Piccolo
Teatro Grassi, Milano dal 10 al 21 dicembre 2014
Foto Tommaso Le Pera |
Höstsonaten
(Sonata d’Autunno) è il film che Bergman, il regista svedese,
diresse nel 1978 e che gli valse numerosi premi sia per la
sceneggiatura originaria sia per l’interpretazione di Ingrid
Bergman, nel ruolo della pianista Charlotte. Chissà come mai in
italiano è stato tradotto con “Sinfonia d’Autunno”, poiché
Charlotte, interpretata da Anna Maria Guarnieri nella messa in scena
di Gabriele Lavia, parla di sonate di Bach, Chopin, Beethoven.
Inoltre, possiamo parlare di un quartetto di solisti, oltre a
Charlotte, ci sono le sue due figlie e un genero, e tutti agiscono
senza direttore d’orchestra, senza Dio, senza amore.
Lavia
dirige una “Sinfonia d’Autunno” dove c’è poca musica, e poco
autunno. A mio parere, si sente la mancanza di una colonna sonora
“passionale ma non sentimentale”, come Charlotte descrive la
musica di Chopin, sedendo di fronte ad un immaginario pianoforte.
Se in un caso, la virtuale sonata è interrotta dallo squillo del cellulare del suo agente, negli altri casi, è tutt’altra la musica che Lavia sceglie come commento. E che disattende il nostro bisogno di spezzare, in qualche modo, quel senso di soffocamento e di mancanza di speranza che pervade tutta la storia. Avrebbe dato un po’ di afflato e di passione all’atmosfera plumbea e austera della vicenda, che la scenografia e i costumi rendono molto bene. A parte la macchia rossa del vestito di Charlotte, che però, dato il personaggio, non è simbolo né di passione né di amore. E se, in alternativa, fosse stata una pioggia incessante la colonna sonora, invece di quei rombi di tuono?
Se in un caso, la virtuale sonata è interrotta dallo squillo del cellulare del suo agente, negli altri casi, è tutt’altra la musica che Lavia sceglie come commento. E che disattende il nostro bisogno di spezzare, in qualche modo, quel senso di soffocamento e di mancanza di speranza che pervade tutta la storia. Avrebbe dato un po’ di afflato e di passione all’atmosfera plumbea e austera della vicenda, che la scenografia e i costumi rendono molto bene. A parte la macchia rossa del vestito di Charlotte, che però, dato il personaggio, non è simbolo né di passione né di amore. E se, in alternativa, fosse stata una pioggia incessante la colonna sonora, invece di quei rombi di tuono?
Foto Tommaso Le Pera |
Charlotte
va a trovare la figlia Eva, (una giustamente nevrotica Valeria
Milillo), dopo sette anni di lontananza, lascia i riflettori dei
concerti e la vita cittadina e si ritrova in una dimensione solitaria
e poco mondana. Per la pianista, che soffre di terribili dolori alla
schiena, il viaggio è senz’altro un immenso sforzo, acuito dal
rapporto con la figlia, mai permeato dall’amore, sacrificato
totalmente in nome della carriera. Con Eva, donna di atteggiamenti
infantili e vergognosi, piena di paure e di ansie, vive Helena, brava
Silvia Salvatori, la sorella handicappata, che è stata tolta da un
istituto. Eva riversa su di lei tutte le premure e l’amore di cui è
capace, diventandone quasi una madre.
Bergman,
tanto impietoso quanto vero nel descrivere i rapporti all’interno
della famiglia e del matrimonio, ci mostra un amore recitato, e non
sentito, da una madre impermeabile ai sentimenti, cinica ed egoista,
interessata solo alla sua carriera, alla musica, a se stessa. Ma
nemmeno Eva, nemmeno Viktor, interpretato da Danilo Nigrelli, sono
immuni da questa recita. Tutto è mascherato da comportamenti
educatamente falsi, vuoti, attenti alla facciata più che alla
sostanza. E su tutto il silenzio di Dio, come è sempre nelle storie
del regista svedese. Un Dio che tace di fronte alla giovane donna in
carrozzella, a Eva che non sa amare perché non è mai stata amata, a
Viktor, debole e inconsistente, alla pianista egoista e frettolosa,
superficiale e disattenta, che ha paura della vecchiaia e del
silenzio degli applausi.
Con questo dramma familiare, in cui sentiamo echi di Strindberg e Ibsen, Lavia sembra voler confessarci la paura sua e di tutti i “teatranti”, di quando sono lontani dal palcoscenico, avvolti da un cupo silenzio privo di applausi e quasi ci chiede perdono, comprensione, perché, ci ricorda, c’è un altro tipo di silenzio, ben più grave. E’ quello delle madri e dei padri, dei mariti e delle mogli, della famiglia intera, serpe nel cui petto si annidano gelosie, crudeltà, sofferenze, ipocrisie, il tutto recitato con tanto amore... E su tutto il silenzio di Dio.
Con questo dramma familiare, in cui sentiamo echi di Strindberg e Ibsen, Lavia sembra voler confessarci la paura sua e di tutti i “teatranti”, di quando sono lontani dal palcoscenico, avvolti da un cupo silenzio privo di applausi e quasi ci chiede perdono, comprensione, perché, ci ricorda, c’è un altro tipo di silenzio, ben più grave. E’ quello delle madri e dei padri, dei mariti e delle mogli, della famiglia intera, serpe nel cui petto si annidano gelosie, crudeltà, sofferenze, ipocrisie, il tutto recitato con tanto amore... E su tutto il silenzio di Dio.
Ma
nonostante la mancanza di speranza, e quel rombo incessante che
annoia e spaventa Charlotte, un piccolo spiraglio di luce filtra al
sorgere dell'alba per ricordarci che Omnia vincit amor.
Daria
D.
Traduzione
di Chiara De Marchi
Anna
Maria Guarnieri – Charlotte
Valeria
Milillo – Eva
Danilo
Nigrelli – Viktor
Silvia
Salvatori – Helena
Scene
di Alessandro Camera
Costumi
di Claudia Calvaresi
Musiche
originali di Giordano Corapi
Produzione
Teatro Stabile dell’Umbria. Fondazione Brunello Cucinelli
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