Valentina
Gemelli - Caro
Stefano, ti ringrazio e ti rispondo così: "Osservo il termine
dal punto di vista etimologico e modifico la domanda in: essere
ipocriti (dal greco ὑποκριτής -attori) serve nella vita di
tutti i giorni? Beh, letta così a me fa un certo effetto! Va da sé
che in quest'ultima accezione,quella più negativa del termine, non
mi ci ritrovo. Preferisco,quindi, continuare ad essere attrice sulle
tavole di un palcoscenico, ad apertura del sipario. E quando si
richiude torno ad essere semplicemente me stessa".
Emanuele
Ajello - Sono felice di risponderti perchè trovo che sia un'iniziativa
innovativa e interessante: Molte persone che ci circondano sono
attori, anche se non fanno di mestiere l'attore, e molte persone che
fanno di mestiere l'attore non sono attori. Coloro che lo sono
effettivamente, sia mestieranti che non, è inevitabile che usino
questa loro "arma" sia nella loro vita privata che
professionale, me compreso. Essere attori significa saper gestire il
proprio umore, saper riprodurre emozioni e sentimenti, saper fingere.
E' una qualità insita in ciascuno di noi, c'è chi ce l'ha più
sviluppata, chi meno, bisogna solo saperla cogliere!
Daria
D. Morelli - Quando
esco da un personaggio, ritorno me stessa, nel senso che non faccio
"come se fossi daria", perché sono Daria. Sul set o sul
palco sono Blanche, Zelda, Giulia, Anna... ecc., assumo altre
identità, che magari hanno in comune con me qualcosa. Cerco di
entrare dentro di loro, come Daria che diventa loro. Ma fuori, non
recito: sono Daria, non uso maschere. So che, recitando, avrò il
piacere, la possibilità di mettermi tutte le maschere che voglio. La
differenza è che nella vita quotidiana non ho un pubblico che ha
pagato per vedermi. Dire che la vita è un grande palcoscenico è una
cosa che non condivido. Le maschere si devono lasciare nei camerini.
Essere solo noi stessi senza finzioni.
Flora
Vona - Devi sapere che
frequentavo un' università dove c'erano quasi esclusivamente
professoresse donne e per le studentesse più carine era a volte
difficile prendere voti alti. È per questo che lì, all'università,
ho capito che il mestiere dell'attrice mi divertiva particolarmente,
quando, prima del sostenimento degli esami orali, iniziava per me una
vera e propria trasformazione per rendermi meno piacente. Sceglievo
vestiti larghi e fuori moda e una mimica facciale adatta a rendermi
sotto tono... e tutto questo funzionava! Pensa che una volta,
addirittura, per non farmi riconoscere da una professoressa che mi
aveva preso in antipatia, mi feci bionda e all'esame non mi riconobbe
neppure!
Benedetta
Valanzano - Io credo
che bisogna portare la verità in scena. Cosa che mi ha insegnato il
mio grande maestro
Vincenzo Salemme. La sua è una vera e propria filosofia di vita. In scena non si può fingere, il pubblico sente la verità e se lo prendi in giro perde fiducia in te, in quello che stai raccontando, non ti crede più.Credo che quotidianamente, attori o non, l'essere umano metta una maschera per vivere nella società. La libertà dell'attore è proprio questa: esorcizzare, liberarsi attraverso i propri personaggi da qualsiasi menzogna emozionale.
Vincenzo Salemme. La sua è una vera e propria filosofia di vita. In scena non si può fingere, il pubblico sente la verità e se lo prendi in giro perde fiducia in te, in quello che stai raccontando, non ti crede più.Credo che quotidianamente, attori o non, l'essere umano metta una maschera per vivere nella società. La libertà dell'attore è proprio questa: esorcizzare, liberarsi attraverso i propri personaggi da qualsiasi menzogna emozionale.
Giorgia
Guerra - Buongiorno
Stefano, buongiorno a tutti.
Torno per un istante alla domanda di questa intervista e ti rispondo che essere attrice penso mi permetta di capire il prossimo più in profondità e accresca in me una già innata empatia.
Analizzare testi teatrali e quindi personaggi diversi fra loro, studiare le loro vite, giustificare ogni loro gesto, mi ha fatto diventare probabilmente un'osservatrice più attenta del genere umano e, osservando, osservando veramente, si può conoscere tanto di qualcuno. La conoscenza conduce alla comprensione che porta, a sua volta, ad un livello di conoscenza più profondo.
Se questo mestiere può avermi reso in qualche modo migliore, credo sia stato proprio in questo.
Torno per un istante alla domanda di questa intervista e ti rispondo che essere attrice penso mi permetta di capire il prossimo più in profondità e accresca in me una già innata empatia.
Analizzare testi teatrali e quindi personaggi diversi fra loro, studiare le loro vite, giustificare ogni loro gesto, mi ha fatto diventare probabilmente un'osservatrice più attenta del genere umano e, osservando, osservando veramente, si può conoscere tanto di qualcuno. La conoscenza conduce alla comprensione che porta, a sua volta, ad un livello di conoscenza più profondo.
Se questo mestiere può avermi reso in qualche modo migliore, credo sia stato proprio in questo.
Maria
Guerriero - Io divento
attrice dopo il termine "azione" e termina al termine
"stop". Nella vita non recito mai, perchè recitare nella
vita significherebbe essere finti e non si può vivere di finzione.
Le uniche volte che recitare può essermi stato di aiuto è in
qualche scherzo fatto ad amiche, ma nulla di più.
Sara
Bonci - Per me il teatro è
pura finzione, si nutre di realtà, ma non è e non può essere
verità. La vita, al contrario, credo che non vada sprecata nei panni
di un personaggio che non è il nostro. Dobbiamo essere osservatori
sensibili, attenti a quello che ci gira attorno, senza preoccuparci
di apparire diversi da ciò che siamo. L'attore in scena gioca, crea
e poi, chiuso il sipario, torna a essere se stesso. E lo dico da
teatrante non da attrice, definizione che non penso di meritarmi
ancora.
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