Teatro
Manzoni, Milano. Dal 19 febbraio all' 8 marzo 2015
Peccato.
Peccato davvero per Luca Barbareschi, professionista indiscusso, uomo
di grande fascino e intelligenza, provocativo e instancabile, aver
festeggiato i primi 40 anni carriera, in fondo non era costretto a
farlo, ma l’ego ci mette sempre lo zampino, con uno spettacolo che
non è all’altezza delle aspettative.
Non
appartenendo alla schiera dei suoi detrattori, che di solito lo
giudicano più per avere fatto politica, che per il talento e la
lunga, e piena di successi, carriera, me ne dispiaccio ancora di
più. Eppure, durante la conferenza stampa aveva stuzzicato la mia
curiosità, parlando con estrema rilassatezza e orgoglio, sempre
arguto e simpatico, di questi 40 anni di carriera, tra sforzi,
tentativi, cadute e riprese, sogni e speranze, viaggiando per il
mondo, recitando, traducendo, sperimentando, dirigendo, producendo.
Artista, uomo, padre, marito, amante.
Lo
spettacolo “Cercando segnali d’amore nell’universo” parte da
un progetto mai portato a termine di un’autobiografia in forma
letteraria. Ma è dall’incontro con Chiara Noschese, la regista
dello spettacolo, che tutti i ricordi, gli spezzoni di vita pubblica
e privata, i flash di memorie legate all’infanzia, prendono la via
del palcoscenico, e si mescolano con testi di Shakespeare, Mamet,
Eschilo, Evtushenko, Tomasi di Lampedusa, e brani di musica suonata
da un bel quintetto e dallo stesso Barbareschi.
Ma
la Noschese dirige Barbareschi con troppa enfasi e allora la
recitazione risulta carica di un’ansia esagerata dall’inizi alla
fine, quasi un non vedere l’ora di terminare, come se quelle
confessioni facessero male, ma fanno male anche a noi spettatori, che
lo vediamo sempre col fiato corto, sentendo la voglia di momenti
più calmi, più introspettivi, più intimi, più sentiti, più da
Actors Studio, per capirci.
Barbareschi
rimane in scena a velocità supersonica per due ore, ma dopo un’ora
e venti il gioco si fa duro, Barbareschi cammina per il palcoscenico
raccontando episodi che ci sembrano troppo prolissi, come quello con
l’amante francese. Bravissimo, non c’è che dire, a resistere per
tanto tempo, senza mai una pausa. Ma perché non, invece, fare un
piccolo intervallo, cambiare costume e scenografia? Ne avremmo
goduto tutti e soprattutto , lui. Un cambio era necessario, la
bravura si sarebbe ricaricata, così sembrava un tour de force,
uno sfida personale contro non
si sa chi o cosa.
La
regista decide di mettere sul palcoscenico quattro grandi custodie da
dove Barbareschi estrae via via delle chitarre, quasi che la sua
attività artistica principale sia quella di cantante e musicista.
Mancano invece maschere e costumi di scena, quelli che Luca ha
indossato in questi 40 anni per incarnare altri personaggi, altre
vite, oppure fotografie, video o altro per dare un po’ più di
varietà, dimostrando una maggiore creatività registica.
L’inizio,
con il sax di Marco Zurzolo che arriva suonandolo dal fondo del
palcoscenico, ci piace, il musicista è bravo e le note dello
strumento sono piene di atmosfera. E le parole di Eschilo “dolore
è parlare dolore è tacere” con le quali Barbareschi esordisce
sono forse la chiave di uno spettacolo che poteva essere ma non è
stato.
Peccato,
davvero.
Daria
D.
Casanova
Teatro
presenta
Luca
Barbareschi
in
CERCANDO
SEGNALI D’AMORE NELL’UNIVERSO
con
Marco Zurzolo 5tet
sax
Marco Zurzolo – piano Mario Nappi – chitarra e voce Antonio Murro
contrabbasso
Diego Imparato – batteria Gianluca Brugnano
regia
Chiara Noschese
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