, ma intrisi anche di
autoironia e umorismo incarna il femminéllo, personaggio
quasi mitico della tradizione culturale partenopea, rispettato perché
considerato di buon augurio, e infatti è tradizione dei quartieri
popolari di fargli tenere in braccio il neonato. Viene però anche
sbeffeggiato, ridicolizzato, ma senza cattiveria e ostilità. Tanto
più che il femminéllo saprà rispondere ai commenti con
ironia, umorismo e umanità tutti tipici dello spirito partenopeo.
Rosalinda,
tra carnalità e romanticismo, si sdoppia in altri personaggi del suo
mondo, come Marlene Dietrich, la sua “maestra” e affittuaria, o
la baronessa, che dimora sui gradini come una balena alla deriva, con
guanti di pizzo “che diventano carne della sua carne”, Gaetano,
il cliente “brutto che piace” di cui si innamora, Gennaro il
cugino, che rivede al funerale del padre. Patroni Griffi in maniera
sublime descrive “quel filo di bava come una catena d’amore”
del rapporto sodomita fra Rosalinda e Gennaro, e ci fa venire la
pelle d’oca, per il livello di poesia e sensualità cui arriva.
Rosalinda
non è mai volgare nei suoi atteggiamenti, delicato è il suo modo
di descrivere gli altri personaggi, gli amanti, i clienti, i
parenti, tante facce della sua stessa esistenza, maschere grottesche
che nascondono sogni e fantasie. Lei sente il peso della
prostituzione, la consapevolezza di essere “recchione” e tale
dover morire, dice che vuole andarsene da Napoli, “farsi
forestiera”, ma poi si chiede se là “le vorranno bene”.
Perché quello che lei cerca, al di là dei soldi, è l’amore, è
trovare “colui che sarà” .
La
scenografia e i costumi, al contrario, sono volgari, ma è così che
devono essere, moquette di pelo rosa, paraventi e copriletto di
satin, vestaglie di finto raso, stivali di finta pelle, e lei
cammina sulla scena come una soubrette del varietà, una
passeggiatrice dei vicoli, una regina della notti perverse. E parla
parla senza sosta, come una Molly Bloom dei quartieri spagnoli, di
cose che sono accadute o mai accadranno. Ci emoziona il suo correre
giù per Toledo, il suo rivivere i rapporti anali con gli uomini
“per bene”, la sua innocenza, la sua voglia di fuggire, il suo
bisogno di trovare l’amore, nonostante tutto.
Stupendo
Cirillo che con il suo accento napoletano ci fa sorridere delle
miserie umane, e che sa rendere tutto leggero, schiarendo le
brutture, lo squallore, le tristezze con un tocco di camomilla
Schulz, e la cui interpretazione e regia hanno la forza di lasciare
un segno ben più marcato dei pesi che si porta addosso.
Daria
D.
Scende
giù per Toledo di Giuseppe Patroni Griffi. Regia di Arturo Cirillo
Con
Arturo Cirillo
scene
Dario Gessati,
costumi
Gianluca Falaschi
musiche
originali Francesco De Melis
luci
Mauro Marasà
produzione
MARCHE TEATRO -Teatro Stabile Pubblico
e
Fondazione Napoli Teatro Festival
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