
La
serata assomiglia ad invito a lume di candela al teatro dove,
scendendo piano-piano le scale, sembra di essere avvolti in
un'atmosfera etnica dal profumo di vaniglia. Mentre la gente sussura,
un prete tibetano giunge in religioso silenzio alle nostre spalle e,
ogni suo passo, comincia a sfuocare le luci della sala in cui è
seduto il pubblico.
Un
breve racconto dell'indicazione geografica, degli usi, dei costumi e
della comunità musulmana della zona fanno da preludio. La narrazione
dei legami di confraternita tra le varie comunità del grande Tibet
virtuale fa da padrone per tutto il tempo, creando una particolare
atmosfera di vicinanza tra le persone presenti. In questo clima di
sobria fratellanza si continuano ad intrecciare poesie, canti e danze
dell'Himalaya dal carattere curativo.
La
danza sacra è chiamata Cham ed è rappresentata dai monaci che hanno
raggiunto l'illuminazione attraverso costumi variopinti che in parte
ricordano le gonne dei dervisci e dall'altra parte i classici abiti
degli indios peruviani.

Obiettivo
raggiunto. Il pubblico inizia ad applaudire in anticipo senza sapere
che da lì a poco verrà coinvolto in una preghiera per il ritorno di
Dalai Lama dall'India al Tibet.
I
primi canti "lamentosi" hanno ormai lasciato lo spazio a
danze sempre più ritmate tra percussioni e tipici strumenti a fiato.
I danzatori si lanciano in balli saltati e continui movimenti
rotatori della testa con la Danza del Leone in cui il coraggio,
l'illuminazione e la forza vengono rappresentati dalla presenza del
monaco mascherato che sfida le leggi naturali muovendosi
contemporaneamente tra due leoni bianchi e che accompagna tutti verso
la chiusura della serata.
Viola
Banaj
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