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26 febbraio, 2015

La maieutica: Socrate nella consulenza filosofica Lo stimolo giusto per la mente umana per affrontare con lucidità la propria esistenza. Di Giuseppe Sanfilippo


La Mort de Socrate, Jacques-Louis David
Quante volte, soprattutto a scuola o all’università, ci hanno parlato della Maieutica (l’arte della levatrice o dell’ostetricia) di Socrate, definita come il suo metodo specifico, in cui il filosofo intendeva “tirar fuori” al suo interlocutore pensieri assolutamente personali a differenza di quanti volevano imporre le proprie vedute agli altri con la retorica e l’arte della persuasione (i Sofisti). Tale metodo era utilizzato da Socrate in modo particolare nel ruolo di consulente filosofico. Il filosofo, di cui non abbiamo notizie precise, poiché, come sappiamo, non ha lasciato scritti, non assumeva un ruolo di guaritore, bensì aiutava l’individuo a trovare le soluzioni alle sue problematiche. Il tutto attraverso il dialogo, in un’esperienza in cui l’obiettivo non era quello di correggere qualcuno in modo autoritario; doveva essere un’esperienza, anzi, in cui era il singolo stesso che cercava di trovare le soluzioni da sé e per stesso; di conseguenza la consulenza era un processo costruttivo e formativo della persona ed essa partiva dal principio della dignità di ogni singolo, ossia dal suo valore, dalle sue qualità e capacità di essere intelligente, dignitoso soprattutto per la sua sensibilità e fragilità, in un contesto in cui la cultura filosofica dell’epoca vedeva fondamentale la dignità umana. In quest’itinerario, mi sono posto questa domanda: sappiamo tutto su quel “tirar fuori”?
A mio avviso no; esso aveva molteplici significati, tra cui: 1.“Tirar fuori”, faceva riferimento all’inconscio, e quindi a un dolore sconosciuto al singolo individuo. 2. “Tirar fuori” faceva riferimento all’obiettivo di mostrare che un sapere non poteva essere un sapere certo, ma un sapere incerto. 3. “Tirar fuori” era uno stimolo per comprendere la capacità dell’uomo di poter bloccare la sua capacità di riflessione; 4. “Tirar fuori” era la consapevolezza che aiutare qualcuno significava sapere che quel qualcuno era un essere che generava i propri problemi e allo stesso tempo era in grado di risolverseli. 5. “Tirar fuori” significava far uscire dei sentimenti che non si riescono ad esprimere in modo adeguato. 6. “Tirar fuori” significa stimolare l’individuo a sostenere quello che non riesce a dire in modo adeguato e far vedere come è facile cadere nelle incomprensioni: aspetto che ognuno di noi sa molto bene. 7. “Tirar fuori” significava gettare la capacità dell’individuo di riflettere, di analizzare e far ricerca per scoprire anche il male che si fa a se stesso o agli altri.
In tale contesto, Socrate entrava nella fase dell'ironia (finzione). Fingeva di abbassarsi al livello culturale del discepolo ponendogli domande e rendendolo partecipe delle proprie. Il filosofo attivava così tre processi particolari: 1. Quello ovviamente di farsi raccontare la propria storia, attivando così l’empatia, ossia la capacità di comprendere appieno lo stato d'animo altrui, sia che si tratti di gioia, che di dolore. Empatia significa sentire dentro, cioè fare proprio il dolore degli altri. A questo Socrate aggiungeva un altro tipo di empatia, che personalmente chiamo empatia comunicativa inversa. Nella conversazione il filosofo – in base alla situazione che egli e il suo interlocutore trattavano – dava avvio a un processo dove presentava un determinato discorso inverso, ripresentando il discorso del cliente, raccontando la storia di quest’ultimo in modo inverso, con certi criteri, piccole differenze e molteplici obiettivi calcolati e ben studiati dal filosofo. In tale conversazione si potevano trovare, ad esempio, delle provocazioni, che potevano provocare rabbia all'interlocutore il quale a quel punto doveva tirar fuor l’emozione generata dal dialogo e anche quello che non era riuscito a dire prima di allora; inoltre si creava una situazione che mostrava come l’individuo, in base alla sua esperienza vissuta, potesse creare pensieri, concetti e giudizi distorti senza riflettere e di conseguenza anche reagirne. Nel contempo era data la possibilità al cliente di chiarire quei tratti che Socrate aveva presentato incompleti, su cui pochi riflettevano, e così il filosofo, nel suo ruolo di consulente, li stimolava a riflettere. In tale contesto, Socrate procedeva verso un processo di formazione e superamento, in cui veniva eliminato il dolore che l’interlocutore provava. Inoltre nascevano in quest’ultimo sentimenti che eliminavano l’odio, la rabbia, la frustrazione...

In questo itinerario parlo di inconscio, perché a mio giudizio molti dolori provengono da dolori vissuti dal singolo, che non sa razionalmente di avere; credo quindi che alcuni dolori, o meglio una parte di questi, finiscano sempre in una parte di noi a noi sconosciuta. Ad esempio, la mancanza di autostima di sé non proviene solamente da eventi recenti, ma è un accumulo di diversi eventi vissuti, alcuni non superati, altri solo in apparenza (poiché non dimentichiamo mai i mali subiti) e proprio il metodo di Socrate potrebbe essere un approccio molto efficace per scavare dentro di noi, per analizzare le nostre visioni e divenire così degli esseri umani volti sempre più alla riflessione. Un metodo che potrebbe aiutare l’individuo per tutta la sua vita, anche al di fuori della consulenza. Ovviamente ricordo che tutto questo è frutto di una personale riflessione sulla Maieutica di Socrate, che, se l’applicata in modo perfetto, potrebbe dare risultati molto soddisfacenti. In tale contesto il metodo di Socrate è molto utile per ricercare il male che si ci si fa da soli, ciò stimolando la persona alla sua facoltà di pensare, attraverso un aiuto di conversazione paritaria e dignitosa. La maieutica permette di riconoscere il criterio della verità rispetto alla falsità delle sue presunzioni e permette di acquisire anche l’autostima di sé, di migliorare la propria personalità, le relazioni con gli altri e la propria esistenza; ci permette di affrontare la propria fragilità.


Giuseppe Sanfilippo

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