Sabato
21 febbraio, il Teatro dei Filodrammatici, ha accolto lo spettacolo
di Danza Sacra Tibetana reso possibile grazie all'Himalayan Cultural
Center e l'organizzazione di Simona Bocchi.
La
serata assomiglia ad invito a lume di candela al teatro dove,
scendendo piano-piano le scale, sembra di essere avvolti in
un'atmosfera etnica dal profumo di vaniglia. Mentre la gente sussura,
un prete tibetano giunge in religioso silenzio alle nostre spalle e,
ogni suo passo, comincia a sfuocare le luci della sala in cui è
seduto il pubblico.
Un
breve racconto dell'indicazione geografica, degli usi, dei costumi e
della comunità musulmana della zona fanno da preludio. La narrazione
dei legami di confraternita tra le varie comunità del grande Tibet
virtuale fa da padrone per tutto il tempo, creando una particolare
atmosfera di vicinanza tra le persone presenti. In questo clima di
sobria fratellanza si continuano ad intrecciare poesie, canti e danze
dell'Himalaya dal carattere curativo.
La
danza sacra è chiamata Cham ed è rappresentata dai monaci che hanno
raggiunto l'illuminazione attraverso costumi variopinti che in parte
ricordano le gonne dei dervisci e dall'altra parte i classici abiti
degli indios peruviani.
Sono
le 20:40. I danzatori aprono le danze con un rullo di tamburi, piatti
e maschere in pelle di agnello. I passi sono seguiti e sincronizzati
da un canto lamentoso che sembra chiamare gli spiriti dall'aldilà e
che plasma chi è seduto in platea. Al primo balletto succede una
canzone classica nella quale le vibrazioni delle voci tra alti e
bassi, sembrano volere descrivere e portare lo spettatore nella terra
d'origine, passando per valli e catene montuose policromatiche. La
sincronia perfetta che intercorre tra la voce, il battito delle mani
e il movimento caratteristico dei piedi rende efficace l'intenzione
dei monaci: quella di penetrare il pubblico con la loro lingua
asiatica e di fondere completamente platea e scena.
Obiettivo
raggiunto. Il pubblico inizia ad applaudire in anticipo senza sapere
che da lì a poco verrà coinvolto in una preghiera per il ritorno di
Dalai Lama dall'India al Tibet.
I
primi canti "lamentosi" hanno ormai lasciato lo spazio a
danze sempre più ritmate tra percussioni e tipici strumenti a fiato.
I danzatori si lanciano in balli saltati e continui movimenti
rotatori della testa con la Danza del Leone in cui il coraggio,
l'illuminazione e la forza vengono rappresentati dalla presenza del
monaco mascherato che sfida le leggi naturali muovendosi
contemporaneamente tra due leoni bianchi e che accompagna tutti verso
la chiusura della serata.
Viola
Banaj
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