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02 febbraio, 2015

CON RABBIA E CON AMORE: PINO DANIELE, UN “NERO A META’ ”(seconda parte). Di Francesco Vignaroli


La terza e ultima parte uscirà lunedì prossimo (Cliccando qui potrete leggere anche la prima parte)




Abbiamo dunque visto come, con l’uscita di TERRA MIA e, soprattutto, di PINO DANIELE, sia nato il cosiddetto blues napoletano, o mediterranean blues, se preferite. Il giovane cantante, chitarrista, bassista e mandolinista Pino Daniele, forse il migliore esponente di quell’irripetibile nouvelle vague che ha caratterizzato la scena musicale napoletana negli anni ’70, irrompe come un fulmine a ciel sereno nel panorama musicale partenopeo, scuotendolo alle fondamenta.
Se nell’album d’esordio, almeno a livello musicale, Pino Daniele rimane abbastanza fedele alla tradizione (pur con un certo gusto irridente), sono i testi a suscitare stupore: lontane anni luce dalle struggenti “romanze” dei (neo)melodici, tutte pene d’amore e poetico abbandono, le canzoni di Pino trasudano rabbia, indignazione, amarezza, e parlano di case fatiscenti, vicoli puzzolenti e gente che ha fame. L’artista riesce a fondere con successo canzone di protesta e gusto melodico partenopeo, creando una miscela mai ascoltata prima che mette in risalto tutta la musicalità della splendida lingua napoletana, finalmente sdoganata presso il pubblico del resto d’Italia.
Rispetto a TERRA MIA, nell’album successivo si attenua la rabbia in favore di una maggiore propensione alla poesia e ai sentimenti, affrontati comunque in maniera assolutamente personale e mai banale; la musica assume una caratura sempre più “internazionale”, esprimendo tutta la passione di Pino, cresciuto a pane e blues, per la musica black. Je so pazzo è il primo grande successo del giovane cantautore, che a soli ventiquattro anni ha già raggiunto la piena maturità artistica ed è pronto per l’appuntamento con la Storia.

NERO A META’: E SONO MO

1980. Reduce dal successo del secondo, omonimo album, Pino Daniele è atteso al varco sia dal pubblico, ormai sempre più numeroso, che dalla critica, che a questo punto si attende -giustamente- tanto da lui. E a tutte queste grandi aspettative, il cantautore napoletano non trova di meglio che rispondere realizzando il suo capolavoro, NERO A META’, che segna l’apice, mai più raggiunto, della sua straordinaria carriera. Il disco porta a compimento le splendide intuizioni musicali mostrate nei due lavori precedenti (specie in PINO DANIELE), imponendosi, a mio giudizio, come uno degli album fondamentali per il cantautorato italiano. Fedele a sé stesso, Pino prosegue il suo percorso artistico facendo praticamente tutto da solo (testi, musiche e arrangiamenti) e continuando a utilizzare prevalentemente il napoletano, lingua che si adatta perfettamente alle idee musicali del cantante. Tale e tanta è la ricchezza di NERO A META’ da sembrare, più che un disco di inediti, un greatest hits, ma di quelli (pochi, in verità) compilati scegliendo canzoni veramente irrinunciabili, dove non si riesce proprio a saltare una traccia! Ce n’è davvero per tutti i gusti, e cercherò di dimostrarvelo passando in rassegna, una per una, tutte le 12 canzoni che compongono l’album, rispettando l’ordine della scaletta originale.
L’apertura delle danze è affidata al giro di armonica di I say i’sto ccà, canzone che ribadisce, a livello tematico, il nuovo corso intrapreso già nell’album precedente e caratterizzato da un esistenzialismo malinconico e poetico venato di romanticismo, oltre che da un’introspezione agrodolce dove rabbia e amore si rincorrono e si confondono l’una con l’altra, costituendo un unicum indivisibile.
Musica musica è un orecchiabile e ironico inno -in italiano-…alla musica! Si tratta forse del pezzo più radio friendly (o “commerciale”, se preferite) del disco, ma lo si ascolta piacevolmente.
Quanno chiove: ancor più che in Je sto vicino a te (contenuta nell’album precedente), Pino dispiega qui tutto il suo romanticismo con una delicata e poetica ballata, di quelle che ti stendono al primo ascolto. La canzone è impreziosita dal catartico assolo di sax del solito, imprescindibile James Senese, capace di esprimere qui un mood dolce e rilassato che trasmette un senso di pace, opposto a quello drammatico che la sua lacerante “voce” gridava in Chi tene ‘o mare (sempre nel disco PINO DANIELE): doppia “V”, cioè virtuosismo e versatilità!
Ed è di nuovo blues: dopo  Pino torna a suonare il genere musicale forse a lui più caro con Puozze passà’ nu guaio, un energico blues-rock con la chitarra elettrica a farla da padrona, in cui il nostro si produce in un’imperdibile e “affettuoso” augurio rivolto a una non meglio precisata rappresentante del gentil sesso, evidentemente rea di averlo fatto soffrire (“PUOZZE PASSA’ ’ NU GUAIO LLA’ / ADDO’ NUN COCE ‘O SOLE”). Nota bene: con impareggiabile gusto beffardo, questa canzone è piazzata proprio dopo la morbida Quanno chiove
Voglio di più è l’unica canzone veramente “arrabbiata” del disco (cantata in italiano), un pezzo che riporta in qualche modo alla tensione di TERRA MIA. L’artista esprime qui, in maniera molto chiara ma al tempo stesso poetica, tutta la propria indignazione e frustrazione verso un mondo pieno di dolore e ingiustizie ( “ED HO VISTO MORIRE BAMBINI/ NATI SOTTO UN ACCENTO SBAGLIATO. IERI MI SONO INCAZZATO”) di cui ha fatto esperienza diretta, uscendone “VERO”, ma anche “STANCO”.
Appocundria (malinconia, in italiano) è il brano che, musicalmente, si richiama di più a TERRA MIA. Nella sua brevità, è un’efficacissima testimonianza a tempo di flamenco dell’Anima Latina di Pino, qui ancora una volta dolente e disperata.

Siamo a metà dell’opera, quindi alziamo pure l’immaginaria puntina e giriamo il nostro altrettanto immaginario disco, per ascoltare il resto…

Francesco Vignaroli

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