La terza e ultima parte uscirà lunedì prossimo (Cliccando qui potrete leggere anche la prima parte)
Abbiamo
dunque visto come, con l’uscita di TERRA MIA e, soprattutto, di
PINO DANIELE, sia nato il cosiddetto blues napoletano, o
mediterranean blues, se preferite. Il giovane cantante,
chitarrista, bassista e mandolinista Pino Daniele, forse il migliore
esponente di quell’irripetibile nouvelle vague che ha
caratterizzato la scena musicale napoletana negli anni ’70, irrompe
come un fulmine a ciel sereno nel panorama musicale partenopeo,
scuotendolo alle fondamenta.
Se nell’album d’esordio, almeno a livello musicale, Pino Daniele rimane abbastanza fedele alla tradizione (pur con un certo gusto irridente), sono i testi a suscitare stupore: lontane anni luce dalle struggenti “romanze” dei (neo)melodici, tutte pene d’amore e poetico abbandono, le canzoni di Pino trasudano rabbia, indignazione, amarezza, e parlano di case fatiscenti, vicoli puzzolenti e gente che ha fame. L’artista riesce a fondere con successo canzone di protesta e gusto melodico partenopeo, creando una miscela mai ascoltata prima che mette in risalto tutta la musicalità della splendida lingua napoletana, finalmente sdoganata presso il pubblico del resto d’Italia.
Se nell’album d’esordio, almeno a livello musicale, Pino Daniele rimane abbastanza fedele alla tradizione (pur con un certo gusto irridente), sono i testi a suscitare stupore: lontane anni luce dalle struggenti “romanze” dei (neo)melodici, tutte pene d’amore e poetico abbandono, le canzoni di Pino trasudano rabbia, indignazione, amarezza, e parlano di case fatiscenti, vicoli puzzolenti e gente che ha fame. L’artista riesce a fondere con successo canzone di protesta e gusto melodico partenopeo, creando una miscela mai ascoltata prima che mette in risalto tutta la musicalità della splendida lingua napoletana, finalmente sdoganata presso il pubblico del resto d’Italia.
Rispetto
a TERRA MIA, nell’album successivo si attenua la rabbia in favore
di una maggiore propensione alla poesia e ai sentimenti, affrontati
comunque in maniera assolutamente personale e mai banale; la musica
assume una caratura sempre più “internazionale”, esprimendo
tutta la passione di Pino, cresciuto a pane e blues, per la
musica black. Je so pazzo è il primo grande successo
del giovane cantautore, che a soli ventiquattro anni ha già
raggiunto la piena maturità artistica ed è pronto per
l’appuntamento con la Storia.
NERO
A META’: E SONO MO
1980.
Reduce dal successo del secondo, omonimo album, Pino Daniele è
atteso al varco sia dal pubblico, ormai sempre più numeroso, che
dalla critica, che a questo punto si attende -giustamente- tanto da
lui. E a tutte queste grandi aspettative, il cantautore napoletano
non trova di meglio che rispondere realizzando il suo capolavoro,
NERO A META’, che segna l’apice, mai più raggiunto, della sua
straordinaria carriera. Il disco porta a compimento le splendide
intuizioni musicali mostrate nei due lavori precedenti (specie in
PINO DANIELE), imponendosi, a mio giudizio, come uno degli album
fondamentali per il cantautorato italiano. Fedele a sé stesso, Pino
prosegue il suo percorso artistico facendo praticamente tutto da solo
(testi, musiche e arrangiamenti) e continuando a utilizzare
prevalentemente il napoletano, lingua che si adatta perfettamente
alle idee musicali del cantante. Tale e tanta è la ricchezza di NERO
A META’ da sembrare, più che un disco di inediti, un greatest
hits, ma di quelli (pochi, in verità) compilati scegliendo
canzoni veramente irrinunciabili, dove non si riesce proprio a
saltare una traccia! Ce n’è davvero per tutti i gusti, e cercherò
di dimostrarvelo passando in rassegna, una per una, tutte le 12
canzoni che compongono l’album, rispettando l’ordine della
scaletta originale.
L’apertura
delle danze è affidata al giro di armonica di I say i’sto ccà,
canzone che ribadisce, a livello tematico, il nuovo corso intrapreso
già nell’album precedente e caratterizzato da un esistenzialismo
malinconico e poetico venato di romanticismo, oltre che da
un’introspezione agrodolce dove rabbia e amore si rincorrono e si
confondono l’una con l’altra, costituendo un unicum
indivisibile.
Musica
musica è un orecchiabile e ironico inno -in italiano-…alla
musica! Si tratta forse del pezzo più radio friendly (o
“commerciale”, se preferite) del disco, ma lo si ascolta
piacevolmente.
Quanno
chiove: ancor più che in Je sto vicino a te (contenuta
nell’album precedente), Pino dispiega qui tutto il suo romanticismo
con una delicata e poetica ballata, di quelle che ti stendono al
primo ascolto. La canzone è impreziosita dal catartico assolo di sax
del solito, imprescindibile James Senese, capace di esprimere qui un
mood dolce e rilassato che trasmette un senso di pace, opposto
a quello drammatico che la sua lacerante “voce” gridava in Chi
tene ‘o mare (sempre nel disco PINO DANIELE): doppia “V”,
cioè virtuosismo e versatilità!
Ed
è di nuovo blues: dopo Pino torna a suonare il
genere musicale forse a lui più caro con Puozze passà’ nu
guaio, un energico blues-rock con la chitarra elettrica a
farla da padrona, in cui il nostro si produce in un’imperdibile e
“affettuoso” augurio rivolto a una non meglio precisata
rappresentante del gentil sesso, evidentemente rea di averlo fatto
soffrire (“PUOZZE PASSA’ ’ NU GUAIO LLA’ / ADDO’ NUN COCE
‘O SOLE”). Nota bene: con impareggiabile gusto beffardo, questa
canzone è piazzata proprio dopo la morbida Quanno chiove…
Voglio
di più è l’unica canzone veramente “arrabbiata” del disco
(cantata in italiano), un pezzo che riporta in qualche modo alla
tensione di TERRA MIA. L’artista esprime qui, in maniera molto
chiara ma al tempo stesso poetica, tutta la propria indignazione e
frustrazione verso un mondo pieno di dolore e ingiustizie ( “ED HO
VISTO MORIRE BAMBINI/ NATI SOTTO UN ACCENTO SBAGLIATO. IERI MI SONO
INCAZZATO”) di cui ha fatto esperienza diretta, uscendone “VERO”,
ma anche “STANCO”.
Appocundria
(malinconia, in italiano) è il brano che, musicalmente, si
richiama di più a TERRA MIA. Nella sua brevità, è un’efficacissima
testimonianza a tempo di flamenco dell’Anima Latina di Pino,
qui ancora una volta dolente e disperata.
Siamo
a metà dell’opera, quindi alziamo pure l’immaginaria puntina e
giriamo il nostro altrettanto immaginario disco, per ascoltare il
resto…
Francesco
Vignaroli
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