La Mort de Socrate, Jacques-Louis David |
Quante
volte, soprattutto a scuola o all’università, ci hanno parlato
della Maieutica (l’arte della levatrice o dell’ostetricia) di
Socrate, definita come il suo metodo specifico, in cui il filosofo
intendeva “tirar fuori” al suo interlocutore pensieri
assolutamente personali a differenza di quanti volevano imporre le
proprie vedute agli altri con la retorica e l’arte della
persuasione (i Sofisti). Tale metodo era utilizzato da Socrate in
modo particolare nel ruolo di consulente filosofico. Il filosofo, di
cui non abbiamo notizie precise, poiché, come sappiamo, non ha
lasciato scritti, non assumeva un ruolo di guaritore, bensì aiutava
l’individuo a trovare le soluzioni alle sue problematiche. Il tutto
attraverso il dialogo, in un’esperienza in cui l’obiettivo non
era quello di correggere qualcuno in modo autoritario; doveva essere
un’esperienza, anzi, in cui era il singolo stesso che cercava di
trovare le soluzioni da sé e per stesso; di conseguenza la
consulenza era un processo costruttivo e formativo della persona ed
essa partiva dal principio della dignità di ogni singolo, ossia dal
suo valore, dalle sue qualità e capacità di essere intelligente,
dignitoso soprattutto per la sua sensibilità e fragilità, in un
contesto in cui la cultura filosofica dell’epoca vedeva
fondamentale la dignità umana. In quest’itinerario, mi sono posto
questa domanda: sappiamo tutto su quel “tirar fuori”?
A
mio avviso no; esso aveva molteplici significati, tra cui: 1.“Tirar
fuori”, faceva riferimento all’inconscio, e quindi a un dolore
sconosciuto al singolo individuo. 2. “Tirar fuori” faceva
riferimento all’obiettivo di mostrare che un sapere non poteva
essere un sapere certo, ma un sapere incerto. 3. “Tirar fuori”
era uno stimolo per comprendere la capacità dell’uomo di poter
bloccare la sua capacità di riflessione; 4. “Tirar fuori” era la
consapevolezza che aiutare qualcuno significava sapere che quel
qualcuno era un essere che generava i propri problemi e allo stesso
tempo era in grado di risolverseli. 5. “Tirar fuori” significava
far uscire dei sentimenti che non si riescono ad esprimere in modo
adeguato. 6. “Tirar fuori” significa stimolare l’individuo a
sostenere quello che non riesce a dire in modo adeguato e far vedere
come è facile cadere nelle incomprensioni: aspetto che ognuno di noi
sa molto bene. 7. “Tirar fuori” significava gettare la capacità
dell’individuo di riflettere, di analizzare e far ricerca per
scoprire anche il male che si fa a se stesso o agli altri.
In
tale contesto, Socrate entrava nella fase dell'ironia (finzione).
Fingeva di abbassarsi al livello culturale del discepolo ponendogli
domande e rendendolo partecipe delle proprie. Il filosofo attivava
così tre processi particolari: 1. Quello ovviamente di farsi
raccontare la propria storia, attivando così l’empatia, ossia la
capacità di comprendere appieno lo stato d'animo altrui, sia che si
tratti di gioia, che di dolore. Empatia significa sentire dentro,
cioè fare proprio il dolore degli altri. A questo Socrate aggiungeva
un altro tipo di empatia, che personalmente chiamo empatia
comunicativa inversa. Nella conversazione il filosofo – in base
alla situazione che egli e il suo interlocutore trattavano – dava
avvio a un processo dove presentava un determinato discorso inverso,
ripresentando il discorso del cliente, raccontando la storia di
quest’ultimo in modo inverso, con certi criteri, piccole differenze
e molteplici obiettivi calcolati e ben studiati dal filosofo. In tale
conversazione si potevano trovare, ad esempio, delle provocazioni,
che potevano provocare rabbia all'interlocutore il quale a quel punto
doveva tirar fuor l’emozione generata dal dialogo e anche quello
che non era riuscito a dire prima di allora; inoltre si creava una
situazione che mostrava come l’individuo, in base alla sua
esperienza vissuta, potesse creare pensieri, concetti e giudizi
distorti senza riflettere e di conseguenza anche reagirne. Nel
contempo era data la possibilità al cliente di chiarire quei tratti
che Socrate aveva presentato incompleti, su cui pochi riflettevano, e
così il filosofo, nel suo ruolo di consulente, li stimolava a
riflettere. In tale contesto, Socrate procedeva verso un processo di
formazione e superamento, in cui veniva eliminato il dolore che
l’interlocutore provava. Inoltre nascevano in quest’ultimo
sentimenti che eliminavano l’odio, la rabbia, la frustrazione...
In
questo itinerario parlo di inconscio, perché a mio giudizio molti
dolori provengono da dolori vissuti dal singolo, che non sa
razionalmente di avere; credo quindi che alcuni dolori, o meglio una
parte di questi, finiscano sempre in una parte di noi a noi
sconosciuta. Ad esempio, la mancanza di autostima di sé non proviene
solamente da eventi recenti, ma è un accumulo di diversi eventi
vissuti, alcuni non superati, altri solo in apparenza (poiché non
dimentichiamo mai i mali subiti) e proprio il metodo di Socrate
potrebbe essere un approccio molto efficace per scavare dentro di
noi, per analizzare le nostre visioni e divenire così degli esseri
umani volti sempre più alla riflessione. Un metodo che potrebbe
aiutare l’individuo per tutta la sua vita, anche al di fuori della
consulenza. Ovviamente ricordo che tutto questo è frutto di una
personale riflessione sulla Maieutica di Socrate, che, se l’applicata
in modo perfetto, potrebbe dare risultati molto soddisfacenti. In
tale contesto il metodo di Socrate è molto utile per ricercare il
male che si ci si fa da soli, ciò stimolando la persona alla sua
facoltà di pensare, attraverso un aiuto di conversazione paritaria e
dignitosa. La maieutica permette di riconoscere il criterio della
verità rispetto alla falsità delle sue presunzioni e permette di
acquisire anche l’autostima di sé, di migliorare la propria
personalità, le relazioni con gli altri e la propria esistenza; ci
permette di affrontare la propria fragilità.
Giuseppe
Sanfilippo
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